Oggi, 17 febbraio 2019, anniversario della dipartita da questo mondo di Giordano Bruno, mi piace dedicare la narrazione della sua vita (che racconteremo in vari capitoli successivi a questo) a tutti i cercatori, a tutti i "Viandanti del Cielo" sulla Terra, perché la loro ricerca possa trarre spunto ed esempio da quella del grande amico e filosofo, condannato al rogo dalla chiesa cattolica romana la quale, pur avendo fatto abiura degli innumerevoli roghi e chiesto perdono per la condanna a morte di milioni di innocenti, non ha mai chiesto scusa né ha mai ritrattato la condanna a morte di Giordano Bruno per eresia, mentre lo consegnava al braccio secolare per essere torturato e condannato alla morte sul rogo in quel fatidico dì del 17 febbraio 1600 a Campo dei Fiori in Roma, forse l'unica piazza dell'Urbe in cui, paradossalmente, non vi campeggi una chiesa!
Onore dunque a tutti i Giusti, onore al coraggio della Verità, onore al cuore dei Perfetti, onore a Giordano Bruno!
Dinaweh
FILIPPO (GIORDANO) BRUNO
VIANDANTE DEL CIELO
"L'autore, si voi lo conoscete, direste ch'ave una fisionomia smarrita: par che sii in contemplazione delle pene dell'inferno, par sii stato alla pressa come le barrette: un che ride sol per far come fan gli altri: per il più lo vedrete fastidito e bizzarro, non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio d'ottant'anni, fantastico come un cane c'ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla".
Giordano Bruno
Questa la descrizione che il Bruno fa di se stesso all'interno della sua opera Il Candelaio, commedia che vuole essere una feroce condanna della stupidità, dell'avarizia e della pedanteria.
Filippo Bruno era nato nel gennaio del 1548 a Nola, cittadina del regno di Napoli. Fu battezzato col nome di Filippo, in onore dell'erede al trono di Spagna Filippo II. Imparò a leggere e a scrivere da un prete nolano, Giandomenico de Iannello. A quattordici anni parte per studiare nella capitale del regno e nel 1565 entra nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli, dove prende il nome di Giordano in onore del beato Giordano di Sassonia, successore di san Domenico, o forse del frate Giordano Crispo, suo insegnante di metafisica, acquisendo successivamente il titolo di dottore in teologia nel 1575. Fin da questi anni si distingue per la sua grande libertà di spirito: è richiamato per aver staccato dalla parete della sua cella i ritratti dei santi; viene sorpreso a leggere Erasmo da Rotterdam, autore messo all'indice.
Sembra che intorno al 1569 sia andato a Roma e sia stato presentato a papa Pio V e al cardinale Scipione Rebiba, al quale avrebbe insegnato qualche elemento dell'arte mnemonica che tanta parte avrà nella sua speculazione filosofica.
Fu ordinato presbitero nel 1573, celebrando la sua prima messa nel convento di san Bartolomeo presso Salerno.
Nel 1576 la sua indipendenza di pensiero e la sua insofferenza verso l'osservanza dei dogmi si manifestò inequivocabilmente. Bruno, discutendo di arianesimo con un frate domenicano, Agostino da Montalcino, ospite nel convento, sostenne che le opinioni di Ario erano meno perniciose di quel che si riteneva, dichiarando che:
"Ario diceva che il Verbo non era Creatore né creatura, ma medio intra il Creatore e la creatura, come il Verbo è mezzo intra il dicente ed il detto e però essere detto primogenito avanti tutte le creature, non dal quale ma per il quale è stato creato ogni cosa, non al quale ma per il quale si refferisce e ritorna ogni cosa all'ultimo fine, che è il Padre, essagerandomi sopra questo. Per il che fui tolto in suspetto e processato, tra le altre cose, forsi de questo ancora".
Così riferì nel 1592 all'inquisitore veneziano dei suoi dubbi sulla Trinità, ammettendo di aver "dubitato circa il nome di persona del Figliolo e del Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte dal Padre", ma considerando, neoplatonicamente, il Figlio l'intelletto e lo Spirito, pitagoricamente, l'Amore del Padre o l'Anima del mondo, non dunque Persone o Sostanze distinte, ma manifestazioni divine.
La fuga da Napoli
Denunciato da frate Agostino al padre provinciale Domenico Vita, costui istituì contro di lui un processo per eresia e, come racconterà Bruno stesso agli inquisitori veneti: "dubitando di non esser messo in preggione, me partii da Napoli ed andai a Roma". Bruno raggiunse Roma nel 1576, ospite del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, il cui procuratore Sisto Fabri da Lucca, diverrà pochi anni dopo Generale dell'Ordine e nel 1581 censurò i saggi di Montaigne. Sono anni di gravi disordini: a Roma sembra non farsi altro, scriveva il cronista marchigiano Guido Gualtieri, che
"rubare e ammazzare: molti gittati in Tevere, né di popolo solamente, ma i monsignori, i figli di magnati, messi al tormento del fuoco e nipoti di cardinali erano levati dal mondo"
e ne incolpava il vecchio e debole papa Gregorio XIII. Anche Bruno è accusato di aver ammazzato e gettato nel fiume un frate: scrive il bibliotecario Guillaume Cotin il 7 dicembre 1585, che Bruno fuggì da Roma per
"un omicidio commesso da un suo frère per il quale egli è incolpato e in pericolo di vita, sia per le calunnie dei suoi inquisitori che, ignoranti come sono, non concepiscono la sua filosofia e lo accusano di eresia".
Oltre all'accusa di omicidio, Bruno ebbe infatti notizia che nel convento napoletano erano stati trovati tra i suoi libri opere di san Giovanni Crisostomo e di san Gerolamo annotate da Erasmo e che si stava istruendo contro di lui un processo per eresia.
Così, nello stesso anno 1576, Giordano Bruno abbandona l'abito domenicano, riassume il nome di Filippo, lascia Roma e fugge in Liguria. Nell'aprile 1576 Bruno è a Genova e scrive che allora, nella chiesa di Santa Maria di Castello, si adorava come reliquia e si faceva baciare ai fedeli la coda dell'asina che portò Gesù a Gerusalemme. Da qui, va poi a Noli, dove per quattro o cinque mesi insegna grammatica ai bambini e cosmografia agli adulti. Nel 1577 è a Savona, poi a Torino, che giudica "deliciosa città" ma, non trovandovi impiego, per via fluviale di inidirizza a Venezia, dove alloggia in una locanda nella contrada di Frezzeria, facendovi stampare il suo primo scritto, andato perduto De segni de' tempi, "per metter insieme un pocco de danari per potermi sustentar; la qual opera feci veder prima al reverendo padre maestro Remigio de Fiorenza", domenicano del convento dei santi Giovanni e Paolo. Ma a Venezia era in corso un'epidemia di peste che aveva fatto decine di migliaia di vittime, anche illustri come Tiziano, così Bruno va a Padova dove, dietro consiglio di alcuni domenicani, riprende il saio, quindi se ne va a Brescia, dove si ferma nel convento domenicano.
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