mercoledì 30 ottobre 2019

CANTO DI LOTTA - I RESILIENTI DELLA VAL DI SUSA



CANTO DI LOTTA 




I RESILIENTI 
DELLA VAL DI SUSA


NO TAV

Cantare voglio la Valle resistente
che molto ha dato e non ha chiesto niente,
i monti, il fiume, la gente che lavora
e nonostante tutto eccola ancora
unita nel dir no a questa furia
che trapana la terra ed è un'ingiuria,
difesa da milizie prezzolate
tolte da Oriente e in Valle trasportate
col sorriso sprezzante di chi crede
d'aver sempre ragione e più non vede
che a fronte c'è la vita, c'è la storia,
c'è l'umile onesta dei senza boria.


Canto chi non s'arrende e nella lotta
del quotidiano vivere ha la rotta
così che la milizia dei venduti
ai mafiosi e ai politici fottuti
più non comprende, compressa nella gogna
dietro al reticolato di vergogna.
Ma nella Valle il vento soffia ancora
e l'acqua scorre veloce nella Dora,
la lotta sarà dura ed è per tutti,
per quelli che non vogliono dei lutti
ma libera montagna verde e fiera
che ci abbraccia di fiori in primavera.


Testo di Gianni Milano
Musica di Margot






martedì 29 ottobre 2019

SOLIDARIDAD CON CHILE Y TODOS LOS PUEBLOS DE AMERICA LATINA - Kate Charlotte


SOLIDARIDAD CON CHILE


Y TODOS LOS PUEBLOS
DE AMÉRICA LATINA

Kate Charlotte 

Solidarietà e commozione... di fronte alle riprese qui sotto riportate, il mio cuore non può che vibrare all'unisono con le note e le voci del popolo cileno..

In questi giorni chi si affida alle pseudo-notizie del mainstream sentirà parlare di "proteste per il rincaro dei biglietti della metropolitana"...già solo un minimo di residua facoltà di lettura logica dei fatti farebbe balzare agli occhi l'incongruenza tra una simile motivazione e le proporzioni di questo inarrestabile e determinato movimento: un intero popolo che si sta riversando compatto per le strade, affrontando indicibili atti di repressione, minimizzati, se non taciuti, dagli organi ufficiali d'informazione.

C'è molto di più in discussione di un rincaro nei trasporti come goccia che fa traboccare il vaso di una tassazione troppo pesante...
Il popolo cileno si è alzato, unito e pacifico, per rispondere alle continue sopraffazioni del governo, chiedono dignità, non solo economica, uguaglianza e libertà.
Se fossero richieste immotivate, la risposta di una civile democrazia non sarebbe stata quella testimoniata da tanti filmati indipendenti che rimbalzano sui social, al punto da essere presi in considerazione persino dall'Osservatorio dei Diritti Umani (ODU): città militarizzate, coprifuoco, spari sui manifestanti con morti e centinaia di feriti, fino a parlare di  torture, stupri e persone scomparse...
Sono dolorose ferite troppo recenti nel vissuto ancora sensibile del popolo cileno, la cui reattività non può che essere elevatissima, spingendolo ad esprimere un corale potentissimo "NO! NON SI RIPETERÀ".
Su questa sponda dell'Oceano, per chi non è troppo giovane, sono parole che rievocano terribili cronache di dittatura... E' vivido nella mia memoria l'orrore provato per la scoperta dei metodi brutali di un governo che non consentiva alcuna libertà, così come l'empatia, inesprimibile a parole, per il dramma di chi non aveva più potuto riaccogliere a casa un figlio, una compagna...tutti scomparsi ad aumentare le fila di una generazione di Desaparecidos..
C'è però un altro mio ricordo legato a quel periodo della storia cilena, altrettanto vivido seppur meno consapevole perché vissuto da bambina, eppure preciso, inequivocabile, che mi arrivò al cuore attraverso il linguaggio delle emozioni, vibrando la sua potenza in ogni cellula del corpo: una sera estiva nel parco della mia città, la brezza marina sul viso e le note irresistibili che mi attraevano sotto il palco... variopinti e fieri, gli Inti-Illimani cantavano "El pueblo unido jamás será vencido!"
E' per questo, forse, che oggi le immagini che fanno vibrare in me commozione, rispetto e un profondo senso di Unità sono quelle di un popolo che oppone al potere e allo spettro risorto della violenza programmata, la forza ineguagliabile della Musica! Un'orchestra crea una sublime eco al mio ricordo infantile, in un'altra piazza ragazzi danzano sulle note di "Bella ciao!" e, accompagnati da migliaia di chitarre, i Cileni cantano "El derecho de vivir en paz", in onore del cantautore e attivista Victor Jara, barbaramente ucciso dai militari cinque giorni dopo il colpo di Stato, il 16 settembre 1973.   
Da questi canti sento oggi sgorgare un'intensa aura di Vittoria, non solo per il Cile, ma per ogni popolo in risveglio in America Latina e nel mondo; quali che siano i giorni che ci attendono e attraverso qualsiasi prova ci sarà chiesto di sostenere, sappiamo già che la Luce ha vinto!

Gracias Cilenos!


El Pueblo Unido



Omaggio a Victor Jara



Santiago del Cile, Plaza Italia
25 ottobre 2019



El Derecho de vivir en Paz
(versione attualizzata da vari interpreti della canzone cilena)





giovedì 24 ottobre 2019

IN-FORMAZIONE PERMANENTE ATTIVA - VOCI FUORI DAL CORO


IN-FORMAZIONE PERMANENTE ATTIVA

VOCI FUORI DAL CORO




Un tentativo disperato quello di Marco Mori che con Diego Fusaro sta dando voce al nuovo soggetto politico "Vox Italia" fondato dal filosofo torinese e dallo stesso descritto "con valori di destra e idee di sinistra". 
In un mondo ove non esiste più la polarizzazione ideologica 'destra-sinistra', categorie obsolete, proprie del Novecento, appare molto più concreto schierarsi di qua o di là rispetto all'Atlantismo, alla NATO e al predominio dei Mercati sulla politica e sullo Stato. Questo movimento politico infatti descrive se stesso all'interno di una visione socialista e keynesiana, lontano dallo schieramento atlantista, dando voce alla tesi "sovranista e populista", per usare la terminologia tanto cara ai detrattori del "globalismo turbo-capitalista e liquido finanziario" [cit. Fusaro]. 
Insomma, parrebbe questa essere l'unica e solitaria ricetta contro il liberismo più sfrenato, davanti al quale sono prostrate tutte le forze politiche italiane, sia che governino o che stiano all'opposizione. 'Destra e sinistra' infatti non fanno altro che dimostrare la loro obsolescenza programmata e valoriale, non facendo che condividere le priorità - a quanto pare 'indiscutibili' da entrambe - del capitalismo liberista e mondialista.
In questa intervista Claudio Messora di Byoblu, si intrattiene con Marco Mori, avvocato genovese, già da tempo schierato in favore della sovranità monetaria, politica e militare e impegnato a dar vita ad un movimento politico e di opinione che possa affrancare l'Italia dal servilismo dei mercati, dalla NATO, dagli Stati Uniti e dai diktat di Bruxelles. 
Proviamo a vedere che succede... Nel frattempo può essere interessante ascoltare direttamente da Marco Mori quelle che saranno le linee programmatiche della nuova forza politica.

