sabato 20 maggio 2023

L'ALTRA FACCIA DELL'AMERICA

 

L'ALTRA FACCIA DE
L '  A M E R I C A 



La scoperta del Nuovo Mondo ci ha fatto dimenticare l'enorme prezzo pagato dalle popolazioni native all'arrivo dei Conquistatori bianchi, spagnoli e portoghesi che fossero, i quali, sin da subito, usarono quei territori come di loro esclusiva proprietà, trattando gli indigeni come schiavi, alla stessa stregua di animali da sfruttare o da uccidere, qualora si fossero ribellati alla loro condizione subalterna. 
Non furono tanto le armi a compiere quello che fu un vero e proprio genocidio, quanto le malattie che gli Europei portarono con loro in quelle terre. Anche allora venne minata la salute dei corpi oltreché delle anime. Lo sradicamento dalle loro usanze e credenze e la forzata e brutale conversione al cattolicesimo fecero il resto.
Ci sono tanti modi per uccidere e, a volte, non è necessario annichilire il corpo fisico: si può abbattere un uomo deridendo e denigrando le sue convinzioni più profonde, disperdendo la memoria della propria ancestrale cultura, uccidendo in lui il ricordo degli Antenati, imponendogli una fede sanguinaria e violenta, costringendolo in riserve da dove non sia possibile la fuga.
Tutto questo è stato fatto; tutto questo ha prodotto delle contaminazioni e delle ferite profondissime che, nel corso dei secoli, hanno continuato a disperdere e degradare l'identità di quei popoli al punto da farla scomparire quasi del tutto.
Quale sia la situazione dell'America latina oggi, penso sia davanti agli occhi di tutti. Naturalmente, poste determinate cause, è ovvio che le conseguenze siano il frutto di quelle stesse che l'hanno provocate. 

E' a questo proposito che voglio condividere con voi, cari lettori, un reportage che ho trovato molto significativo, molto più di ogni mia altra riflessione in proposito, tratto dal sito www.iltascabile.com dal titolo "Voci dell'Amazzonia", di Paolo Pecere, filosofo e letterato, scrittore di saggi, racconti e romanzi sul tema della natura e delle implicazioni che essa vincola con la vita umana sul pianeta. Il suo ultimo libro: "Il dio che danza. Viaggi, trance e trasformazioni" (2021). 
In Voci dell'Amazzonia viene descritta la situazione attuale del continente sudamericano, grazie ad un viaggio che lo stesso autore ha compiuto, ove emergono tutte le contraddizioni di quella contaminazione imposta di cui si diceva sopra, ma anche delle avvisaglie di un cambiamento in positivo che sgorga come sorgente pura e immacolata da quella stessa contaminazione che vive nella carne e nel sangue la gente nativa di quelle terre, una volta mescolata suo malgrado alla cultura dominante dei colonizzatori; gente senza scrupoli che da sempre ha sfruttato e calpestato la dignità di popoli anche molto diversi tra loro, ma che sono profondamente legati alle loro radici, anche a costo di affrontare la morte. Naturalmente, come sempre accade, gli effetti collaterali di quell'invasione sono presenti ahimé nelle vite delle stesse vittime, molte delle quali si sono lasciate imbonire e corrompere dalla presenza costante di padroni implacabili, assumendo loro stessi come per osmosi, la stessa ferocia degli invasori, diventando essi stessi cinici nei confronti di chi tra loro, nonostante tutto, rimane abbarbicato e fermo ai valori ancestrali che si vorrebbero estirpare completamente. 

Significativo l'incontro-scontro di queste due culture antitetiche tra loro, raccontato in un libro che due personaggi, l'antropologo Bruce Albert e lo sciamano Davi Kopenawa, hanno scritto a quattro mani: La caduta del cielo (2010). 
Davi Kopenawa, sciamano della popolazione degli Yanomami, racconta attraverso se stesso, la prevaricazione dell'uomo bianco contro i suoi fratelli e le sue sorelle, ma anche il suo riscatto personale e la sua trasformazione che come un boomerang fa da volano anche per il riscatto e la trasformazione dei numerosi popoli nativi che coabitano in quei territori così vasti.

Vi lascio dunque a questo fantastico e spesso terribile viaggio nella memoria di ciò che noi, uomini bianchi, non dobbiamo dimenticare, considerandoci in qualche maniera comunque responsabili dei misfatti perpetrati dai nostri antenati, così come da noi stessi che oggi continuiamo a perpetrare ai danni di quelle popolazioni. Ciò ci serva da monito, ci faccia sentire responsabili e dunque, ci porti a rimediare nel nostro quotidiano, attraverso mille piccole azioni, anche le più semplici eppur significative, per cessare quanto più possibile di essere complici di tutte le rapine che continuano a usurpare diritti e proprietà in nome di un falso progresso e, oggi potremo aggiungere, in nome di un falso "green" dalle mani sporche di sangue innocente.

E noi, cosa possiamo fare? 

Come, mi chiederete? Non dando il nostro consenso a qualsiasi tipo di sfruttamento venga esercitato ai danni di popolazioni come quelle native del Sud o del Nord America, così come a quelle del Continente africano o asiatico. Possiamo fare scelte consapevoli nei nostri acquisti alimentari, per esempio, premiando quelle realtà etiche, equo-solidali, rispettose della terra e delle persone, che qua e là sorgono numerose in ogni angolo del pianeta; non solo per ciò che riguarda gli alimenti, ma per qualsiasi manufatto proveniente da ogni regione del mondo; abbandonando la grande distribuzione e le multinazionali del crimine, che affossano, facendo morire di asfissia qualsiasi attività artigianale locale e le piccole aziende a conduzione familiare. Promuoviamo invece proprio questa tipologia di mercato, meglio se equo e solidale, costruendo un'economia parallela e alternativa a quella delle multinazionali e dei grandi gruppi di potere. Gli esempi sono molteplici di ciò che davvero ognuno di noi può fare per migliorare lo stato febbricitante del pianeta: anche da queste pagine è possibile trovare degli esempi, delle testimonianze concrete di vita, raccontate attraverso video, scritti e immagini. Provate a sfogliare le pagine virtuali di "incantodiluce" e vi troverete davvero tanti spunti di sogni realizzati o in fase di realizzazione. Al termine del post potrete trovare diversi link, per facilitare il vostro viaggio virtuale.  
Buona immersione dunque nella lettura di questo viaggio che l'autore ci offre con passione, ricchezza di documentazione e amore di verità.

Dinaweh


Voci dell'Amazzonia

di Paolo Pecere
tratto dal sito: www.iltascabile.com   


La striscia azzurra del Rio della Amazzoni segna il confine meridionale della Colombia per una settantina di chilometri fino a un puntino sulla mappa, la cittadina di Leticia.
Camminando per mezz'ora lungo la costa si entra in Brasile, a Tabatinga; attraversando il fiume si approda in Perù. Ci vuole un attimo a distogliere lo sguardo dal navigatore - il nome delle leggendarie guerriere, le frontiere nazionali disegnate a tavolino - avvistare un orizzonte d'acqua color caffellatte e scoprirsi totalmente spaesati.

La sera del mio arrivo a Leticia c'è un concorso di bellezza e le stradine sono piene di gente. Il tassista rinuncia ad arrivare in ostello e mi fa scendere a un incrocio allagato. "E' la festa più grande dell'anno", spiega. "Di solito qui non c'è nessuno. Ma oggi vengono le famiglie dai dintorni, da oltre confine". Mi affretto verso i fumi di cucina che segnalano il parco Orellana. Di fronte al palco hanno montato gradinate di legno. Sembra una festa rionale affollata: il presentatore, in camicia a collo alto tesa sulla pancia, chiama sul palco diversi notabili locali per i saluti, introduce spettacoli di danza e musica. Sfilano a turno le tre señoritas in costumi piumati - "Brasile!", "Perù!", "Colombia!" - le tre nazioni rispondono con esplosioni di bandiere, urla e percussioni. Nella scenografia spicca gigantesco il volto di un Indio. Ha l'aria non convinta.

Dietro il palco, a una distanza imprecisata, c'è il fiume, ma non è facile arrivarci a piedi. Leticia dà su una ramificazione laterale, che in questo periodo si ritira a decine di metri dal paese. M'incammino nel buio per ponteggi e piattaforme di legno. Le palafitte stanno alte sul vuoto lasciato dall'acqua. Gli alberi sono carichi di uccelli addormentati, come enormi grappoli neri. Nell'erba in basso brillano gli occhietti rossi di un caimano. Da una finestra vedo due bambini sdraiati per terra, la televisione accesa.

