giovedì 22 febbraio 2024

L'INTEGRITA' DELL'ESSERE UNIFICATO



    L'INTEGRITA' DELL'ESSERE
      UNIFICATO     













La suggestione di questo video compare sul desktop del mio portatile come per magia; come se l'Universo si incaricasse in questo particolare momento della mia incarnazione di porgermi tutte le risposte, o meglio, tutte le conferme necessarie che dovevano palesarsi alla mia vista interiore e non per un caso, ma per una sincronicità di eventi che si sono dipanati in queste ultime ore.
Succede infatti di scoprire che persone vicine per percorso interiore e condivisione di intenti, si disvelino ai miei occhi e forse anche a loro stesse, agganciate a schemi obsoleti, frutto di condizionamenti derivanti dalle svariate identificazioni sociali, che vogliono per loro natura incasellare la vita degli altri e quindi anche la loro, distinguendo di ognuna la sfera pubblica da quella privata, l'essere dall'avere e dal fare, la professione dalla vita...

Si direbbe che non si sia compreso ancora abbastanza l'entrata in vigore della nuova era tanto decantata tra le fila new age: quella dell'Acquario; era che indicherebbe un altro movimento, un altro concerto: la circolarità dell'essere inscindibile dalla forma, contro la direzionalità di una freccia che scocca dall'interno verso l'esterno, che spicca il suo volo dal dentro al fuori, per riconoscere ruoli e identificazioni completamente scissi e schizofrenici rispetto all'essere fondamentalmente se stessi. 
Quale fessura allora potrebbe insinuarsi in una vita che invece ha scelto di far combaciare totalmente l'essere con il fare, la persona con la maschera, l'identificazione formale con quella sostanziale!?

Nessuna, appunto. 

Questa circolarità dell'essere unificato esprime quindi un'esistenza non affabulata da discorsi, non affaticata da programmi, seminari, esercizi spirituali sterili e inefficaci, dal momento che tutto il resto della propria esistenza rimarrebbe come congelata in un ghiaccio scuro, risultato di vecchie identificazioni imposte dall'esterno: dalla famiglia, dalla scuola, dalla religione, dalla società, dallo Stato....

La circolarità di un'esistenza libera da ogni identificazione invece non si abbisogna di etichette, di ruoli, di definizioni, mentre essenzialmente "è" quello che è; in ogni istante essa vede e percepisce se stessa come un disegno unico, un intreccio di relazioni avvincenti e arricchenti, spunto di rinnovate creazioni, tuffata com'è nell'alveo di quello stesso fiume che si chiama "vita". 
Forse che il pesce che nuota nel mare si sente altro dalla massa d'acqua che tutto lo avvolge, sostiene e vivifica? Se solo per un attimo se lo chiedesse, diventerebbe simultaneamente pasto per altri suoi simili meno problematici di lui!

E dunque, proprio con questi occhi e con queste orecchie ho ascoltato le parole di questi due genii della vita: Tiziano Terzani e Silvano Agosti. In compagnia dei loro scritti e delle loro riflessioni ho trascorso le giornate estive o quelle autunnali di ragazzo; i libri di Tiziano mi hanno allietato e fatto riflettere sulle tematiche scottanti sul senso della vita, attraverso lo sguardo curioso e stupefatto di un uomo che ha saputo entrare dentro gli occhi e le ossa di uomini e donne tanto distanti dalla propria cultura, con rispetto e in punta di piedi. 
Silvano Agosti è stato per me una rivelazione, quando le sue parole ho scoperto davano vita alle mie stesse mai dette, ai miei pensieri solitari che spesso, ancora adolescente, buttavo giù sulla carta di un diario ormai perso tra i mille traslochi e abitazioni che ho cambiato nel corso degli anni. 
Forse proprio il mio stato di viandante, le mie diverse collocazioni giovanili e poi adulte, i diversi abiti che nella mia esistenza ho vestito sin qui, mi hanno reso inidentificabile e hanno soccorso in me quel desiderio del mio io più profondo di essere, al di là di ogni non più necessaria identificazione o ruolo. 
Ecco perché quelle parole sono diventate finalmente vita, scoperta, sfida quotidiana, di contro ad una società programmata, precostituita, dove l'individuo viene catalogato e scisso, separato e isolato dagli altri prima ancora che da se stesso. 