Dinaweh
                                                                                                                                                                                  
                                                                                                                                                                                                                                                       
CLAUDIO MESSORA
intervista
MARCO MORI






martedì 22 ottobre 2019

MIGRANTI... "OPEN SOCIETY" IN SALSA DEMOCRATICO-PROGRESSISTA... O DEPORTAZIONE DI MASSA?



MIGRANTI... 

"OPEN-SOCIETY" 
IN SALSA 
DEMOCRATICO-PROGRESSISTA


...O DEPORTAZIONE DI MASSA?

Dinaweh


Solo alla borghesia può venire in mente di qualificare fratellanza
lo sfruttamento cosmopolita dei lavoratori.
L'azione distruttiva della libera concorrenza di ogni singolo Paese
aumenta a dismisura sul mercato internazionale.

K. Marx, Discorso sul libero scambio



Come non accorgersi dell'inutile strage che continua imperterrita e impunita davanti ai nostri occhi, con il placet del papa 2G (Gesuita e Globalista) in linea con l'Open society propugnata da Soros & Co. e che piace tanto alle "anime belle arcobaleniche", come simpaticamente asserirebbe l'amico filosofo Diego Fusaro?! 
...Eh sì, perché dietro questo falso buonismo cattolico-progressista, si cela un indegno traffico di vite umane che nessun Paese occidentale, partito o movimento, di governo o di opposizione che sia, ha mai finora avuto il coraggio di fermare davvero. Come? Denunciandone le vere ragioni, ritrattando le politiche liberiste e neocolonialiste dell'Occidente a discapito dei Paesi poveri dell'Africa e dell'Asia, intravvedendo lì la vera causa di cotanto macello umanitario programmato, di un esodo senza fine, che vede traghettare masse di uomini, donne e bambini da una sponda all'altra del Mediterraneo, alla ricerca di una vita dignitosa che sprofonderà, nella migliore delle ipotesi, in una successione di umiliazioni, di miseria e di prevaricazioni, una volta sbarcati sulla sponda opulenta tanto agognata!
Una coscienza critica e disincantata sullo stato delle cose non potrà quindi non svelare una volta per tutte agli occhi dei benpensanti arcobaleno, che lottano contro i cattivi "sovranisti-populisti" (termine coniato ad hoc dagli strilloni del mainstream, il loro siparietto) la loro complice ipocrisia di fronte alla regìa ben architettata dai fautori del globalismo apolide e finanziario, che come obiettivo ultimo si propone di minare le società occidentali alle loro fondamenta, apportando al loro interno masse di disperati disponibili ad accontentarsi di lavori sottopagati e condizioni di vita al limite della sopravvivenza umana. 


IL PROCESSO DELLA DISIDENTIFICAZIONE IDENTITARIA
E LO SRADICAMENTO DEI POPOLI

Minando alla base la loro identità culturale e la loro appartenenza etnica, i padroni del mondo sono in grado di condannare all'abisso della medesima disidentificazione identitaria, persino i popoli europei che loro malgrado si vedono costretti ad accogliere masse di profughi e disperati. Il messaggio forte e chiaro che sottende a tale strategia è che d'ora in poi i cittadini, meglio sarebbe chiamarli "i sudditi" dovranno accontentarsi al ribasso,  accettare lavori sottopagati, insieme all'erosione costante di tutti i diritti civili acquisiti in decenni di lotte sindacali e politiche. 
In sostanza possiamo affermare che tale processo di disidentificazione identitaria non è unipolare. Ciò che tragicamente sperimenta sulla propria pelle il migrante, costretto in fretta e furia a lasciare il proprio paese d'origine per fame, guerre e malattie, prima o poi si riverbera ad effetto boomerang anche nell'illusionistico paese dei balocchi dei cittadini-sudditi europei i quali, per effetto della glebalizzazione (che nelle sue varianti prevede anche lo spostamento di masse di diseredati da Paesi poveri verso l'Europa e l'Occidente in generale come forza lavoro disponibile a basso costo), smarriscono essi stessi la loro identità culturale e identitaria, divenendo gradienti neutri e senza titolo di replica, ingranaggi di un sistema economico anonimo, fagocitante e predatorio, capace di fare a meno di loro nel momento in cui le loro richieste fossero dal sistema stesso e dai suoi cani da guardia (UE, FMI, Banca Mondiale, Ministri dei governi in carica) valutate irricevibili: i diritti dei lavoratori, come il salario sindacale garantito, le ferie pagate, l'assistenza sanitaria, il diritto all'istruzione e ai servizi sociali...      
Tale scenario, di ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo, lo si traduce per esempio negli avvenimenti più vicini a noi, con i gilet gialli in Francia, nonostante il mainstream nostrano si guardi bene dal lasciar trapelare nulla di quanto oltralpe continui ad accadere. L'erosione dei diritti culturali, civili e politici la si vede nuovamente rigurgitare in Catalunya, con gli scontri di piazza di questi giorni; la scusa del governo centrale di Madrid di voler a tutti i costi tutelare la compattezza unitaria della nazione, cela in realtà gli obiettivi dell'agenda globalista e transnazionalista, che, attraverso il governo spagnolo, vuole omologare e appiattire le peculiarità culturali, sociali e politiche di un'altra nazione, quella catalana, altrettanto forte e significativa, in nome della globalizzazione dall'alto, senza voler considerare e ammettere la glebalizzazione dal basso (cfr. Diego Fusaro, Glebalizzazione: la lotta di classe al tempo del polulismo, Rizzoli, 2019).

Che dire del genocidio che si sta consumando, con il complice silenzio della stampa internazionale, in Equador, ove i diritti fondamentali di quel popolo, soprattutto dei nativi, vengono impunemente schiacciati e ridotti al silenzio con l'assassinio sistematico di centinaia di migliaia di persone ad opera dell'esercito e del governo di quel Paese? Per conto di chi, se non della stessa occulta regia neoliberista che vuole ridurre questo pianeta ad un ammasso di consumatori imbelli, omologati e senza radici? 
Simile la situazione in Cile, ove il governo del miliardario Sebàstian Piñera, sta massacrando la popolazione esausta dall'oppressione fiscale e dall'erosione sistematica dei diritti civili...
Non possiamo tralasciare nemmeno di ricordare la martoriata vicenda del Venezuela, Paese custode di immense ricchezze petrolifere, difese dal governo socialista di Maduro che del suo Paese vuole mantenere una forte identità socialista ed egualitaria, sul quale gli Stati Uniti d'America continuano a gettare l'ombra del discredito e delle calunnie, non senza prima aver ordinato un embargo economico pesantissimo, al punto da sobillare la parte più esposta della popolazione contro la sua persona e il suo governo, finanziarne la rivolta e dar vita al governo fantoccio Guaidò, pretendendo oltretutto la tacita accettazione di quel governo abusivo da parte di tutte le cancellerie occidentali!


LO STORY-TELLING DEL BUONISMO DEMOCRATICO PROGRESSISTA
SUL FENOMENO DELL'IMMIGRAZIONE

Fin qui abbiamo cercato di darci spiegazione sulle vere ragioni che costringono interi popoli a lasciare i loro paesi d'origine. Avevamo già tentato un'analisi veritiera del fenomeno in altri post, con particolare riferimento sia alla figura di Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, sia, più recentemente, attraverso le parole in video di un protagonista dei nostri giorni, molto più attendibile nelle sue analisi sul fenomeno migratorio di quanto lo siano gli sproloqui dei buonisti del governo giallo-fucsia, di Salvini o dei portavoce del Vaticano: stiamo parlando di Mohamed Konarè.