Il giorno dopo, su una barca a motore, finalmente vedo il corso principale del Rìo Amazonas. Ma lo sguardo è incapace di abbracciare questa enormità. Per definirla bisogna tornare alle mappe e alle misure inimmaginabili. In questo tratto il fiume è largo in media tre chilometri, si separa e si dirama in una vasta regione che cambia nel tempo. L'acqua sale di due-tre metri con le piogge, nuove isole si formano, altre scompaiono. Ci si può perdere tra anse e biforcazioni, secche e allagamenti. Soltanto in volo si può distinguere l'alveo del fiume alimentato da duecentoventi affluenti, sinuosi come radici d'acqua. Ma non si può semplicemente parlare di "acqua". In Amazzonia ne esistono tre specie: "bianca" (color caffellatte), "nera" (con riflessi rosso carne) e "chiara" (limpida), a seconda della presenza di sedimenti e residui organici. Le acque nere e bianche per lunghi tratti non si mescolano, formano corsi paralleli. Ognuna definisce un diverso ambiente, con diverse specie di piante e animali, che è vitale distinguere (l'acqua nera, per esempio, è priva di caimani e di zanzare). Tutte confluiscono nel gran fiume, il cui delta, dopo oltre seimilacinquecento chilometri di percorso, è largo duecentoquaranta chilometri. Allora l'enorme massa si scarica nell'Oceano colorandolo e inondandolo fino a centottanta chilometri da riva. Così la spedizione di Colombo che costeggiava il Continente si accorse che qui c'era Qualcosa.

Il modo migliore per esplorare questo mondo è aggirarsi tra gli affluenti minori, nel mio caso il Rio Gamboa e il Rio Yavarì con i loro sistemi di lagune, dove pernotto su anche tra gli alberi o nelle palafitte delle comunità indigene. La foresta è un'esperienza sensoriale e corporea difficilmente descrivibile. Lo sguardo si perde tra foglie e radici, l'olfatto rinasce. Il tatto è immerso in un'umidità primigenia, tra innumerevoli radici filiformi o nodose che salgono da terra e scendono dal cielo. Continuamente il piede affonda in strati morbidi di piante macerate, semi di mille forme e misure, formiche in processione, melma schioccante, correnti d'acqua fresca. Da ogni punto della pelle s'introducono fino alle viscere nuovi segnali con cui il corpo inizia a negoziare. L'udito avverte ma non distingue forme di vita che percorrono ogni spazio, che sentono, vedono e difficilmente sono viste. Aprendo la bocca si gustano i mille sapori delle cortecce aromatiche, dell'acqua dolce che esce dalle liane tagliate, dei frutti. Tutto questo è investito dalla pulsazione della pioggia, che cade improvvisa e violentissima e s'interrompe con rapidità. Ma queste impressioni non sono che un collo di bottiglia percettivo di una realtà concepibile solo con lo studio.

Arrivo alla comunità indigena di Gamboa, una striscia di palafitte sul lungofiume. Qui ogni ragazzino entra nell'età adulta da piccolo, quando riceve la propria canoa scavata nel tronco. S'infilano tra canne e fogliame a pescare. Tornano a riva a oziare sulla sabbia fangosa, mettendo in fuga i pulcini tra gli edifici sonnolenti: la scuola, la chiesa battista appena ridipinta, le grandi case di famiglia sotto cui dormono i cani.




"Nella foresta c'è tutto quel che serve, cibo, acqua, medicine, antidoti", mi spiega Pancho, un uomo della comunità, avanzando col machete tra le fronde. Le piante amazzoniche hanno funzionato a lungo come farmaci sono in un quarto dei nostri medicinali e sono ancora oggetto di ricerca. Tutto trova nuovi nomi sotto la guida della voce straordinariamente calma, lenta e silenziosa di chi qui vive da secoli. Il kapok, o lupuna, è l'albero più grande, che può arrivare fino a sessanta metri. Sulla corteccia passa la linea della marea, che nella stagione più piovosa sommergerà lo spazio in cui camminiamo. Le radici enormi del matamata sembrano tendaggi di legno. Pancho le colpisce col machete e un suono profondo si diffonde per la foresta: "E' l'albero-telefono. Se ti perdi, puoi comunicare la tua posizione a chilometri di distanza". Continua a spiegare che dalla bromelia, i cui fiori rossi attecchiscono su tronchi   e rami come festoni, si estrae un veleno. La caferana e la uacapurana sono per il mal di stomaco. L'unia de gate è un antidolorifico. La cumaseba è contro il freddo. L'abuta combatte il diabete, il capinori il cancro, lo uambe agisce sulla prostata. La polvere dell'arbol talco distrugge i funghi della pelle. Pancho fa piccole incisioni sui tronchi e compaiono strati bianchi, rossi, arancio, si sprigionano profumi. Le radici rosse che serpeggiano nella terra sembrano vene esposte di un organismo gigantesco. Dai tagli nel caucciù scende un'emorragia di liquido bianco, che in mano si fa gomma.

Di sera il flusso delle voci animali sembra una cascata di cristalli. Il sonno è profondissimo, il risveglio è lento. Le conoscenze acquisite di giorno si raccolgono di nuovo nella sensazione, diffusa e potente, di essere in un'altra vita possibile, che non evolve necessariamente in quella che conduciamo nelle città. 
Di avviso opposto è il presidente Bolsonaro, che in questi giorni ha rimarcato la sua idea che l'Amazzonia deve svilupparsi mediante il disboscamento, rivendicando polemicamente che gran parte del territorio "è nostro" - cioè di proprietà del governo brasiliano, non di altri paesi, né dei nativi sottosviluppati - e quindi sul mercato. Affermazioni rese possibili dalla conquista spagnola e portoghese di qualche secolo fa, che perdono senso su scale più ampie. Il pensiero di un'identità globale, necessario per arginare l'effetto distruttivo delle retoriche neoliberiste, può trarre molto dalla conoscenza di questo ecosistema tanto diverso dal nostro, con pochi angoli di interiorità (la scimmia urlatrice che ruggisce all'alba, l'uomo che cammina silenzioso, il tucano che l'osserva dai rami), tutto estroflesso nelle relazioni collettive, nella dipendenza reciproca, nella cooperazione di morte e vita, che ha ispirato diecimila anni di culture prive di denaro e diritti di proprietà prima che la civiltà capitalista decidesse che si trattava di una risorsa da sfruttare.

I primi europei a percorrere questo tratto del fiume furono nel 1541-1542, i marinai della spedizione di Francisco de Orellana. Il viaggio nacque quasi per caso, da un ammutinamento, nel corso di una esplorazione spagnola dell'attuale Ecuador. Pizzarro spedì la nave di Orellana a cercare provviste lungo il fiume Coca, i marinai imposero al capitano di non risalire la corrente e proseguire l'esplorazione. Discesero il Rio Napo e arrivarono, per altri affluenti, al gran fiume. Uno scontro con donne guerriere suggerì il nome delle Amazzoni. Secondo la testimonianza di Orellana, all'epoca lungo le rive fioriva una grande civiltà, che poi sarebbe stata decimata dalle malattie europee.

Senza saperlo anch'io ho seguito quel percorso la prima volta che ho visitato il bacino amazzonico. Mi trovavo a Quito, andai all'aeroporto e comprai un biglietto per Coca. L'aereo era un biplano a trenta posti, la compagnia si chiamava - maledettamente - "Icaro". Il volo fu spaventoso, sfiora le cime delle Ande salendo e cadendo come un otto volante. Fuori dal capannone dell'aeroporto, ancora scosso, entrai in un taxi locale. Il conducente mi chiese "che ci sei venuto a fare a Coca?" e in quel momento i miei occhiali da sole si spezzarono in due. Presi una piroga a motore che in poche ore mi portò in un rustico "ecolodege" gestito da una comunità indigena sul Rio Napo, dove quasi subito fu orgogliosamente servito un rinfresco di benvenuto: larve di scarafaggio su foglie di palma. Ci lavorava come volontaria una giovane spagnola affiliata a Survival.org, una delle ONG che si occupano di promuovere i diritti delle popolazioni indigene. C'era solo un altro ospite nell'area-campeggio, Diego, un basco silenzioso, dall'aria stralunata, che camminava nella foresta con sandali e jeans strappati, indifferente alle sanguisughe e alle punture d'insetto. Mi disse che faceva il falegname e che una volta all'anno, d'estate, lasciava moglie e figlia per venire nella selva.