Perché mai poi occorrerebbe vestire i panni del buon "volontario" che, vivendo una vita caotica e senza senso nel perseguire i vecchi schemi di competitività, velocità e consumo, si ritagliasse quel mistico spazio finto, fatto di buone azioni e buoni sentimenti, trattando poi con lo stesso identico piglio e rigore del mondo da cui proviene quei loro simili meno fortunati, autoesclusisi da loro stessi dalla ruota del criceto?

Davvero non più nelle mie corde è questo scisso modo di condurre la vita, sempre alla ricerca di quel senso che, buttato dietro le spalle, qualche ignaro pretende di scorgere davanti a sé!

Viceversa la vita corrisponderebbe a se stessa in ogni attimo e ogni atto sarebbe un tutt'uno con quell'Io unificato a ritrovar la bellezza di essere immersi nella natura, riscoprendo la stanzialità creatrice in una casa nel bosco, diventando una cosa sola con gli alberi, con il canto degli uccelli, vivendo relazioni di verità, autenticità, sostegno e corrispondenza di cuori. Allora e solo allora chi incontrasse un simil viandante non gli chiederebbe più: "Che cosa fai nella vita?", ma vedrebbe semplicemente "chi è" e la domanda, prima ancora di esser formulata, troverebbe da sola la sua risposta.

Dinaweh
  
     

   

mercoledì 14 febbraio 2024

LA SPROFESSIONALIZZAZIONE DELLA MEDICINA - IVAN ILLICH


Propongo alla vostra attenzione una breve lettura, tratta da un caposaldo della produzione saggistica di Ivan Illich, intellettuale di fama internazionale, austriaco di nascita, di padre croato e di madre ebrea sefardita; in realtà dal mio punto di vista, una nobile figura come la sua appartiene al Patrimonio dell'Umanità, anche se molti cercano ancora di etichettarlo come lo storico, lo studioso poliglotta, lo scrittore, il filosofo o il pedagogista. 
Ivan Illilch è una di quelle figure che per fortuna ogni tanto il Padreterno invia sulla Terra a ridestare le coscienze, anche se da quel che si vede in giro, tutto questo "spreco" di saggezza sembra non portare frutti né sostanziali cambiamenti in positivo, anzi: più si procede sulla strada suicida di questa in-civiltà, più le parole e gli scritti di veggenti e profeti del nostro tempo come lui, sembrano ripiombare più forti e attuali sul selciato delle coscienze indurite e assopite dall'inganno materialista, dalla manipolazione della nuova religione, la dogmatica scienza, che si staglia assoluta e vincente sul piedistallo della Ragione. 
Una "Ragione" sempre più miope e via via più arrogante che, con la complicità della tekné si arroga il diritto di scavalcare qualsiasi ostacolo le si frapponga al perseguimento dei suoi fini, spesso, sempre più spesso, al servizio di un potere fraudolento e ingannatore il quale, attraverso la dissonanza cognitiva, spinge e condiziona talmente le deboli menti e i fragili corpi di quest'umanità a fine percorso, da far credere Bene il Male e Male il Bene. 
Non è forse ciò che stiamo vivendo a nostre spese, in questo periodo di  presunta pandemia globale, così a lungo evocata e poi "lanciata sul mercato delle bestie"  che sta contaminando come invisibile veleno le menti ancor più dei corpi, mentre l'industria farmaceutica prospera propinando l'antidoto, ancor più venefico del male che vorrebbe debellare? La cura peggiore della malattia!?

E allora, di chi dovremmo fidarci?

Ivan Illich non aveva ancora assistito allo scempio della pratica medica, dettata dai Protocolli dell'Organizzazione mondiale della Sanità, da quelli transnazionali e nazionali, che a loro volta prendono ordini dalle Multinazionali e dai Signori del Gioco... 
Se tali Protocolli eterodiretti dicono che sei morto di Coronavirus anche se sei entrato in ospedale per un infarto, la diagnosi finale dirà che sei morto a causa del Coronavirus! Viceversa, se sei appena stato inoculato con l'ultimo intruglio anti coronavirus, non testato nemmeno sugli animali e subito lanciato in Borsa, sul mercato e iniettato in vena e, per caso muori subito dopo, o qualche giorno dopo, o qualche settimana dopo, non sei morto per via dell'intruglio: sei morto di infarto! 