Può essere invece indicativo comprendere quale sia, a questo stesso proposito, la narrazione democratico-progressista, in linea con le istanze cosmopolite propugnate da papa Bergoglio e da una parte della Chiesa cattolica, in perfetta simbiosi con il capitale apolide e cosmopolitico: "allo stato attuale delle cose vi sono dei disperati che fuggono dall'inferno della Libia e dagli stati Africani confinanti; chiedono di essere accolti, mentre ne sono respinti da alcuni, vittime inguaribili di razzismo, xenofobia e intolleranza". Naturalmente questa narrazione risulta totalmente a-storicizzata, disincarnata dalla concreta analisi storica dei fatti, ove semplicemente si opera una estrema semplificazione fra: 'tolleranti' e 'intolleranti', 'accoglienti' e 'xenofobi'! Una narrazione emotiva, che non trova alcuna giustificazione razionale, se non ci si interroga sulle cause di un fenomeno che giova sicuramente a qualcuno alimentare, mentre nuoce a qualcun'altro quando si trovi o costretto ad emigrare, o ad accogliere.

Per dirla con Fusaro, oggi siamo entrati nella fase 3.0 del colonialismo occidentale, ove non si deportano più i neri nelle Americhe (1.0), non si va più a depredare l'Africa o l'Asia andando in loco a sfruttare le risorse di quei paesi per tornare in Europa (2.0); oggi siamo di fronte alla fase che il filosofo definisce della glebalizzazione.
[...] Si destabilizzano i Paesi africani, vuoi con bombardamenti umanitari (il caso della Libia nel 2011 è paradigmatico), vuoi mediante forme di colonialismo monetario (il caso del franco africano), vuoi tramite forme di sfruttamento che pure si presenta incivilito in forme garbate; si costringono gli Africani allo sradicamento e alla fuga per mare e poi naturalmente bisogna aprire i porti per farli arrivare, ovvero per farli entrare nei circuiti dello sfruttamento capitalistico.
Quanta cura "le anime belle del mondialismo e dell'arcobaleno permanente" [cit. D. Fusaro] pongono nel cercare di far attraccare i barconi dei deportati ai porti italiani, ma quanto schifo e che velo pietoso occorrerebbe stendere sul destino in serbo per loro, totalmente ignari del loro incerto futuro!
Qualche settimana fa, ebbi modo di ascoltare l'intervento del filosofo Massimo Cacciari, il quale, intervistato in uno dei tanti talk-show televisivi, asseriva con il suo solito piglio imbronciato che "l'Italia ha bisogno dei migranti, altrimenti si ferma, perché gli Italiani non fanno più figli e non farebbero mai i lavori che sono disposti a fare loro!". Raccapricciante! Stava forse parlando del Capitale che ha bisogno dell'immigrazione di massa per avere schiavi a basso costo? E poi, si è mai chiesto e si è mai dato una risposta l'esimio professore del perché gli Italiani siano così restii a fare figli?
Perché piuttosto non si chiede come mai nessun governo del Bel Paese si sia mai posto l'obiettivo di fermare il vomitevole traffico di migranti che lavorano e muoiono nei campi di pomodori nel sud dell'Italia, trattati come bestie e sfruttati per 300 euro al mese dal caporalato locale? 


NON I DEPORTATI MA I DEPORTATORI SONO DA CONDANNARE

Non cadremo in alcun caso nel gioco in cui qualcuno vorrebbe che cadessimo, cioè nella guerra tra poveri, nello scontro orizzontale fra disperati, gioco fatto apposta per far guerreggiare fra loro i disperati e distogliere l'attenzione dai deportatori di schiavi, i quali così non vengono mai menzionati. Occorre ribadire infatti che il nemico principale non è il deportato, ma il deportatore, così come il "complottista" non è chi denuncia il complotto, ma chi lo ordisce! Per tornare a noi quindi, il nemico non è il disperato, ma chi getta nella disperazione i popoli


IMMIGRATO, EMIGRATO, MIGRANTE...

Cito per finire ancora Diego Fusaro, riportando una digressione semantica sul cambiamento linguistico che l'autore descrive nel suo libro Storia e coscienza del precariato sulla parola "Migrante":
"Negli anni Novanta si parlava ancora di immigrati e di emigrati. C'era la figura dell'immigrato che arrivava a Torino dal sud o dal Veneto e che si re-integrava nel territorio, si ri-territorializzava 'Immigrato' o 'emigrato' era chiarissimo in questa espressione sia la direzione in cui ci si muoveva, sia - come suggeriva il participio passato - il compiersi di un'azione al termine della quale ci si ri-teritorializzava. Oggi, dagli anni Duemila, più o meno, non si parla più di immigrati o di emigrati; si parla di migranti. Il participio presente è interessante, perché intanto allude a un movimento il cui termine non avviene mai, a differenza dell'immigrato o dell'emigrato. Il migrante è sempre in movimento e non vi è una direzione. Il migrante si muove senza direzione. L'idea è quella per cui l'uomo forgiato dal processo turbo-capitalistico e liquido finanziario è esso stesso un migrante apolide che non ha direzione. Si muove di moto browniano nel piano liscio del mercato globale e non si ferma mai. Oggi l'obiettivo della ingegneria del mondialismo è quello non di integrare i migranti, come dice l'anima bella arcobalenica; l'obiettivo è di rendere come i migranti quanti ancora non lo siano. L'obiettivo non è di integrare loro, ma di rendere come loro anche noi. Molti dei nostri giovani vivono già come migranti: cervelli in fuga, le esperienze Erasmus: nobilitata perché sono le chances della mondializzazione che ti permette con la laurea in ingegneria di andare a fare il lavapiatti a Berlino o a Londra. Molta parte di quello che sta avvenendo rientra in questa logica. Siamo già tutti migranti: precari lavorativamente, nomadi dell'esistenza, privati di cittadinanza e, di più, indotti a pensare che questa sia un'esperienza glamour, cool... [...] Significa dunque generalizzare la condizione di chi è senza diritti, di chi è sradicato e deterritorializzato per sempre."