La fauna del Rio Napo era meno timorosa di quella che ho trovato lungo il Rio delle Amazzoni. Ogni sera falene e serpenti si raccoglievano sulla piattaforma di legno. All'alba gli hoatzin, uccelli simili a grossi fagiani, rumoreggiavano tra i rami degli alberi sulla laguna. María raccolse delle bacche di annatto (o bixa orellana, in onore al navigatore) e ci dipinse delle strisce rosse sul viso. Con lei e Diego camminavamo per sentieri invisibili tra gli alberi e di sera si andava a osservare i caimani, gli stessi che di giorno stavano a guardare mentre tre europei dissennati si tuffavano nella laguna torbida. Un indio ci faceva da guida, indicando i buchi negli alberi da cui si sporgevano le scimmie notturne, gli aoti vociferi, con gli occhi arancioni accecati dalla luce e preoccupati dagli strani intrusi. Visitammo la palafitta dell'indio, nascosta nella vegetazione a pochi metri dal fiume. La casa era povera, i bambini avevano vari problemi di salute. Gli animali domestici erano una scimmia ragno e una enorme tarantola, che la figlia piccola giocava a seguire sul pavimento. Per l'occasione, sotto le foglie di palma, fumava un banchetto di benvenuto. Di nuovo larve, in bianca pappa di platano.
L'indio aveva trent'anni, ne dimostrava sessanta. L'avevano chiamato Washo - Washington - come il Presidente di un paese lontano.






In barca verso il Rio Yavarì, in territorio peruviano, ricevo informazioni sula regione da Antonio, che è stato pescatore, studente di scienze naturali a Manaus, poi è tornato a fare la guida turistica sulla frontiera. Mi parla dell'aumento della temperatura e della diminuzione dei pesci, esportati a 40 tonnellate al giorno solo nei pressi di Leticia. "Quando ero piccolo mio padre batteva i piedi nella barca e subito decine di pesci saltavano dentro". Oggi i pesci sono di meno e molti animali terrestri sono scappati dopo decenni di bracconaggio per la vendita di pelli, piume e altri trofei. Il turismo è uno stimolo ad abbandonare queste pratiche o a combatterle. Osservo che mi sembrano un po' troppi i passaggi di rumorose barche a motore, che lasciano una schiuma bianca sul lungofiume del Gamboa. Comitive di colombiani si spingono fin qui solo per tramortirsi di cibo, farsi lunghe dormite nelle amache e un rapido bagno. "E' vero", concede Antonio, "qui ormai c'è un po' di traffico. Però è un'area molto limitata. Alcune guide sono ex-bracconieri, ex-cercatori d'oro, ex-boscaioli, che lavoravano in tutta la regione. Meglio così per tutti.

Antonio parla la lingua yukuna, sua madre è indigena. Parliamo della prossimità tra uomo e natura tipica delle culture locali. Le maschere di giaguari e altri animali sono impiegate, tra le altre cose, in una cerimonia di ospitalità. Gli ospiti arrivano vestiti da animali e danzano per un giorno sotto gli occhi degli anfitrioni, privi di maschera. La notte la danza degli "animali" continua fuori dalla casa, riproducendo i suoni della foresta. Il giorno dopo gli "animali" si smascherano e si uniscono agli "umani" in casa, dove tutti danzano insieme.

Nelle teche del museo etnografico di Leticia, insieme a costumi e cerbottane ho visto anche gli accessori con cui gli sciamani tritano e fumano le piante allucinogene. Chiedo a Antonio se in zona ce ne sono ancora, di sciamani. "Certo, ci sono. Ma vivono appartati nella selva. Con l'arrivo dei turisti è diventato uno spettacolo". "Un mio amico che vive in Russia, vicino al lago Bajkal, mi diceva cose del genere sullo sciamanismo siberiano. Dice che ormai è soprattutto uno show-manism. Finte cerimonie in costume per turisti russi e cinesi".

"Quando ero piccolo qui c'era quest'uomo, si faceva chiamare El Indio amazónico. Un falso sciamano, un buffone. Andò a Bogotà vestito di piume. Prometteva soluzioni per denaro, amore, lavoro, impotenza. Leggeva mani, occhi, tarocchi. Guadagnò molto denaro, ma dopo un po' non lo prendevano sul serio. Se n'è scappato a fare lo "spiritista" a Miami dove nessuno si accorge dell'inganno. Si è comprato una spider, ora sta in California".

A parte questi casi isolati, dal punto di vista delle culture indigene la colonizzazione ha portato soprattutto sfruttamento e distruzione. Antonio è il primo a nominarmi un romanzo, La voragine (1922) di Josè Eustasio Rivera, che tutti qui conoscono perché si legge nelle scuole. Racconta di due amanti che scappano da Bogotà e vanno nella "selva oscura" amazzonica. Qui i due copriranno come l'impresa di raccolta del caucciù del peruviano Julio César Arana ha prodotto un vero e proprio genocidio. Rivera basò il racconto sulla sua esperienza di viaggio nel sudest della Colombia, trasformandola in un romanzo modernista che adotta lo schema classico del viaggio negli inferi, da cui però la coppia di protagonisti non ritorna.
Il movimento di discesa da Bogotà alla foresta è ripreso nella serie di Netflix Frontera verde (2019), che è stata girata da queste parti. La serie usa attori e lingue indigene, aumentando il contrasto con la cultura ispanofona dei Bianchi. Ma in Frontera verde il rapporto tra Bianchi e indigeni ha una doppia valenza. La protagonista Helena, colombiana, è un'investigatrice venuta dalla capitale per indagare sulla mote di alcune  suore e di una misteriosa indigena il cui corpo resta intatto dopo la mote. Si tratta per lei di un ritorno alle origini, perché Helena è figlia di due studiosi della foresta ed è nata proprio da queste parti. L'indagine comporterà un chiarimento sulla drammatica scomparsa di sua madre e l'acquisizione magica di un'identità seconda, vicina a quella degli indigeni. All'altro polo ci sono una serie di Bianchi ostili alle culture locali, capeggiati da un nazista. L'invenzione di questo cattivo, mosso dall'intento esoterico di appropriarsi del sapere segreto della foresta, si ispira a una circostanza storica: l'emigrazione tedesca nel Dopoguerra, coda di un processo di massa iniziato a metà Ottocento che ha profondamente condizionato l'identità brasiliana e amazzonica (lo raccontava Edgar Reitz nel suo film Die andere Heimat. L'altra patria, 2013). Frontera verde evoca con efficacia le voci, le lingue, il paesaggio di questa regione sviluppa le sue tensioni - l'identità spezzata di paese meticcio, la mercificazione del territorio, l'eredità delle morenti culture amazzoniche - fino a un finale forse deludente, che richiude ogni ferita con una confezione metafisica.

Queste narrazioni colombiane proseguono una riflessione avviata in queste terre dagli Europei e finalmente ne fanno un dialogo a più voci: le basi di questo dialogo furono dettate dalle prime opere di autocritica coloniale come la Brevissima relazione della distruzione delle indie (1552) del domenicano Bartholomé De Las Casas; l'idea di un confronto alla pari fu introdotta dagli scrittori della Francia illuminista e, nel Novecento, da Calude Lèvi-Strauss, che in base a anni di ricerche sul campo confrontò le società "fredde" di quelli che un tempo si chiamavano "selvaggi", statiche e immerse in uno stretto rapporto con l'ambiente naturale, e le società "calde" occidentali, dinamiche e sensibili ai mutamenti storici, interrogandosi sui diversi sistemi cognitivi che vi corrispondevano. Ma il maggiore monumento di questo incontro-scontro è il libro "a due io" che l'antropologo Bruce Albert ha scritto insieme allo sciamano Davi Kopenawa, La caduta del cielo (2010).




I due autori si sono conosciuti nelle terre degli Yanomami, dov'è nato e cresciuto Davi Kopenawa, a un giorno di barca dai luoghi che sto visitando. La vita di Davi è scandita dai momenti-chiave dell'incontro tra due popolazioni: nato negli anni Cinquanta e cresciuto nella foresta, assiste all'arrivo dei Bianchi che vengono a tagliare alberi, cacciare animali, cercare oro, infine a costruire una strada; testimonia la messa in discussione delle tradizioni locali, il diffondersi delle epidemie, la conversione al cristianesimo, l'arrivo di beni e di "nuove parole", ragionamenti minacce e promesse degli invasori mossi dal profitto, la nascita di organizzazioni a tutela degli indigeni. Tutte esperienze che Davi Kopenawa ha vissuto in prima persona, apprendendo la tradizione sciamanica, poi imparando a parlare il portoghese, convertendosi temporaneamente alla fede cristiana e studiando da infermiere, andando a vivere e lavorare con i Bianchi come lavapiatti, poi interprete per la FUNAI (la Fondazione nazionale dell'Indigeno), per rompere infine con i Bianchi e tornare orgogliosamente al suo mondo e alla sua lingua viaggiando occasionalmente per promuovere la sua causa di fronte a platee internazionali. Esperienze che ha deciso di trasmettere in un racconto su "pelle di carta" che è insieme un'autobiografia, un'enciclopedia mitologica degli Yanomami - ben più imponente e rigorosa di altri classici della documentazione etnografica come Dio d'acqua di Marcel Griaule - e la storia di un conflitto interiore e esteriore: politico, sociale, economico, linguistico, filosofico.