Il lungo processo della delega a tutti i livelli nel funzionamento della società che Ivan Illich aveva denunciato allora, ha portato i suoi malevoli frutti, prendendo oggi il sopravvento sulla ragione e sul buonsenso comuni. 

Siamo arrivati al punto che, invece di guarire le malattie, tale "scienza" si vuole occupare del prevenirle, adottando tutta una serie di procedimenti pseudo-terapeutici che non rispondono più ad alcun criterio empirico, ma che si attengono - come fossimo tutti animali da batteria - a formulazioni universalmente adottate per tutti i soggetti, a prescindere dall'anamnesi diagnostica che a ciascun individuo dovrebbe essere garantita, partendo dalla specificità e dalla unicità di cui qualsiasi organismo vivente, inteso anche come Insieme Olistico ove lo Spirito informa la Materia attraverso la quale si manifesta, è portatore

Oggi, siamo ancora così ingenui dal non capire che altri interessi, altri scopi che non sono esattamente quelli di preservare la vita, ma anzi di annichilirla, muovono codesta macchina infernale nel mettere a soqquadro il mondo?
E cosa sono quegli intrugli mortiferi, se non il tentativo di modificare e annichilire per sempre la sacra specificità insita in ciascuno di noi, che ci rende Figli del Sé Cosmico, dotati di quella Luce inestinguibile che si chiama Spirito? La modificazione del codice della vita, il DNA, che tale prassi trans-genica (non più  vaccinale) porta con sé, non ha veramente più nulla di ciò che forse potevamo indicare con il termine di "scienza medica". 
Illich, da ultimo Post-romantico del Novecento che era, preferiva chiamarla "Arte" (medica); oggi non possiamo nemmeno più definirla scienza, tante sono le contaminazioni che l'hanno definitivamente travisata, prevaricata e compromessa. 


Dinaweh 
        


LA SPROFESSIONALIZZAZIONE
DELLA MEDICINA





IVAN ILLICH


Inseguendo l'ideale della scienza applicata, la professione medica ha in gran parte cessato di perseguire gli obiettivi propri di un sodalizio artigiano che mette a frutto la tradizione, l'esperienza pratica, la dottrina e l'intuito e ha finito per svolgere un ruolo che una volta era riservato al clero, usando i principi scientifici a mo' di teologia e i tecnici a mo' di accoliti. Come impresa, la medicina si occupa ormai non tanto dell'arte empirica di guarire il malato curabile, quanto alla ricerca razionalistica diretta a salvare l'umanità dall'assalto del male, dai ceppi della menomazione e addirittura dalla necessità di morire.

Trasformandosi da arte in scienza, il corpo medico ha perso i suoi caratteri di una associazione di artigiani che applicano a beneficio di malati in carne e ossa le regole fissate per guidare i membri del mestiere. E' diventato un apparato ortodosso di amministratori burocratici che applicano principi e metodi scientifici a serie di 'casi' medici.
In altri termini, la clinica è ormai un laboratorio.
Pretendendo di saper prevedere gli esiti senza considerare la prestazione umana di chi deve guarire e la sua integrazione col proprio gruppo sociale, il medico contemporaneo ha assunto la tipica posa del ciarlatano d'una volta.

Come membro della professione. il singolo medico è un elemento inscindibile di una squadra scientifica. La sperimentazione è il metodo della scienza e lo schedario che egli tiene fa parte, gli piaccia o no, del corredo di dati di un'impresa scientifica. Ogni cura non è che la ripetizione di un esperimento, che ha una probabilità di successo definita statisticamente.
Come in ogni operazione che costituisca una vera applicazione scientifica, l'insuccesso è attribuito a qualche specie di ignoranza: insufficiente conoscenza delle leggi che valgono nella situazione particolare, difetto di competenza personale da parte dello sperimentatore nell'attuazione dei metodi e dei principi, o ancora sua incapacità di padroneggiare quella variante sfuggente che è il paziente. Ovviamente, in un'attività medica di questo genere, quanto meglio si domina il paziente, tanto più sarà prevedibile l'esito. E quanto più l'esito sarà prevedibile in riferimento a un'intera popolazione, tanto più si dimostrerà efficace l'organizzazione.