Dinaweh

  

mercoledì 16 ottobre 2019

IN-FORMAZIONE PERMANENTE ATTIVA - LA GUERRA TURCHIA SIRIA E IL DELICATO EQUILIBRIO INTERNAZIONALE


IN-FORMAZIONE PERMANENTE ATTIVA

LA GUERRA TURCHIA-SIRIA


E IL DELICATO EQUILIBRIO
INTERNAZIONALE

Non possiamo dimenticare quanto questo conflitto, quello in Siria, sia stato voluto e organizzato dagli Stati Uniti d'America, grazie anche alla loro complicità con l'ISIS, costola armata creata ad arte dagli USA in primis, con la complicità di altri attori occidentali, con lo scopo precipuo di creare destabilizzazione in certe aree del pianeta per interessi strategici favorevoli all'Occidente. Portare la guerra in Siria da parte dell'Occidente si spiega proprio per la posizione strategica di quel Paese se l'obiettivo finale rimane quello di entrare in guerra con Russia e Cina e contro l'Iran che, insieme al Venezuela, è il Paese foraggiatore di petrolio a Russi e Cinesi. La conquista della Siria significava quindi, sin dall'inizio, poter ottenere un avamposto strategico che avrebbe strappato un alleato alla Russia per fare un passo avanti nella direzione di un conflitto totale contro Russia e Cina.
Ma, inaspettatamente, in questo contesto ben concertato da nove anni a questa parte dalla politica predatoria americana, arriva un contrordine dal Presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, che dichiara: 
"Abbiamo pagato ai Curdi molti soldi; hanno ricevuto l'equipaggiamento per continuare a fare la guerra in Siria... (Non dobbiamo dimenticare che i Curdi sono stati finanziati e armati insieme all'ISIS dagli Stati Uniti perché insieme avevano il compito di destabilizzare e rovesciare il governo di Assad)... [...] "ma è tempo per noi di uscire da queste ridicole guerre infinite, molte di loro tribali e portare i nostri soldati a casa", scrive Trump, che ribadisce: "Combatteremo solo dove sarà beneficio per noi e combatteremo solo per vincere"
L'Occidente, non dimentichiamolo, è oggi diviso su tre linee diverse: 

1) la linea "trumpiana" presente oggi in una parte dell'opinione pubblica americana, che vuole riaprire il dialogo con la Russia in funzione anti-cinese e per questo favorevole allo scontro con l'Iran e con il Venezuela;

2) la linea clintoniana, quella del "deep State" che mira alla guerra definitiva con la Russia e con la Cina;

3) infine, la linea "Aquisgraniana", quella del Capitale europeo, favorevole ad un'apertura con la Russia e con la Cina per smarcarsi dagli Stati Uniti d'America e portare avanti le proprie politiche di profitto economico.

Dal canto suo, Trump vuole chiudere con tutte queste guerre, particolarmente dispendiose per gli Stati Uniti d'America, ma soprattutto non vuole perdere l'occasione di poter creare un'alleanza con la Russia come alleato essenziale da strappare alla Cina.

Come reagisce il deep State americano? 

Dichiara la scelta di Trump come un errore madornale, poiché abbandonare il Medioriente, dopo nove anni di una lunga e faticosa guerra per cercare di conquistarsi un avamposto, significa il suicidio della politica estera americana. D'altra parte Stoltenberg, il presidente della NATO, l'11 ottobre in un incontro con Erdogan e il ministro degli Esteri turco dichiara: 
"La Turchia è in prima linea in questa regione molto volatile. Nessun altro alleato ha subito più attacchi terroristici della Turchia; nessun altro è più esposto alla violenza e alla turbolenza proveniente dal Medio Oriente"
giustificando così la legittimità dell'intervento militare turco e legittimando la preoccupazione del governo turco per la propria sicurezza nazionale. 
Da una parte quindi gli Stati Uniti ritirano l'esercito, ma dall'altra, proprio per non perdere tutto, il deep State americano usa il suo alleato strategico per portare avanti ugualmente il conflitto. Trump, tuttavia, non se ne sta, rispondendo per le rime a Erdogan, facendo ben intendere la divergenza interna agli Stati Uniti e, testualmente, con un tweet dichiara:
"Come già precedentemente ho affermato con forza e ora lo ripeto: se la Turchia farà qualcosa che nella mia grande e impareggiabile saggezza ritengo superi i limiti, distruggerò totalmente e annienterò l'economia della Turchia. [...] Gli Stati Uniti hanno fatto più di chiunque si potesse aspettare, compresa la conquista del 100% del Califfato e adesso è tempo per altri nella Regione di proteggere il loro territorio".
Questa è la risposta di Trump, inequivocabile, contro il deep State e la NATO.


I Curdi abbandonati dagli Stati Uniti che fanno?

Nel frattempo, i Curdi della Siria che erano stati foraggiati dagli Stati Uniti che combattevano contro il regime di Assad con la speranza di conquistare una propria autonomia in uno stato sovrano, si trovano in questo momento a non avere più il loro alleato, senza foraggiamenti militari e alimentari, costretti o a morire prigionieri dei Turchi o a ri-allearsi con Assad per evitare che la Siria sia conquistata dalle truppe di Erdogan. Questa ultima opzione sembra essere la scelta finale delle milizie curde: la riconquista di importanti città della Siria del Nord, il 14 ottobre scorso, da parte dell'esercito arabo-siriano, con il supporto della popolazione e delle milizie curde dimostra la scelta di un'alleanza strategica dei curdi con la Siria di Assad, per cui sul territorio siriano nessuno combatte più per gli interessi degli Stati Uniti. 

Ecco spiegato questo attacco repentino della Turchia che in realtà rappresenta la longa manus della NATO, facendone essa stessa parte come la seconda forza militare più forte e numerosa, dopo quella degli Stati Uniti d'America: un partner strategico importantissimo dunque la Turchia, anche se negli ultimi anni un po' troppo ambivalente per la coalizione occidentale perché, dopo il fallito colpo di stato contro Erdogan, orchestrato dagli Stati Uniti, la Turchia si è aperta verso la Russia e verso l'Iran per cercare appoggi internazionali oltre quelli americani. Non sappiamo in realtà quindi fino a che punto la Turchia non stia facendo il doppio gioco. Si trova così in questo momento a dover accontentare sia i Russi, che gli Americani e fare, al contempo, la propria politica: posizione difficile dopo questo attacco, se non altro perché non piace alla Russia e all'Iran, che hanno negato il loro consenso, mentre piace di più agli Stati Uniti. 
Occorrerà vedere dunque il prosieguo della situazione: se questo conflitto lo ferma subito, per una strategia di propaganda interna, o se fa la scelta di proseguire e quindi, scoprendo le carte, deciderà di stare con gli Stati Uniti. 
La decisione appare oltremodo cruciale, poiché il posizionamento strategico della Turchia è fondamentale per l'obiettivo della guerra totale che si vuole organizzare. Qui vi confluiscono infatti gli interessi di Medioriente, Europa e Asia. Se la scelta sarà di allearsi con la Russia, c'è da credere che ci vorrà più tempo per arrivare alla guerra; al contrario le cose potrebbero evolversi molto più velocemente.

fonte: cfr. intervista per "Il vaso di Pandora tv" a Simone Lombardini 
         del 1ottobre 2019. 

   

martedì 15 ottobre 2019

DALLA DIPENDENZA ALL'AUTOSUFFICIENZA - Francesco Rosso


DALLA DIPENDENZA


ALL'AUTOSUFFICIENZA

Impariamo a sganciarci dai poteri forti
e a percorrere la strada della resilienza,
un gradino alla volta


Francesco Rosso

L'ignoranza, unita alla disinformazione guidata ha portato la popolazione occidentale a pensare che sia possibile guarire dalle malattie con una pillola o un'operazione chirurgica. Il marketing dell'industria chimico-farmaceutica è talmente pressante e persuasivo da aver convinto la classe medica del fatto che sia possibile guarire le persone prescrivendo unicamente dei trattamenti farmacologici.