Colpisce la lucidità con cui Kopenawa, che non a caso è diventato un protagonista dell'attivismo indigeno, descrive il pensiero dei Bianchi:
I loro capi continuano a dire: "Noi siamo potenti! Possederemo tutta la foresta, Che i suoi abitanti muoiano! Si sono stabiliti senza una ragione su quella terra, che ci appartiene!" Questi Bianchi pensano solo a ricoprire la terra con i loro disegni [le mappe] per tagliarla a pezzi e, infine, cedercene solo alcune parti circondate dai loro giacimenti e delle loro piantagioni. Dopo di che, soddisfatti, dichiareranno: "Ecco al vostra terra. Ve la diamo!".
Colpisce anche il suo elenco dei fattori che distruggono il mondo della foresta e suscitano la sua collera. Il pensiero degli sciamani della sua infanzia, scrive, "non era ancora offuscato dalle merci - pentole, machete, vestiti e così via - ha aperto la strada ai Bianchi. Lo stesso Davi ha desiderato pantaloni, scarpe, orologi, camicie, occhiali e altro:
Non smettevo di pensare al momento in cui sarei diventato adulto e mi dicevo: "Un giorno, possiederò un motore per correre su e giù lungo i fiumi con una grande barca, come i Bianchi!"

Insieme alle merci sono arrivate le epidemie di influenza, morbillo, malaria, tubercolosi, che hanno profondamente colpito la popolazione degli Yanomani. Poi ci sono le "parole" dei Bianchi, che invadono lo spazio della foresta con altrettanta virulenza: "Le loro parole entrano nei nostri pensieri e li offuscano". Si parla di oro, bestiame, colture, ma anche di Dio (Teosi), Satana (Satanasi), Gesù (Sesusi), peccato e inferno: tutte parole che, secondo Kopenawa, sarebbero servite da strumento per assoggettare e ingannare la gente locale. Tutta la sua gente ha subito il fascino della merce e delle parole, si è creduta protetta, mentre stava venendo decimata e chiusa in un recinto.

I tre fattori merci, parole e malattie costituiscono il paradigma con cui Kopenawa analizza il processo della colonizzazione, quasi a fare da contrappunto all'analisi di Jared Diamond in Armi, acciaio e malattie. Ma i tre fattori di Kopenawa rendono conto di un'invasione non soltanto materiale, bensì anche psicologica. Considera le parole come realtà che si muovono nella mente, restano in circolo, formano collegamenti, diventano gesti, orientamenti, tracciano percorsi che si possono seguire e su cui ci si può perdere pericolosamente. Su questo punto lo sciamano non esita a criticare la superficialità e la ristrettezza della sua gente:
Le persone comuni non pensano a queste cose. Quando vedono arrivare dei cercatori d'oro o altri Bianchi, la loro mente rimane vuota. Allora, si limitano a sorridere chiedendo del cibo o delle merci. Non si domandano: "Cosa devo pensare di questi Bianchi? Cosa vengono a fare nella foresta? Sono pericolosi? Devo difendere la mia terra e scacciarli?" No, il loro pensiero rimane piantato ai loro piedi, senza poter avanzare. Riescono solo a dirsi: "Perché preoccuparsi? La foresta è molto vasta e non può essere distrutta. Cerco piuttosto di ottenere vestiti e cartucce!" Quando il pensiero della nostra gente è così confuso, diventa come un cattivo sentiero nella foresta. Lo si segue a fatica nella vegetazione intricata e oscura, si inciampa, si finisce per cadere in un buco o in un corso d'acqua, ci si cavano gli occhi con delle spine o si viene morsi da un serpente. Io, invece, ho voluto prendere un cammino libero la cui chiarezza si apre lontano davanti a me. E' quello delle nostre parole per difendere la foresta".



Seguire le parole Yanomami è quindi un'esigenza pratica, una necessità vitale:
Solo loro possono renderci felici. Imitare quelle di Teosi e dei Bianchi non porta a nulla. Possono solo tormentarci. Ecco perché penso che dobbiamo seguire le tracce dei nostri anziani, come i Bianchi seguono quelle dei loro".
Ma in questo libro, che per su natura è rivolto ai Bianchi, non si tratta di rifiutare ogni contatto. Questa è piuttosto una controffensiva filosofica delle culture amazzoniche in genere, tutte collegate da affinità profonde come il credito assegnato ai viaggi estatici e alle visioni di spiriti naturali indotte da funghi e piante (la "polvere yakoana" degli Yanomami, che in altre culture si chiama yakruna e con altri nomi simili). Le parole degli sciamani, rimarca Kopenawa, comportano rappresentazioni, valori, modi di vivere diversi, che egli intende orgogliosamente esporre ai Bianchi per invocare un loro ravvedimento. Certo, in queste pagine circola quello che non può che apparirci dogmatismo ("E' così", ripete spesso Davi, per asseverare le sue verità). La cosmologia tradizionale alimentata dalle visioni sciamaniche  produce numerosi equivoci geografici e scientifici. Il rifiuto in blocco della cultura che ha conosciuto con gli ammonimenti dei missionari e le violenze dei cercatori d'oro non è moderato dal riconoscimento del contributo di altri Bianchi in difesa della sua cultura e della gentilezza dei medici che l'hanno guarito dalla tubercolosi. Ma al tempo stesso c'è l'esercizio del dubbio, basato sull'immersione in quell'altra identità (per esempio Kopenawa continua a interrogarsi sull'esistenza dell'invisibile Teosi, il Deus dei brasiliani, confrontandolo con gli spiriti xapiri che le piante invece gli fanno vedere).
Ne La caduta del cielo c'è un'elaborazione basata sul confronto culturale e tecnologico, come quando Kopenawa paragona le immagini degli spiriti-animali a delle "fotografie", immagini accessibili solo agli iniziati, di cui gli animali concretamente osservabili nella foresta sono copie mortali, "rappresentanti - insomma, quasi idee platoniche che stanno alla base dell'ordine naturale. E c'è la volontà di comunicare, e quindi tradurre, un'intera visione del mondo a quelle culture cui Kopenawa si rivolge nel suo libro, per far passare almeno un messaggio: "la foresta è viva. Può morire solo se i Bianchi si ostinano a distruggerla". Questa ostinazione ha esiti apocalittici. La morte della foresta farebbe scomparire gli sciamani con le loro visioni, che si oppongono alla distruzione, e "allora moriremo gli uni dopo gli altri e così anche i Bianchi. Tutti gli sciamani periranno. Quindi, se nessuno di loro sopravvive per trattenerlo, il cielo crollerà".