I tecnocrati della medicina tendono a promuovere gli interessi della scienza, non a favorire i bisogni della società. I medici curanti nel loro insieme sono una burocrazia adibita alla ricerca. La loro responsabilità primaria è verso la scienza in astratto o, nebulosamente, verso la loro professione. La loro responsabilità personale per il cliente particolare è stata riassorbita in un vago senso di potere che si estende e a tutti i compiti e a tutti i clienti di tutti i colleghi.
La scienza medica applicata dagli scienziati della medicina fornisce il trattamento corretto e non importa se ne risulterà la guarigione o subentrerà la morte o non ci sarà alcuna reazione da parte del paziente: quel trattamento è legittimato da tabelle statistiche, le quali prevedono con una precisa frequenza tutti e tre gli esiti.
Nel caso concreto il singolo medico potrà ancora ricordarsi che se ha avuto un buon risultato nell'applicazione della sua arte, deve alla natura e al paziente altrettanta gratitudine, quanta il paziente ne deve a lui. Ma solo un alto grado di assuefazione alla dissonanza cognitiva gli permetterà di proseguire nei ruoli divergenti di guaritore e di scienziato. Le proposte che cercano di combattere la iatrogenesi eliminando le ultime tracce di empirismo dall'incontro fra il paziente e il sistema medico sono espressione di una novella crociata di spirito inquisitorio. Usando il credo scientista per svalutare il giudizio politico.

Mentre la misura della scienza è la verifica operativa in laboratorio, la misura della politica è il confronto di avversari che si appellano a una giuria, la quale applica l'esperienza passata a un problema attuale così come è sentito da persone reali. Negando ogni legittimazione pubblica alle entità che non sono misurabili per mezzo della scienza, la richiesta di una pratica medica pura, ortodossa, comprovata, mette al riparo questa pratica da ogni valutazione politica.

La preferenza religiosa data al linguaggio scientifico rispetto a quello del profano è uno dei principali baluardi del privilegio professionale. L'imposizione di questo linguaggio al discorso politico sulla medicina svuota facilmente tale discorso di ogni efficacia.

La sprofessionalizzazione della medicina non implica la messa al bando del linguaggio tecnico come non richiede l'esclusione della competenza autentica, e non è neppure in contrasto con la pubblica critica e denuncia della cattiva pratica medica. Implica bensì una pregiudiziale contro la mistificazione della gente, contro il reciproco accreditamento di presunti guaritori, contro il sostegno pubblico di una corporazione medica e delle sue istituzioni e contro la discriminazione legale ad opera e per conto di persone che i singoli o le comunità hanno scelto e designato come loro guaritori. La sprofessionalizzazione della medicina non significa rifiuto di stanziamenti pubblici per scopi curativi, bensì significa contrarietà all'esborso di questo pubblico denaro su prescrizione o sotto il controllo di membri della corporazione. Non significa l'abolizione della medicina moderna. Significa che nessun professionista deve avere il potere di profondere per qualunque suo paziente un complesso di risorse terapeutiche maggiore di quello che ogni altro possa pretendere per il proprio. Infine, non significa noncuranza per le esigenze particolari che si presentano in particolari momenti della vita: quando si nasce, ci si spezza una gamba, si diventa invalidi o si affronta la morte. La proposta che i medici non siano abilitati da un gruppo di potere non vuol dire che le loro prestazioni non debbano essere valutate, ma che questo giudizio può essere dato più efficacemente da clienti istruiti che dai loro colleghi. Il rifiuto di finanziamenti diretti per gli arnesi tecnici più costosi della magia medica non significa che lo Stato non debba proteggere i singoli dallo sfruttamento dei sacerdoti dei culti medici; significa soltanto che il denaro dei contribuenti non deve servire a instaurare riti del genere.

Sprofessionalizzare la medicina vuol dire smascherare il mito secondo cui il progresso tecnico imporrebbe di risolvere i problemi mediante l'applicazione di principi scientifici, il mito del vantaggio che si ricaverebbe da una maggiore specializzazione del lavoro e dal moltiplicarsi di manipolazioni arcane e il mito che la crescente dipendenza dal diritto di accedere a istituzioni impersonali sia meglio della fiducia dell'uno nell'altro.



Ivan Illich, §La sprofessionalizzazione della medicina, in Nemesi medica. L'espropriazione della salute.