L'ESEMPIO PIU' CALZANTE DI DIPENDENZA: I FARMACI

Chiunque abbia una visione aperta e non indottrinata può comprendere la fallacia di questo approccio: i farmaci hanno spesso il solo scopo di eliminare o alleviare il sintomo localizzato. Ad esempio: ho male a un ginocchio e prendo un antidolorifico. Ho la febbre e prendo un anti-infiamimatorio. E' chiaro che non sentirò più dolore o non avrò più l'infiammazione, ma certamente non avrò risolto la causa che mi ha portato al dolore o all'infiammazione.
Il presupposto corretto da cui partire, invece, è che quando percepiamo la malattia in realtà stiamo già guarendo. La malattia infatti è la risposta a un disequilibrio che in alcuni casi potrebbe avere origine in un altro organo o apparato rispetto al sintomo e può essere risolta solo riportando l'organismo in equilibrio. Eliminare il sintomo e non fare nient'altro è semplicemente stupido. La medicina allopatica è certamente molto efficace nel risolvere con successo traumi fisici e malattie acute, ma sta dimostrando ogni giorno di più il suo totale fallimento nei confronti delle malattie croniche e soprattutto nel mantenere le persone sane. Esiste una profonda differenza fra una persona sana e una persona in vita. Ci viene spesso ripetuto che l'aspettativa di vita è aumentata. Ma cosa possiamo dire dell'aspettativa di vita sana?
Per l'industria farmaceutica la vita sana è svantaggiosa. Una persona sana non porta profitti. Una persona morta non porta profitti. Una persona cronicamente malata è un flusso costante di denaro e genera profitto per l'industria.
Per questo la ricerca scientifica difficilmente si orienta verso approcci che non necessitano di medici e farmaci. Quale casa farmaceutica finanzierebbe uno studio per guarire senza farmaci?

IL MARKETING DELLA DIPENDENZA

Tutti vogliono creare dipendenza. Il medico cerca pazienti fedeli che tornino. Le case farmaceutiche cercano clienti fedeli che riacquistino lo stesso farmaco, idealmente per tutta la vita. Tale farmaco avrà degli effetti collaterali previsti dalla casa farmaceutica, la quale avrà pensato anche al farmaco per gestire l'effetto collaterale e così via. Pensiamo ad esempio al farmaco che crea problemi allo stomaco per cui poi bisogna prendere quello per proteggerlo, ma che ha altri effetti collaterali.
Questo accade in tutti i campi, non solo in quello della medicina e della salute. Classico è l'esempio del computer che poco dopo l'acquisto viene colpito da un virus, per il quale ci viene proposto di acquistare l'antivirus. Le lampadine, gli elettrodomestici, le automobili si rompono in maniera programmata e spesso non c'è più possibilità di ripararli: ci viene detto che "conviene" acquistarli nuovi. Ma conviene a chi? I vari Netflix, Prime Sky, le app che scarichiamo: tutto dev'essere costantemente rinnovato e non riusciamo più a pensare di fare a meno di questi servizi.
Tutto il sistema economico in cui viviamo è pensato per creare dipendenza e più un'azienda vi rende dipendenti, più alti saranno i suoi profitti.

TRE GIORNI PER VIVERE O MORIRE

Nell'ultimo secolo il paradigma della dipendenza è andato sempre crescendo e oggi in Occidente la nostra vita dipende da un piccolo gruppo di aziende multinazionali in cui interesse non è il nostro bene, bensì l'aumento dei profitti.
Dipendiamo da una multinazionale per l'acqua che beviamo, per il cibo che mangiamo, per la nostra salute, per l'energia che consumiamo, per il combustibile con cui ci scaldiamo, per il mezzo con cui ci spostiamo, per il social con cui conversiamo, per le ricerche che facciamo, per il nostro intrattenimento. Cosa succederebbe se per qualche motivo le multinazionali da un giorno all'altro cessassero di esistere?
I primi a morire sarebbero coloro che dipendono da farmaci. Chi ha dipendenze come caffè, sigarette, psicofarmaci, droghe, andrebbe subito in forte crisi. Chi non ha scorte di cibo o non se lo autoproduce dopo tre giorni troverebbe i supermercati vuoti. Chi riceve l'acqua grazie alle pompe sarebbe a secco. Le automobili non si muoverebbero più, i riscaldamenti sarebbero spenti. A ben vedere nella storia dell'umanità non siamo mai stati così deboli e dipendenti come oggi.

LA VIA DELLA RESILIENZA

Queste sono solo alcune delle ragioni che nel 2009 mi hanno spinto a fondare "La Fattoria dell'autosufficienza". Tutti dovremmo porci l'obiettivo di essere più resilienti e prepararci a vivere in un mondo nuovo, non più caratterizzato dalla dipendenza.
Certamente è impensabile diventare autosufficienti al cento per cento, ma riuscire ad auto-produrre una buona parte del cibo, dell'energia, dei prodotti per la casa e imparare ad autogestire la propria salute può essere un ottimo punto di partenza. Il movimento della transizione ci insegna che non è necessario fare un passo nel vuoto, ma è sufficiente iniziare a percorrere una nuova strada. Fare periodicamente uno scalino ulteriore verso l'autosufficienza e l'economia locale ci rende più forti, più resilienti, più felici. Oggi in Fattoria consumiamo l'acqua delle nostre sorgenti, mangiamo il cibo proveniente dai nostri orti, le uova delle nostre galline e il miele delle api. Produciamo cereali, legumi, frutta, erbe aromatiche e medicinali. Scaldiamo l'acqua con pannelli solari e caldaie a legna. Gli edifici a risparmio energetico necessitano di poca energia per rimanere caldi e all'occorrenza la nostra legna ci viene in aiuto. Abbiamo un forno a legna costruito con la terra del nostro orto in cui cuciniamo pane e pizza con la farina di grani antichi e la pasta madre auto-prodotta.
Il piano di sviluppo che abbiamo messo a punto ci porterà nei prossimi 6 anni anche all'autosufficienza energetica e abbiamo l'obiettivo di attirare intorno a noi persone con valori simili, per creare insieme a loro una comunità su base intenzionale. La strada da percorrere per essere completamente autosufficienti è ancora lunga, ma già aver intrapreso il percorso mi rende felice.

CANAPA E AUTOSUFFICIENZA

Coltivare la canapa può essere di grande aiuto per l'autosufficienza. A differenza di quello che ci hanno voluto raccontare le multinazionali e i poteri forti, la canapa ha un'infinità di usi molto più interessanti di quello stupefacente per la quale è unicamente conosciuta dalla massa e per questo stigmatizzata.
Il potenziale terapeutico dei suoi fitocomplessi è assolutamente sottostimato: solo a titolo di esempio è eccezionale per risolvere problemi di ansia e stress e può essere utilizzata nella terapia del dolore al posto degli oppiacei che creano dipendenza e una serie infinita di effetti collaterali. Con la canapa è anche possibile costruire automobili, muri, cappotti, tessili, combustibili, olio e farina alimentare, cosmetici. [...] Inoltre è una pianta che in ambiente adatto cresce benissimo senza fertilizzanti e pesticidi, anzi è ottima per ripulire i terreni dalle infestanti in quanto cresce più alta e più veloce di qualsiasi erba spontanea. Se gestissi una multinazionale chimico-farmaceutica e puntassi al mero profitto, farei di tutto per impedire la coltivazione di questa pianta.