Davi Kopenawa ha percorso un viaggio inverso a quello di tanti Bianchi, dalla foresta alla città e ritorno. Il risultato è un caso unico: la sua voce sapiente e appassionata, che prende la parola con l'assistenza di Bruce Albert, incarna lo sguardo che Montaigne (nel saggio Sui Cannibali), Rousseau (nel Discorso sull'origine della disuguaglianza) e Diderot (nel Supplemento al viaggio di Bouigainville) avevano attribuito al loro indigeno immaginario, facendolo parlare contro l'intolleranza religiosa, la proprietà privata, i lussi, il colonialismo, lo schiavismo, la morale sessuale cristiana. Allo stesso sguardo straniato di Kopenawa le più pacifiche certezze europee appaiono come ridicole assurdità. Così la convinzione che le "pelli di carta" (il denaro) e i "disegni sulla terra" (territori sulle mappe) abbiano un valore. Così l'avido attaccamento al cibo e agli utensili domestici, che i Bianchi concedono solo in cambio di lavoro o li negano perché "Hanno un prezzo". Così la vorace ricerca dell'oro dei cercatori (garimpeiros), paragonati a pecari che mangiano la terra. Con loro Kopenawa ha il suo primo scontro armato e dialoghi di aperto scherno quando questi provano a blandirlo con le loro menzogne:
"Vogliamo cercare l'oro con voi! Siamo amici! Davi, faremo di te un grande capo!" Sentire di nuovo queste parole mi mandò in collera. Gli risposi: "Io non so fare il capo e non mangio l'oro! Non me ne faccio niente di quella polvere che brilla nella sabbia. Dovrei essere un caimano per inghiottirla! Non voglio niente da voi e non vi lasceremo lavorare qui!
Esco dal cosmo amazzonico dal Rio Yavarì approdando alla cittadina brasiliana di Benjamin Constant. La gente beve birra sui barconi ormeggiati, con l'aria di chi non s'aspetta niente. Da qui torno con un motoscafo pubblico fino a Tabatinga, un villaggio di baracche pieno di polli e cani affamati. Proseguo a piedi fino a Leticia. Gli alberi si diradano, lo sguardo si riabitua ai campi coltivati. La deforestazione spicca e induce la riflessione ecologica, come oggi è ovvio. .Lo era meno all'inizio dell'Ottocento, quando Alexander von Humboldt nel suo Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente analizzò su basi scientifiche l'impatto del disboscamento e delle monoculture sull'equilibrio ambientale, denunciando che "le malefatte dell'umanità disturbano l'ordine naturale". Dopo due secoli è possibile e urgente precisare questa analisi: il disboscamento risponde principalmente alla domanda di colture di soja destinate agli allevamenti europei e cinesi, dunque dipende ancora da culture lontane dall'Amazzonia. La lotta indigena ha quindi una portata globale, al tempo stesso ecologica e culturale. La posta in gioco è la foresta, che continua a comparire nel nostro immaginario come un luogo eterno ma in realtà può morire, come nella profezia di Kopenawa. 

Sull'altra sponda del fiume si vede ancora la cresta verde degli alberi, rassicurante nella sua massa sconfinata. Tabatinga sembra un'altra cittadina brutta e caotica sull'orlo di una natura pittoresca, che offre pace e bellezza, trovando nei turisti un nuovo argine alla distruzione. Ma la lotta è in corso anche qui, con le tribù del rio Yavarì. tra un mese, quando sarò tornato in Italia, per strada a Tabatinga uccideranno Maxciel Pereira dos Santos, funzionario della FUNAI e attivista dei diritti degli indigieni. La pace è un'illusione estetica.

  
 Sitografia:


https://incantodiluce.blogspot.com/2019/10/semplicita-volontaria-e-vera-ricchezza.

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/04/sulla-frequenza-dellamore-dinaweh.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/10/la-nuova-frontiera-marginali-creativi.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/09/gli-schiavi-bambini-del-cioccolato.html 

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/05/dalle-parole-ai-fatti.html 

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/05/in-formazione-permanente-attiva-tutti.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2018/01/tornare-alla-madre.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2020/03/amore-e-servizio-in-azione-amor-y.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/12/piccole-e-grandi-azioni-crescono.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2017/06/il-seme-sotto-la-paglia.html

 
 

             

venerdì 12 maggio 2023

DISASTRO AMBIENTALE, CRIMINE CONTRO L'UMANITA'


DISASTRO AMBIENTALE 

CRIMINE CONTRO L'UMANITA' 


OVVERO
 LA GEO-INGEGNERIA CLANDESTINA



20 milioni di euro al giorno 
solo in Italia 
per finanziare la geo-ingegneria clandestina 
Vogliamo svegliarci? 



Troppi gli interessi dietro la geo-ingegneria clandestina e intanto il cielo e gli esseri viventi del pianeta muoiono e si ammalano irreversibilmente, ogni giorno di più.
Il salto di qualità, perpetrato dai militari e dai Governi, è stato compiuto nel dominare i fenomeni naturali, usando questo potere come arma, come mezzo di controllo di popoli e altri stati, attraverso il fenomeno ormai sotto gli occhi di tutti, anche degli "ipovedenti", denominato e conosciuto col nome di "scie chimiche", espressione derivata dall'inglese "chem-trails", abbreviativo di "chemical trails".
Il termine chemtrails, di origine militare, figura nello Space Reservation Act, una proposta di legge presentata nel 2002 dal deputato del Congresso Dennis Kuchinich che chiedeva la messa al bando di tutte le armi esotiche. La sua proposta fu approvata con drastici tagli. Il riferimento a tutte le armi esotiche fu tolto. Possiamo definire il fenomeno "scie chimiche" come "operazioni di geo-ingegneria clandestina, a partire da un documento che ne attesta la veridicità a partire dal 1966. Un documento questo, che dovrebbe essere un forte campanello di allarme per tutti coloro che ancora negano l'esistenza di massiccia attività di modificazione metereologica e climatica, operazioni che sono compiute da vari governi di tutto il mondo. Qui vengono presentati con dovizia di particolari piani di modifica del tempo atmosferico pianificati negli Stati Uniti, riferibili ad un decennio anteriore alla stesura del testo in questione (il documento è visibile nel video caricato qui sotto). Il testo descrive una Commissione speciale, volta a coordinare le molteplici agenzie governative coinvolte nei funesti programmi di geo-ingegneria negli Stati Uniti, assieme a collaboratori indipendenti e alle Università. La commissione si prefigge di valutare e di gestire gli impatti internazionali, le conseguenze legali e sociali, le estinzioni di specie viventi, le conseguenze biologiche delle operazioni di geo-ingegneria clandestina.
Nel 1995 la Marina statunitense intraprese un vasto studio composto da decine di documenti, nei quali si descrivevano, spesso nei particolari, le tecniche da impiegare per la costruzione di una griglia di controllo mondiale, costituita da una serie di strumenti. Tra questi lo studio e la manipolazione della ionosfera, la creazione di strati che ne simulassero le caratteristiche peculiari: gli aerosol, le microonde, l'impiego di polvere intelligente, o smart-dust, la creazione e la distruzione di nebbie e nubi, la stimolazione delle piogge, la desertificazione forzata di vaste aree. 
Il documento è noto col titolo Owning the Weather in 2025, ossia "Dominare il tempo entro il 2025". Lo studio viene spacciato come esclusivamente teorico, ma dall'esame dei diagrammi e dalle immagini si evince che già nel 1995 le operazioni volte al controllo del tempo e del clima erano in avanzata fase di realizzazione. Infatti i nostri cieli sono rigati, opachi, biancastri (effetto albedo), almeno dal 1995.


Le scie di condensazione



Quelle che vediamo sono davvero scie di condensazione? In primo luogo: che cos'è una scia? E' una zona di fluido, liquido o gassoso, situata immediatamente dietro un solido in movimento relativo, rispetto al fluido stesso, caratterizzata dal fatto che in essa il moto è prevalentemente formato da vortici. Le scie di condensazione, in inglese, sono chiamate contrails. Il termine "contrails" è l'abbreviazione di "condensation trails". La loro formazione è legata a specifiche condizioni atmosferiche:

- temperatura inferiore a -40° C
- umidità relativa non inferiore al 70% 
- altitudine superiore agli 8000 metri
- pressione atmosferica idonea

La pressione atmosferica è un parametro significativo; cambia in riferimento alla temperatura; si abbassa con l'aumentare dei valori termici, perché l'aria calda tende a dilatarsi, diventando meno densa e più leggera. E' naturale che tali parametri possono subire dei mutamenti, ma sono oscillazioni lievi che derivano in primo luogo dalla latitudine. Ad esempio, è davvero improbabile che si crei una contrail, o scia di condensazione, in regioni come quelle equatoriali, dove l'aria è tutto l'anno molto calda. Inoltre, ad alta quota, l'aria è molto secca; per questo motivo le scie di condensazione si possono verificare assai raramente.
Gli aerei che tutti possono notare con la loro scia, più o meno lunga, più o meno persistente, volano a bassa o a bassissima quota, dove è impossibile che si verifichi il fenomeno della condensazione. Questo è un fatto dimostrato ed inconfutabile. Quelle scie non persistenti che osserviamo nelle giornate con il cielo del tutto sgombro di nubi, condizione indotta ed artificialmente ottenuta, tramite la diffusione di elementi chimici igroscopici che impediscono la formazione di cumuli da bel tempo, non sono il frutto della condensazione, ma il risultato di speciali carburanti e additivi.  Ciò determina la formazione di false scie di condensa e la ricaduta di polimeri, sotto forma di filamenti, spacciati per tele di ragni volanti! Le scie di condensazione comunque sono un fenomeno rarissimo, tanto che nelle vecchie e blasonate enciclopedie cartacee, il lemma 'scie di condensazione' è assente!