fonte: Vivi Consapevole, Magazine di Macrolibrarsi, numero 58, sett.- nov. 2019, pp. 16-19.






lunedì 14 ottobre 2019

IN-FORMAZIONE PERMANENTE ATTIVA - L'INGANNO GLOBALE E LA DISTRAZIONE DI MASSA

IN-FORMAZIONE PERMANENTE ATTIVA


L'INGANNO GLOBALE


E LA DISTRAZIONE DI MASSA

Dinaweh

"Parole sante", si sarebbe detto una volta, quando dall'acclarato sermone di un illustre amministratore dello Spirito, si fosse percepita saggezza, verità e buon senso! 
Oggi tali virtù sembrano finite in "cessione totale commercio", tutt'al più merce rarissima, se non del tutto esaurita. Cosa ci si aspetterebbe infatti dai professionisti della comunicazione in un mondo come il nostro, ove tutto passa attraverso la rete, quella virtuale e quella scritta della comunicazione, intesa come via e canale del sapere, porta obbligata attraverso cui potersi districare in una realtà sempre più complessa ove il codice binario imperversa e la fa da padrone in ogni transazione quotidiana, dal far la spesa a pagare le bollette, premiando in definitiva l'homo technologicus a detrimento dell'analfabeta digitale?

Tali signori dovrebbero essere "i Magistres" nell'arte del comunicare, non solo e non tanto per raccontare frottole a buon mercato, ma per essere latori di verità, corifei della memoria, alfieri della libertà di opinione, custodi di una tradizione comune e condivisa... E invece, nella quasi totalità nessuno di loro è più autorizzato dai loro padroni a svolgere simile servizio e ministero. Essi manifestano le loro intelligenze appiattite e supine di fronte all'autorità assoluta dei loro Signori e, poiché questi ultimi sono i Padroni di quel mondo che conviene mostrare a una plebe sempre più deframmentata e ostile a se stessa, sono pagati, promossi e premiati se confondono quel che rimane di quella stessa plebe, anonima e lobotomizzata. 
Dis-informare diventa per loro parola d'ordine: offuscare la verità, irridere il libero pensatore-intellettuale-filosofo divergente, denigrarne il pensiero, svilirne l'azione; calunniare e ridicolizzare chi si ostina a denunciare e a stanare tutte le falsità, in qualsiasi luogo esse si annidino, dalle asserzioni cattedratiche e roboanti di una scienza ignorante e corrotta, alle fake news di cui straripano le copertine di rotocalchi da sale d'aspetto ambulatoriali o quelle amplificate dagli strilloni televisivi alla Enrico Mentana, che ti assorda anche nei bar del centro o delle asfittiche e gassate periferie cittadine...

Voltiamo pagina dunque, e godiamoci queste tre interviste a Diego Fusaro e a Maurizio Blondet, che ho avuto modo di ascoltare con curiosa attenzione e che ripropongo a voi lettori del blog. I temi trattati in modo informale dai nostri 'divergenti' spaziano dalla bufala del riscaldamento climatico a Greta Thunberg, dalle linee guida seguite dall'attuale pontificato di papa Bergoglio, fino alla vexata questio del fenomeno transgender; tutto questo nell'ottica del loro autentico significato, che spesso si nasconde dietro a ciò che possiamo a buon titolo definire una vera e propria campagna di DISTRAZIONE DI MASSA.
Quale modo migliore per imbonire le folle, disgregandone ogni velleità di appartenere ad un popolo, ad una nazione, e quindi nel riconoscersi in valori sociali e culturali condivisi!? 
...Meglio sia avere dei servi ignoranti e facilmente manipolabili, che vadano pure a 'belare' nelle piazze slogan preconfezionati dalle élites in nome dei loro interessi bilionari sul clima, a insaputa degli ingenui e baldanzosi adolescenti, che poter contare su giovani studenti ricurvi su libri e dispense di aule liceali o universitarie ad acquisire "virtute et conoscentia"!  
Buon ascolto.

Dinaweh



sull'Affaire clima



su papa Bergoglio 



sulle nuove frontiere dell'erotismo 
e della disgregazione sociale 
promossa dalle élites




           






giovedì 10 ottobre 2019

LA NUOVA FRONTIERA - MARGINALI CREATIVI CERCASI


LA NUOVA FRONTIERA


 - MARGINALI CREATIVI -
CERCASI

Vogliamo condividere con voi, amici del blog, la straordinaria esperienza che abbiamo avuto modo di vivere quest'estate io e la mia compagna, partecipando al Corso preliminare di Permacultura, il Permaculture Design Course (PDC) che prevede 72 ore di lezione e pratica da svolgersi in un contesto idoneo di natura; questo corso, accreditato dall'Accademia Italiana di Permacultura, è riconosciuto in tutto il mondo nel circuito delle Accademie di permacultura, sorte con la nascita di questa 'disciplina' grazie ai suoi fondatori, Bill Mollison e David Holmgren. Il corso si prefigge di formare in chi lo pratica una nuova visione del mondo, una nuova capacità di osservare l'esistente e di interagire con la natura, con gli esseri umani e l'ambiente in cui vivono. 
Ma che cos'è la Permacultura? In Italia è ancora poco conosciuta, per ovvie ragioni; i suoi fondatori sono australiani e quando l'hanno portata fuori dall'Australia, si sono diretti in Inghilterra, sviluppando questa pratica soprattutto nei Paesi di lingua anglosassone, già a partire dagli anni Ottanta. Nonostante si sia sviluppata una fitta bibliografia, molti testi in inglese non sono ancora stati tradotti in italiano, anche per la difficoltà nel trovare editori disposti a investire in questo nuovo segmento editoriale, considerato di nicchia e quindi finora poco appetibile. 

Per fortuna in lingua italiana abbiamo la traduzione della "Introduzione alla permacultura", scritta a quattro mani da Bill Mollison e Reny Mia Slay, da cui voglio trarre per voi qui per intero la "Prefazione all'edizione italiana", scritta a cura dell'Accademia Italiana di Permacultura per le edizioni 'Terra Nuova' (Firenze) e l'ultimo paragrafo del libro, scritto dai nostri due autori, Bill e Mia. Non me ne vorranno, né gli uni, né gli altri per questa piccola licenza, la quale altro scopo non ha, se non quello di incuriosire chi legge e di indurlo all'acquisto del libro, essendo informato che ogni copia acquistata contribuisce per una parte del prezzo di copertina (50 centesimi di dollaro australiano) a sostenere le iniziative del "Permaculture Institute" che destina questi fondi alla piantagione di alberi e sostiene economicamente l'attività di associazioni attive nella riforestazione permanente.
Inframmezzate al testo potrete godere di alcune delle foto sulle belle giornate toscane trascorse in compagnia di un sacco di amici durante il PDC, con la speranza di invogliare qualcuno di voi a iniziare il per-corso permaculturale, che sicuramente cambia la vita e il modo stesso di concepirla.

A conclusione del nostro excursus, le interviste ad alcuni dei docenti di permacultura che abbiamo avuto modo di conoscere, amare e stimare durante il corso e l'intervista a Francesco e Giorgia di Tertulia Farm, che hanno reso possibile, gradevole e stupendo il corso di permacultura.  
Buona visione a tutti!

Dinaweh



Prefazione all'edizione italiana
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a cura dell'Accademia Italiana di Permacultura


"Tutti riconosciamo che il nostro lavoro è modesto, 
ma la somma dei nostri modesti lavori è straordinaria" 
(Bill Mollison)

"Masanobu Fukuoka, Bill Mollison, David Holmgren, Emilia Hazelip, i coniugi John e Nancy Jack Todd, Claude e Lydia Bourguignon... grandi studiosi e lucidi visionari, maestri nella teoria e nella pratica, hanno offerto a tutti noi un incredibile contributo! Chi ne ha seguito le tracce è potuto emergere dalle confuse ed inquietanti nebbie in cui sono immerse le nostre società e la nostra quotidianità per poter guardare al di là, al mondo di domani e iniziare subito a costruirlo.
Nel 1978 esce Permaculture One di Bill Mollison e David Holmgren, trradotto in italiano da Giannozzo Pucci e Andreas Perschke e pubblicato dai Quaderni d'Ontignano nel 1982. Da allora in italiano non più tradotto nulla. Eppure il movimento della permacultura è cresciuto nel mondo, si è esteso nei diversi continenti, si è evoluto. Difficile capire da quel primo testo che cosa sia oggi la permacultura, tanto che Bill Mollison in Australia lo ritirò dal commercio perché non lo riteneva più rappresentativo.
Ma che cos'è la permacultura? La parola permacultura deriva dalla contrazione dei termini "agricoltura" e "cultura" permanente. La permacultura è un sistema di progettazione per realizzare e gestire una società sostenibile, è allo stesso tempo un sistema di riferimento etico-filosofico ed un approccio pratico alla vita quotidiana: in essenza, la permacultura è ecologia applicata.
L'italiano è l'unica lingua che consente due possibili traduzioni del termine "permaculture": perma-coltura (adottata nella traduzione di Permaculture One) e perma-cultura. La scelta di utilizzare questa seconda versione è stata presa nell'ufficio di Torri Superiore* dopo lunghe discussioni precedentemente avviate con Declan Kennedy (una delle persone che ha portato la permacultura in Europa) e Richard Wade. La decisione ha voluto sottolineare l'evoluzione del pensiero e del movimento permaculturale mondiale.

Leggendo il libro scopriremo che contiene un corpus di attitudini e principi di progettazione identificati e messi a punto dopo lunghe, accurate e approfondite osservazioni della natura e dei suoi cicli. Principi e attitudini che sostanziano una disciplina non dogmatica, al cuore della quale troviamo una sola regola: "take your own responsability", "prenditi la tua responsabilità".

Solo la pragmatica cultura anglosassone poteva condensare in quattro parole un "invito di prassi", che, sorretto da un articolato sistema di principi di riferimento, con sconcertante semplicità racchiude in sé la ricerca di tutta una vita.
Accoglie l'invito la cultura classica della nostra terra antica, la cultura del Mediterraneo, e lo recepisce creativamente per trasformarlo in donne, uomini e comunità, in prodotti della terra, in paesaggio. Il nostro territorio è questo, una inestricabile e complessa trama di umanità, storia e ambiente naturale.
La permacultura è l'arte di tessere relazioni utili, ed è un approccio cosciente al mondo della complessità. La vita è una rete di relazioni e scambi di energia, materia e informazioni, che si rigenera e si mantiene nel tempo. Il libro suggerisce una società che impari dalla natura a valorizzare la biodiversità, ad intessere relazioni utili, a rigenerare se stessa, a mantenersi nel tempo e a creare reti produttive e di scambio ricche e articolate.


Il paesaggio italiano è complesso, presenta molti ecosistemi distribuiti in piccoli, a volte piccolissimi, spazi. Mostra stratificazioni millenarie degli aspetti sociali, storici ed economici che il territorio ha incorporato in sé insieme ai molteplici fattori ambientali.
Che cosa può offrire la permacultura a questo territorio complesso, antico ed ora in affanno?
La permacultura può lavorare a diversi livelli. 
Ai singoli può offrire un sistema di riferimento etico e pratico, che li aiuti a capire il territorio che li circonda e li guidi nei primi passi della pratica quotidiana.


Per i giovani può rappresentare una porta d'accesso che li aiuti a tornare alla campagna, ed in particolare ai territori marginali dimenticati dalla struttura economico-sociale; che li motivi ad investire le proprie capacità lavorative ed ideali per costruire ecosistemi produttivi che conservino e mantengano il paesaggio.



Per i progettisti, gli architetti, i paesaggisti e gli amministratori pubblici può diventare un punto di riferimento progettuale per affrontare le difficoltà del nostro presente, all'interno di una cornice che aiuti ad indirizzare ogni scelta, ogni decisione verso la costruzione di un futuro equilibrato e giusto. La permacultura propone loro di progettare recuperando la capacità di uno sguardo aperto verso il pianeta di oggi e quello di domani, sapendo osservare e capire ciò che il territorio locale offre e chiede.



L'Italia si presta ad una progettazione agricola, territoriale ed urbana che ne sottolinei la diversità e ne valorizzi la struttura, storicamente basata sulla piccola scala. Il paesaggio toscano che ripete all'infinito il modello della mezzadria, del podere e del piccolo borgo ha reso l'Italia famosa in tutto il mondo. Il modello agricolo post-bellico della monocultura e della provincia industrializzata ha creato un paesaggio e un sistema di vita invece monotono e globalmente impersonale.
L'Italia che ha visto nascere il movimento di Slow Food, l'Italia della cultura del buon cibo e della socialità si presta ad accogliere e a sostenere produzioni di piccola scala e di alta qualità. Ed in ultimo, l'Italia delle cento città rinascimentali, nelle quali la dicotomia città-campagna veniva risolta con una geniale compenetrazione e interdipendenza, si presta ora ad una nuova progettazione del paesaggio dove la produzione agricola, il bosco produttivo e i corridoi per la fauna selvatica si avvicinino alle città e dove è possibile si inseriscano nelle cinture urbane.
Introduction to permaculture è stato scritto in Australia. Molte piante e animali usati negli esempi appartengono ai tropici e ai sub-tropici e non crescono nei nostri climi. Non troviamo però alcuna ragione per definire superflue le parti del libro che le trattano: l'Italia, come tutti i paesi del "ricco nord" del mondo, è strettamente dipendente dai suoli delle zone subtropicali per i prodotti agricoli e per il legname, oltre che per le risorse umane e le estrazioni minerali del sottosuolo.
E' importante che ognuno di noi capisca i cicli della materia e della fertilità che regolano gli eco-sistemi produttivi di quei paesi. Un uso più corretto delle nostre pianure e montagne ci renderebbe meno dipendenti dai paesi subtropicali e quei territori potrebbero produrre per soddisfare i bisogni locali, utilizzando metodi di produzione più consoni al proprio clima, eliminando inoltre i costi energetici connessi al trasporto di alimenti da un continente all'altro.

Gli antichi Romani, affamati di legname pregiato, campi di grano e pascoli, hanno portato alla desertificazione di ampie parti delle isole mediterranee e delle coste dell'Africa del nord. Oggi come ieri stiamo ripetendo nella fascia subtropicale le stesse azioni e gli stessi errori, con conseguenze analoghe.
Riteniamo doveroso quindi porre un interesse particolare a queste regioni che da più di un secolo sostengono, senza averlo mai veramente scelto, la straordinaria inefficienza energetica e il folle spreco di risorse che la nostra società perpetua ogni giorno.
Onorare la vita e la complessità dell'esistente. Prendersi la propria responsabilità, abbattere i consumi e le dipendenze. Contribuire a ricreare gli ecosistemi e a mantenerli nel tempo. 