I motori turbofan con high bypass, in uso almeno dagli anni Settanta del XX secolo, non possono produrre scie di condensazione, poiché l'80% dell'aria che li attraversa non entra nella camera di combustione. Allo scarico quindi i gas incombusti sono relativamente freddi. Ciò implica che i propulsori attuali non possono in alcun modo generare scie di condensazione. I carburanti contengono idrocarburi non saturi e sono pertanto soggetti all'ossidazione, che determina un peggioramento del combustibile, reso manifesto dalla formazione di gomme, sviluppo di colore ed abbassamento del numero di ottani. La polimerizzazione implica la formazione di catene, da cui i filamenti di ricaduta. I segnali radar sono attenuati dall'ossigeno e dal vapore acqueo dell'atmosfera terrestre. L'attenuazione diventa significativa a frequenze superiori a 10 GigaHertz. Precipitazioni in atmosfera sotto  forma di pioggia, neve e nebbia possono ridurre significativamente i segnali radar, così come contribuiscono al rumore di fondo. 
Che cosa sono allora le scie che imbrattano il cielo?


Le scie chimiche

Le cosiddette "scie chimiche" sono un fenomeno artificiale; sono rilasciate sia dagli aerei commerciali, aerei passeggeri e cargo, sia dagli aerei militari. Contengono numerosi inquinanti; in primo luogo gli elementi chimici e gli additivi usati nei carburanti aeronautici di nuova generazione, cioè bario, alluminio e manganese.
Le analisi chimiche condotte in molti Paesi hanno accertato la presenza di altri elementi e composti: torio e cesio radioattivi, rame, titanio, cadmio, gallio, silicio, litio, cobalto, piombo, nichel, ferro, etilene di bromuro, un insetticida nocivo quest'ultimo, ufficialmente bandito dall'EPA, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente negli Stati Uniti. Sono stati pure rintracciati agenti patogeni: funghi, batteri e virus
Se la presenza di false scie di condensazione è senza dubbio collegata alla combustione di carburanti e di additivi speciali, come lo stadis 450, il trimetilalluminio o il super-carburante al-ice, non possiamo omettere la questione dei filamenti di ricaduta che immancabilmente sono stati spacciati per tele di ragni migratori volanti. Da che cosa sono composti i filamenti prodotti dal passaggio di questi aerei?


I filamenti di ricaduta 

Nel 2012 i filamenti sono stati analizzati da un laboratorio certificato francese. I risultati sono stati descritti in un rapporto analitico. Tali filamenti aviodispersi sono polimeri organici complessi, a base di composti chimici sintetici, come dimostra l'analisi eseguita su molti prodotti della loro decomposizione termica, tra cui diverse molecole che si trovano comunemente nei carburanti e nei lubrificanti per motori aeronautici. I quattro campioni studiati contengono diversi composti aromatici, sintetici, tossici e tre di essi includono il data: un rappresentante di questa famiglia di prodotti particolarmente temuto per la sua proprietà di interferente sul sistema endocrino. Tutte le molecole organiche, in particolare composti eterociclici presenti nei campioni di filamenti aerodispersi sono fonte di preoccupazione, sia in termini di salute pubblica, sia per il loro impatto ambientale. 


Il cielo dopo il passaggio di questi aerei...

Negli ultimi anni gli aerei che disperdono composti chimici usano sostanze che persistono spesso per pochi secondi, comportandosi come le fantomatiche 'scie di condensazione'. Queste scie persistenti vengono ora usate più raramente. Per lo più sono irrorate sostanze che si possono confondere con le scie di condensa, ma che non lo sono. Quindi: come distinguerle? Il cielo appare ovattato e tende a mantenere una parvenza di azzurro pallido e, particolare importantissimo, la visibilità è ampiamente ridotta. A distanza di poche centinaia di metri e soprattutto in corrispondenza del sole si nota una densa foschia. E' la nebbia chimica di ricaduta. Inoltre, le scie non persistenti, apparentemente di condensa, si trovano alle stesse quote dei cumuli. E' chiaro quindi che si tratta sempre di scie chimiche.

Non so se qualcuno di voi ha fatto caso che, al momento attuale, quando in televisione danno le previsioni del tempo, non fanno più vedere immagini come quella di sopra: si servono ormai esclusivamente della grafica da computer, in modo da evitare di svelare la schifezza che apparirebbe ad occhio nudo sui cieli di tutta la penisola, ogniqualvolta la facessero vedere dal satellite! 
Eccovi un esempio (sulla destra) di ciò che invece vediamo oggi.



Naturalmente, loro sanno tutto!





Gli artefici e gli interessi in gioco

Il via vai in cielo si spiega considerando che gli interessi in gioco sono molteplici, sia civili, sia strategici. La motivazione fondamentale è trasformare l'atmosfera in qualcosa di adatto alle comunicazioni radio; si pensi alla sempre maggiore diffusione dei satelliti, dei radar, del GPS, delle reti wireless, UMTS. I segnali radar sono attenuati dall'ossigeno e dal vapore acqueo nell'atmosfera terrestre. L'attenuazione diventa significativa e frequente superiore ai 10 Gigahertz. Precipitazioni in atmosfera sottoforma di pioggia, neve e nebbia possono ridurre significativamente i segnali radar, così come contribuiscono al rumore di fondo. In generale, maggiore è la frequenza del radar, maggiore è l'attenuazione. Il tasso di attenuazione, sia in caso di una lieve pioggia, sia di nebbia fitta è di circa 0,1 db al km per un segnale di circa 10 Gigahertz radar. Di conseguenza il segnale sarà ridotto di 10 db dopo aver percorso 100 Km in una pioggia moderata o in una nebbia densa. Sappiamo che le pratiche per stimolare le precipitazioni sono la foglia di fico per nascondere la geo-ingegneria illegale. Le inseminazioni atte a favorire le piogge erano un fenomeno relativamente diffuso negli anni Settanta del XX secolo, soprattutto negli Stati Uniti d'America, Israele e Italia. Spesso questo cloud-seeding, che è ancora oggi praticato (ma è un'attività marginale) fu eseguito come preludio ad altri interventi dagli obiettivi ben diversi, anzi, opposti! E' stato dunque un cavallo di Troia per introdurre in modo abusivo operazioni igroscopiche. Il termine "igroscopico" deriva dal greco e significa letteralmente "che cerca, che cattura l'umidità". Le scie igroscopiche sono a base di composti prosciuganti, gel di silicio, trimetilalluminio, litio, carbonato di calcio, composti del bario, ecc., che reagiscono con l'acqua presente in atmosfera. Attraverso le reazioni chimiche si spezza il legame molecolare tra idrogeno ed ossigeno, abbassando spesso e in modo notevole l'umidità dell'aria ed impedendo così la formazione di nubi. Risultato delle reazioni chimiche è anche il rilascio di altri composti dannosi. L'umidità e le nuvole, soprattutto i cumuli che sono i serbatoi della pioggia e che si trovano a quote basse, sono nemiche dei sistemi radar e satellitari che operano in un particolare range di frequenza. Le nubi naturali disturbano e diradano i segnali elettromagnetici. Il fenomeno è denominato scattering (dispersione). I militari hanno risolto il problema distruggendo le formazioni nuvolose. Le squadriglie di velivoli, civili o militari, bloccano o indeboliscono le perturbazioni con la diffusione di composti tossici e nocivi. Di solito per queste operazioni gli aerei volano a bassa o a bassissima quota, alla base delle nuvole. Ciò avviene perché le correnti ascensionali portano poi i composti verso le nuvole naturali, che sono dissolte e sostituite da una patina grigiastra. Le scie igroscopiche, ovvero 'disseccanti' persistenti e non persistenti, provocano un effetto serra, poiché creano uno schermo che imprigiona la radiazione infrarossa, associata ad energia termica, cioè al calore, proveniente dal suolo. Queste scie, diffondendosi ed allargandosi, velano la luce solare, interferendo con la fotosintesi e con i processi biologici di tutti gli esseri viventi.
Si conclamano con cieli opachi o striati e causano siccità o, quando l'energia di un fronte perturbato si concentra in un'area limitata, disastrosi nubifragi.
Anche certe frequenze elettromagnetiche scindono il legame tra l'ossigeno e l'idrogeno nella molecola dell'acqua; quindi queste emissioni radio possono essere impiegate per ridurre l'umidità, senza dover ricorrere a composti chimici prosciuganti. Purtroppo il potenziamento del sistema di radiocomunicazioni connesso pure ai numerosi conflitti che insanguinano il pianeta va di pari passo con la devastazione dell'ambiente, con l'incremento di malattie gravi e talvolta mortali tra la popolazione.
La vita e la salute sono state sacrificate sull'altare degli interessi economici e strategici.


Gli obiettivi

Gli interessi in gioco permettono di capire quali sono gli obiettivi. La finalità principale è la creazione di un'atmosfera adatta alle esigenze dei militari e civili nel campo delle radio-comunicazioni. Tale obiettivo spesso è associato al controllo del tempo e del clima. Per questo motivo si parla di guerra climatica. Possedere i fenomeni atmosferici significa dominare l'economia, controllare le risorse. Si possono danneggiare o distruggere i raccolti del nemico, provocando ora siccità prolungate, ora piogge torrenziali.  Sin dagli anni Sessanta del XX secolo Stati Uniti e Unione Sovietica giocano con il clima e con la natura. Gli Stati Uniti, durante la guerra del Vietnam, usarono l'agente Orange per inondare con precipitazioni abbondanti le piste dei Vietcong. I Sovietici, per evitare che le radiazioni di Chernobil si diffondessero sulla Russia fecero scaricare le piogge radioattive sull'Ukraina, usando squadriglie di aerei ad hoc. A distanza di decenni il clima terrestre risulta un insieme caotico di fenomeni artificiali. Le perturbazioni sono indebolite, o potenziate o deviate; le correnti a getto sono dirottate, le temperature conoscono sbalzi tremendi. Il pianeta è stato trasformato in un teatro di guerra climatica, con manifestazioni spesso estreme: uragani, formidabili tempeste di neve, cronica carenza di piogge. Oggi alcuni stati, come la Cina e la Thailandia, hanno enti preposti alla modificazione metereologica. Purtroppo, chi scherza con il fuoco, rischia di bruciarsi. Così, impedire la pioggia in un'area, in occasione di un evento sportivo o politico, significa generare squilibri che poi si traducono in alluvioni o in altri disastri.

La geo-ingegneria clandestina, nata negli anni Sessanta del XX secolo in ambito strategico, è presto diventata una fonte di astronomici profitti per industrie farmaceutiche, chimiche, agroalimentari, nonché per le compagnie aeree. Nel sistema finanziario ed imprenditoriale del pianeta, è difficile trovare qualche società che non tragga immensi vantaggi dalle attività di geo-ingegneria illegale. 
Seguiamo la scia di denaro: le aziende alimentari riescono ad imporre le sementi transgeniche che crescono in regioni afflitte dalla siccità o  dove il terreno è contaminato dall'alluminio. Riusciamo ad immaginare quali immensi utili si possono ricavare, speculando sui mercati finanziari, in particolare acquistando e vendendo azioni delle società agroalimentari e chimiche? 
Mentre la produzione subisce improvvise oscillazioni, molti in borsa si arricchiscono in maniera incredibile! Prevedere e condizionare l'andamento dei titoli è un mezzo per realizzare guadagni esorbitanti. La geo-ingegneria illegale è una gigantesca torta, il cui valore è astronomico. 
Dopo che l'uragano Kathrina ebbe devastato la Lousiana, furono assegnati appalti milionari per la ricostruzione ad aziende legate all'entourage di Bush junior.
Le coperture chimiche e i campi elettromagnetici stanno sciogliendo il pack; si può così accedere ai giacimenti sottostanti. Russia, Norvegia, Stati Uniti non vedono l'ora di mettere le mani sul petrolio e sul gas naturale dell'Artico. Con l'alibi dei cambiamenti climatici, attribuiti falsamente alle emissioni di biossido di carbonio nell'atmosfera si introducono nuove tasse con cui si aumenta il gettito fiscale. 


Ci si è inventati la carbon tax per spillare soldi a imprese e cittadini. 


Le armi climatiche sono anche questo: un affare lucroso che garantisce introiti esorbitanti a profittatori, usurai, compagnie aeree, multinazionali del farmaco, laboratori di ricerca, industrie belliche, centri universitari, disinformatori.
Quindi, oltre che per fini militari,accecamento dei radar nemici, mappatura elettronica del territorio con la dispersione del tossico bario, la geo-ingegneria si rivela un dispositivo polivalente, adatto ad una molteplicità di scopi e facile da usare, grazie al pieno coinvolgimento delle compagnie civili, come testimonia il caso dello scienziato Edward Teller, che suggerì di impiegare aerei civili per diffondere nano-particolato  di alluminio e vetro in atmosfera, con la scusa di ridurre il riscaldamento globale.


Le conseguenze sull'ambiente

Le conseguenze sugli eco-sistemi della geo-ingegneria clandestina sono imponenti: l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo, il suolo su cui coltiviamo le piante sono contaminate. La siccità non distrugge solo i raccolti, ma danneggia pure le foreste in modo irreparabile. I fenomeni climatici estremi sottopongono la vegetazione e la fauna a stress spaventosi: gli equilibri naturali sono quasi compromessi; le piogge torrenziali sono indotte con la dispersione di batteri come l'escherichia coli e lo  pseudomonas syringae. Sono patogeni che, per le loro caratteristiche sono adatti a fungere da nuclei di condensazione

escherichia coli


pseudomonas Syringae


per le precipitazioni. Hanno poi un effetto micidiale, rendendo il terreno friabile destabilizzano il suolo, causando frane e smottamenti.

Gli ecosistemi della Terra stanno lentamente cedendo. il rhizobacterium, un utile microorganismo, si sta estinguendo a causa del bario e dell'alluminio. Questo microorganismo è responsabile del trasferimento dei nutrienti dal suolo al sistema radicale delle piante. Il bario e l'alluminio sono alcalini e stanno modificando il ph del terreno e dell'acqua, portandolo a livelli così alti che le piante non possono sopravvivere. Emblematica è la morìa delle api. Questi utili insetti, da cui dipende l'impollinazione di molti alberi da frutto e da altre essenze vegetali sono vittime delle alte concentrazioni di metalli neurotossici nel loro habitat. Innumerevoli però sono gli animali e le piante che rischiano una rapida estinzione: dai pipistrelli a molte specie dell'avifauna, dagli anfibi agl'imenotteri, dai castagni alle sequoie. In questo modo proliferano parassiti ed insetti nocivi, spesso vettori di malattie.
La geo-ingegneria marina, con cui si diffonde soprattutto ferro mette a repentaglio la flora e la fauna negli oceani, già decimata dagli scarichi delle scorie radioattive prodotte dalle centrali nucleari.
I cetacei, oggetto spesso di una caccia indiscriminata, si spiaggiano a causa delle emissioni elettromagnetiche a bassissima frequenza usate nelle comunicazioni fra sommergibili e fra sommergibili e basi a terra. L'inquinamento da geo-ingegneria non conosce confini: dall'humus alla troposfera, sino all'ozonosfera! 
Osserva il biologo Michael Castle: "il particolato Welsbach è dannoso per gli esseri umani e per l'ambiente". Questa miscela chimica contiene alluminio, torio, sirconio ed altri metalli riflettenti, di cui il 2% è costituito da elementi radioattivi. Molte regioni nel mondo stanno soffrendo di ciò che può essere definito "inquinamento da torio". Il torio può soltanto provenire dalle irrorazioni compiute nella stratosfera. Per tentare di ripristinare l'ozonosfera, strappata dalle radiazioni nucleari, vengono usati il selenio e un idrocarburo aromatico come il toluene, mescolato ad isomeri come lo xylene. Questi composti diffusi da aerei ricadono sulla tropopausa. L'ozono, ossigeno triatomico, si forma rapidamente in seguito alla diffusione di selenio e di toluene, con l'azione dei raggi ultravioletti del sole. Questa è l'identica reazione che produce ozono nella bassa atmosfera ed è problematica. La ricaduta di selenio e di toluene si collega all'esposizione eccessiva al benzene. Il benzene è cancerogeno, com'è noto. L'inquinamento da selenio è caratteristico dall'esposizione a metalli, compreso il piombo.


Le conseguenze sugli esseri viventi

Sono facilmente immaginabili le conseguenze della geo-ingegneria clandestina su tutti gli esseri viventi. In questi ultimi decenni le malattie neuro-degenerative, gli ictus, i tumori hanno conosciuto un'impennata. molte patologie dipendono da un ambiente sempre più inquinato. La causa primaria di questo inquinamento è proprio la geo-ingegneria, all'origine ora di disturbi più o meno fastidiosi, ora di affezioni gravi. I metalli bario, alluminio, ferro, stronzio, manganese che si accumulano nell'organismo soprattutto nel cervello spiegano perché l'Alzheimer e il Parkinson stanno raggiungendo livelli epidemici; non solo: l'età di insorgenza delle malattie neuro-degenerative si sta abbassando in modo pauroso. Gli inquinanti dispersi con gli aerei, sia civili sia militari si aggiungono alle numerose sostanze deleterie per la salute; sostanze che sono dappertutto: negli alimenti, nei cosmetici, nei carburanti automobilistici, nei prodotti per la pulizia della casa. A danno, si aggiunge danno: si rischia di dare il colpo di grazia ad una popolazione il cui sistema immunitario è già provato da uno stile di vita scorretto; dallo stress e da una alimentazione squilibrata. Bisogna aggiungere poi il capitolo dell'elettrosmog. I campi elettromagnetici che agiscono in sinergia con i metalli elettro-conduttivi sono connessi a tutta una gamma di sintomi e di malattie: prurito, eritemi, allergie, disturbi del sonno, ansia cefalee, emicranie, sindromi depressive, crampi, dolori muscolari, aritmie, disturbi della pressione arteriosa, ictus, riduzione della sintesi della melatonina, alterazione del numero dei globuli bianchi, aborti spontanei. E' sufficiente un esame del sangue, o mineralogramma, analisi del capello, per rendersi conto di quanti metalli, in quali dosi industriali essi si concentrano nell'organismo.