Produrre ovunque possibile una parte del cibo che consumiamo tutti i giorni, o comunque entrare coscientemente nella catena di produzione e distribuzione alimentare. Chiunque può farlo, coltivi! Chi può coltivare in città, anche solo simbolicamente sul proprio balcone, lo faccia! Chi non può, scelga con consapevolezza da chi acquistare e privilegi e sostenga chi avvicina la produzione agricola alle città e alle cinture urbane.




La permacultura è portatrice di una cultura di pace e di cooperazione, è una ricerca di equilibri permanenti e ci invita tutti ad essere artefici e sostenitori di un'agricoltura per cui la gestione e la distribuzione delle risorse sia equa e permanente.
Prendendo spunto dai preziosi suggerimenti che questo libro ci offre possiamo aprire la mente ad una nuova visione e vivere una nuova quotidianità iniziando "dalla porta di casa nostra", come dice Mollison.

Ringraziamo gli autori, Bill Mollison e Reny Mia Slay, ringraziamo tutti coloro che lavorano alla costruzione di un mondo migliore. 
Ringraziamo i progettisti di questo mondo che hanno avuto la visione prima degli altri. Ringraziamo chi nel tempo ha custodito pazientemente le ricchezze naturali, la biodiversità e la fertilità dei suoli, i contadini di ieri e quelli consapevoli di oggi e tutti i permacultori.
Ringraziamo Giannozzo Pucci che ha pubblicato il primo libro di permacultura in Italiano, Francesco Tedesco per aver tradotto il presente volume, Saviana Parodi, Eduardo Montoya e Giuseppe Chia per averne curato la revisione, Mimmo Tringale e AAM Terra Nuova per averlo pubblicato e immesso sul mercato italiano.
Ringraziamo Richard Wade e Ines Sanchez Ortega per aver per primi insegnato in Italia un modulo di permacultura di 72 ore e aver invitato i loro primi studenti-apprendisti a continuare la formazione e a fondare l'Accademia italiana. 

Note:

* Storico ecovillaggio italiano situato vicino a Ventimiglia (IM).

Bill Mollison e Reny Mia Slay, Introduzione alla Permacultura, Terra Nuova edizioni, Firenze, 2014, Prefazione all'edizione italiana, a cura dell'Accademia Italiana di Permacultura, pp. 3-5.








LA COMUNITÀ PERMACULTURALE


Bill Mollison

"Nell'ultimo decennio si è sviluppata la comunità del villaggio globale. Si tratta della più straordinaria rivoluzione del pensiero, dei valori e della tecnologia che si sia mai sviluppata. Questo libro non ha l'intenzione di far "correre più velocemente l'aratro", quanto piuttosto di fornire la filosofia di un nuovo e diverso approccio al territorio e al vivere, che renderà obsoleto l'aratro stesso.
Per quanto mi riguarda non vedo altra soluzione (politico-economica) ai problemi dell'umanità se non la formazione di piccole comunità responsabili, impegnate nell'applicazione della permacultura e di tecnologie appropriate. Credo che i giorni del potere centralizzato siano contati e che una nuova tribalizzazione della società sia un processo inevitabile, anche se in qualche modo doloroso.
Nonostante la scarsa volontà di agire di alcuni, noi dobbiamo trovare i modi per farlo per la nostra stessa sopravvivenza. Non tutti dobbiamo o abbiamo bisogno di essere contadini e coltivatori. Infatti, ognuno ha capacità e forze da offrire e può formare partiti ecologisti o gruppi di azione locali per cambiare le politiche dei nostri governi locali e statali, per richiedere l'uso delle terre pubbliche a beneficio della gente senza terra e unirsi a livello internazionale per spostare le risorse dallo spreco e dalla distruzione verso la conservazione e la costruzione.
Credo che dobbiamo cambiare la nostra filosofia prima di poter cambiare il resto: cambiare lo spirito di competizione che ora pervade anche il nostro sistema educativo, in quella della cooperazione in libere associazioni; mettere al posto del petrolio le calorie e al posto del denaro i prodotti.
Ma il cambiamento più grande che dobbiamo fare è dal consumo alla produzione di cibo, anche se su piccola scala, nei nostri orti. Se anche solo il 10% di noi lo facesse, ce ne sarebbe a sufficienza per tutti. Da qui deriva la futilità dei rivoluzionari che non hanno un orto, che dipendono dal sistema stesso, che attaccano e che producono parole e pallottole e non cibo e protezione. Talvolta sembra che sulla terra tutti noi siamo irretiti, coscientemente o incoscientemente, in una cospirazione che ci mantiene impotenti. E tuttavia le cose di cui le persone hanno bisogno sono pur sempre prodotte da altre persone: solo insieme, possiamo sopravvivere. Noi stessi possiamo porre rimedio alla fame, all'ingiustizia e a tutta la stupidità del mondo. Possiamo farlo comprendendo il modo in cui funzionano i sistemi naturali, attraverso l'attenzione alla forestazione e alla coltivazione in generale e attraverso la contemplazione e la cura della terra.
Le persone che forzano la natura in realtà forzano se stesse. Quando coltiviamo esclusivamente frumento, diventiamo pasta. Se cerchiamo solo quattrini, diventiamo denaro; se restiamo ancorati agli sport di squadra dell'adolescenza, diventiamo palloni gonfiati. Attenzione ai monoculturalisti nella religione, nella salute, nell'agricoltura o nell'industria. La noia li conduce alla pazzia; possono dare inizio a una guerra o impadronirsi del potere proprio perché sono persone incapaci e inermi. Per diventare persone complete dobbiamo percorrere molti sentieri; per possedere davvero qualcosa è necessario prima di tutto dare. Non si tratta di un controsenso: solo chi condivide le proprie multiple e diverse capacità, la propria vera amicizia, il senso di comunità e la conoscenza della terra, sa di essere al sicuro ovunque vada.
Ci sono molte battaglie e avventure da affrontare: la lotta contro il freddo, la fame, la povertà, l'ignoranza, la sovrappopolazione e l'avidità; avventure nell'amicizia, nell'umanità, nell'ecologia applicata e nella progettazione avanzata. Tutto ciò potrebbe creare un'esistenza molto migliore di quella attuale, che potrebbe significare anche la sopravvivenza dei nostri figli.
Per noi non c'è altro sentiero che quello della produttività cooperativa e della responsabilità comunitaria. Imboccate quel sentiero e la vostra vita cambierà in un modo che ancora non potete immaginare."

Bill Mollison, La comunità permaculturale, in, Introduzione alla Permacultura, ibidem, pp. 189-190. 



Contributi video



Alessandro Caddeo



Fabio Pinzi
presidente dell'Accademia Italiana di Permacultura



corso di permacultura 2017 a Tertulia Farm




intervista a Francesco e Giorgiail cuore pulsante di Tertulia Farm 
"Laboratorio vivente di sostenibilità"





...noi a Tertulia, 
corso di Permacultura (PDC) agosto 2019




FINE