La disinformazione: l'approccio dei media di regime sulla questione

Con le attività di geo-ingegneria clandestina va di pari passo la disinformazione. La disinformazione consiste nel diffondere notizie false e distorte, per nascondere verità scomode. E' lo strumento principale usato dal potere per tenere sotto controllo i cittadini, la cui attenzione è inviata su temi ininfluenti, su questioni create ad hoc.




Il caso più clamoroso è quello del cosiddetto "effetto serra" che sarebbe causato dalle emissioni di biossido di carbonio in atmosfera. In verità il riscaldamento globale è un pretesto per introdurre nuove tasse e per giustificare politiche pseudo-ambientaliste sempre onerose per la collettività. Tra queste politiche hanno escogitato anche la diffusione in atmosfera di metalli, sulfuri, polimeri e nanoparticelle di vetro. Ciò dovrebbe, secondo i fautori della geo-ingegneria ufficiale, limitare il surriscaldamento della Terra, frapponendo uno strato protettivo utile a riflettere i raggi solari verso lo Spazio. Non si tiene conto degli effetti catastrofici per la vita sulla Terra e inoltre non si considera - volutamente - che la dispersione in bassa atmosfera di metalli e sulfuri è la causa stessa di un indotto effetto atmosfera, poiché questi composti chimici intrappolano la radiazione infrarossa proveniente dalla Terra e e ne impediscono il raffreddamento. Ad ogni modo i cambiamenti climatici da biossido di carbonio sono una menzogna bella e buona, dati in pasto ai media per coprire le operazioni di guerra climatica in corso, almeno dai primi anni Sessanta del XX secolo. 


La disinformazione coincide con i media di regime che, senza eccezione, ignorano la geo-ingegneria abusiva. Quando vi accennano è solo per relegarla nell'ambito delle leggende metropolitane per tacciare gli attivisti e i cittadini preoccupati di essere dei visionari, dei paranoici. Si accusavano di essere dei visionari, dei paranoici gli attivisti e i cittadini che denunciavano i rischi per la salute connessi alle industrie che producevano amianto a Casale Monferrato. a distanza di qualche decennio, la Magistratura ha riconosciuto che numerosi sono stati i morti sia tra gli operai, sia tra gli abitanti di Casale, a causa dell'esposizione delle microfibre di asbesto. Sono state inflitte condanne esemplari, anche se parecchi reati sono andati prescritti.La geo-ingegneria illegale è un inquinamento da amianto moltiplicato per 10.000 ed esteso a quasi tutto il pianeta. La disinformazione è sinonimo di colpevole silenzio, di propaganda e di accanimento


La disinformazione: gli Influencers 

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Beppe Grillo


Striscia la notizia


I più accaniti sono i cosiddetti influencers, o negazionisti o disinformatori. Sono persone arruolate, formate ed indottrinate per disinformare soprattutto sulla rete (Lista dei disinformatori). Sono istruiti con appositi corsi finanziati dall'Unione europea e da alcuni partiti politici. Il loro scopo principale è quello di creare confusione, non appena su intenet o altrove si affrontano argomenti spinosi e di gettare il discredito su ricercatori indipendenti e sui cittadini svegli. Spesso si spacciano per esperti, ricorrendo al solito principio di autorità, ma se si leggono i loro articoli o i loro commenti, non si trova mai una vera confutazione, sostituita o da petizioni di principio o più spesso da insulti e da argomenti ad personam. Cercano così di delegittimare gli interlocutori, accusandoli di ogni nefandezza, calunniandoli senza timore di incorrere in sanzioni di alcun tipo, perché protetti dalle istituzioni, sovente colluse l'ambiente della disinformazione. Centrale in questo campo è il ruolo di alcuni comitati che annoverano tra i soci intellettuali e scienziati prestigiosi, tutti impegnati in una costante propaganda a favore del sistema. 
Come gli altri influencers, questi specialisti, più che tentare di smentire i fatti e le argomentazioni della controparte, ricorrono a considerazioni capziose e soprattutto ad una facile ironia, con atteggiamenti di saccenteria e di arroganza. Non appena si gratta un po', si scopre che essi hanno sempre degli interessi e dei privilegi nel settore farmaceutico, delle bio-tecnologie, delle nano-tecnologie, delle bonifiche ambientali, dell'industria chimica, bellica, delle telecomunicazioni. Soprattutto gravitano nel mondo universitario, con le sue baronie e i suoi intrecci con la realtà produttiva. E' tutto un giro di collaborazioni, di contratti con enti pubblici e società private; perfino con le sedicenti associazioni ambientalistiche, i cui vertici sono in prima linea nel negazionismo!
Efficace cassa di risonanza per la disinformazione organizzata è, come si è visto, il complesso dei media di regime. I depistatori sono coordinati da potenti apparati dello Stato. Queste strutture sovvenzionano campagne virali per accreditare in televisione e sulla rete le versioni ufficialil, nonché promuovono la divulgazione di notizie false a sostegno dell'establishment.


Le prospettive e le azioni di contrasto

Quali scenari si prospettano? Come si può agire? 
Bisogna in primo luogo comprendere che il contrastare la geo-ingegneria clandestina significa preoccuparsi delle generazioni future, dei propri figli. L'azione è doverosa. Se non si riuscirà a fermare le operazioni potremo solo aspettarci fenomeni metereologici estremi, con tutti i danni che ne conseguono. Potremo solo aspettarci un aumento esponenziale delle malattie. E' illusorio confidare in modo eccessivo nelle istituzioni che sono inefficienti, come dimostrato da innumerevoli esempi. Si pensi all'inerzia della Magistratura e degli Enti locali di fronte alle discariche abusive in Campania, dove sono stati interrati per decenni rifiuti tossici e radioattivi, senza che nessuno muovesse un dito. Per decenni sono stati inumati scarti industriali, le scorie sono filtrate nelle falde acquifere e nel suolo, avvelenando tutto; così oggi la Campania, in particolare le province di Napoli e di Caserta, sono ai primi posti nelle statistiche epidemiologiche per quanto riguarda i tumori. Si è forse ancora in tempo per invertire la tendenza. Bisogna provare a coinvolgere biologi, medici, chimici, ambientalisti seri, amministratori onesti, chiedendo loro che si adoperino per mezzo delle loro conoscenze e competenze. E' necessario sensibilizzare il maggior numero di persone possibile, cominciando dal vicino di casa, per passare a parenti ed amici.
Non dimentichiamo che non è in gioco solo la nostra salute, ma che colossali risorse sono sottratte alla collettività perché la geo-ingegneria illegale costa solo in Italia non meno di 20 milioni di euro al giorno! 
Sono fondi di cui sono defraudati lavoratori, cassaintegrati, pensionati, disoccupati, tutte le categorie più deboli, oggi più che mai stritolate da un fisco implacabile. E' necessario presentare il problema, ma anche offrire delle risposte e delle risoluzioni. E' un'occasione per recuperare quella libertà e quella dignità che i governi ci vogliono strappare. Il ricercatore statunitense Ben Wingeton afferma: "I motori a reazione non producono scie di condensazione, se non in condizioni rarissime e comunque gli aerei che eventualmente generano una breve ed effimera contrail sono troppo alti per essere visti da terra. In realtà la maggior parte delle persone non potrà mai vedere una scia di condensa in tutta la sua vita". 
Molti osservatori del cielo e piloti di linea (ti ricordo, tra l'altro, la testimonianza dell'addetto aeroportuale italiano che puoi trovare qui: Bitte, keine reklame. La matrix sta crollando? Dipende da noi.) hanno deciso di esprimere il loro sdegno per la clamorosa disinformazione con cui è occultata la geo-ingegneria clandestina.