FILIPPO (GIORDANO) BRUNO
VIANDANTE DEL CIELO
(terza e ultima parte)
Il ritorno in Francia
Il precedente periodo inglese è da considerarsi il più creativo di Bruno, periodo nel quale ha prodotto il maggior numero di opere fino a quando verso la fine del 1585 l'ambasciatore Castelnau essendo richiamato in Francia lo induce ad imbarcarsi con lui; ma la nave verrà assalita dai pirati, che derubano i passeggeri di ogni avere.
A Parigi Bruno abita vicino al Collège de Cambrai e ogni tanto va a prendere in prestito qualche libro nella biblioteca di Saint-Victor, nella collina di Sainte-Geneviève, il cui bibliotecario, il monaco Guillaume Cotin, ha l'abitudine di annotare giornalmente quanto avveniva nella biblioteca. Entrato in qualche confidenza col filosofo, da lui sappiamo che Bruno stava per pubblicare un'opera, l'Arbor philosophorum, che non ci è pervenuta e che aveva lasciato l'Italia per "evitare le calunnie degli inquisitori, che sono ignoranti e che, non concependo la sua filosofia, lo accuserebbero di eresia".
Il monaco annota tra l'altro che Bruno era ammiratore di Tommaso d'Aquino, che disprezzava "le sottigliezze degli scolastici, dei sacramenti e anche dell'eucarestia, ignote a san Pietro e a san Paolo, i quali non seppero altro che hoc est corpum meum. Dice che i torbidi religiosi sarebbero facilmente tolti di mezzo, se fossero spazzate tali questioni e confida che questa sarà presto la fine della contesa.
Il 28 maggio 1586 fa stampare col nome del discepolo Jean Hennequin l'opuscolo antiaristotelico Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos, partecipando alla successiva pubblica disputa nel Collège de Cambrai, ribadendo le sue critiche alla filosofia aristotelica.
Contro tali critiche si levò un giovane avvocato parigino, Raoul Callier, che replicò con violenza chiamando il filosofo Giordano "Bruto". Sembra che l'intervento del Callier abbia ricevuto l'appoggio di quasi tutti gli intervenuti e che si sia scatenato un putiferio di fronte al quale il filosofo preferì, una volta tanto, allontanarsi, ma le reazioni negative provocate dal suo intervento contro la filosofia aristotelica, allora ancora in grande auge alla Sorbona, unitamente alla crisi politica e religiosa in corso in Francia e alla mancanza di appoggi a corte, lo indussero a lasciare nuovamente il suolo francese.
In Germania
Raggiunta in giugno la Germania, Bruno soggiorna brevemente a Magonza e a Wiesbaden, passando poi a Marburg, nella cui Università risulta immatricolato il 25 luglio 1586 come Theologiae doctor romanensis. Ma, non trovando possibilità di insegnamento, probabilmente per le sue posizioni antiaristoteliche, il 20 agosto 1586 s'immatricola nell'Università di Wittemberg come Doctor italicus, insegnandovi per due anni, due anni che il filosofo trascorre in tranquilla operosità.
Nell'aprile del 1588 Bruno giunge a Praga, in quegli anni sede del Sacro Romano Impero, città dove rimane sei mesi. Dedica un'opera all'imperatore Rodolfo II, gli Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, che tratta di geometria e, nella dedica, rileva come per guarire i mali del mondo sia necessaria la tolleranza, in tutti i campi, da quello politico a quello religioso e filosofico. Ricompensato con trecento talleri dall'imperatore, in autunno Bruno, che sperava di essere accolto a corte, decide di lasciare Praga e, dopo una breve tappa a Tubinga, giunge a Heimstedt, nella cui Università, chiamata Academia Julia, si registra il 13 gennaio 1589. Poche settimane dopo viene scomunicato dal sovrintendente della Chiesa luterana della città, per motivi non noti. Riesce così a collezionare le scomuniche delle maggiori confessioni europee, cattolica, calvinista e luterana.
Si trasferisce nell'aprile del 1590 a Francoforte, ove va ad abitare nel convento dei Carmelitani i quali, per privilegio concesso da Carlo V nel 1531, non erano soggetti alla giurisdizione secolare. Poi passa in Svizzera ove per quattro o cinque mesi insegna filosofia presso Zurigo, per ritornare di nuovo a Francoforte nel luglio del 1591. Francoforte era già allora sede dell'importante fiera del libro, alla quale partecipavano librai da tutta Europa. Era stato così che due editori, il senese Giambattista Ciotti e il fiammingo Giacomo Brittano, entrambi attivi a Venezia, avevano conosciuto il Bruno nel 1590, stando alle successive dichiarazioni di Ciotti stesso al Tribunale dell'Inquisizione di Venezia. Il patrizio veneto Giovanni Francesco Mocenigo, che conosceva Ciotti e aveva comprato nella sua libreria il De minimo del filosofo nolano, affidò al libraio una sua lettera nella quale incitava Giordano Bruno a Venezia, affinché gli insegnasse "li secreti della memoria e li altri che egli professa, come si vede in questo suo libro".
Il ritorno in Italia
Nell'ambito della biografia di Bruno appare quantomeno strano il fatto che egli dopo anni di peregrinazioni in Europa decidesse di tornare in Italia, sapendo che il rischio di finire sotto le mani dell'Inquisizione fosse concreto. La Yates riguardo ciò sostiene che probabilmente Bruno non si considerava anticattolico, ma semmai una sorta di riformatore, che sperava di avere conrete possibilità di incidere sulla Chiesa. Oppure il senso di pienezza di sé o della sua 'missione' da compiere aveva alterato la reale percezione del pericolo cui poteva andare incontro..
Nell'agosto del 1591 è a Venezia. Che egli sia tornato in Italia spinto dall'offerta di Mocenigo non è affatto sicuro, tant'è che passeranno diversi mesi, prima che egli accetti l'ospitalità del patrizio veneziano. In quel periodo Bruno, quarantenne, non era certo un uomo a cui mancavano i mezzi, anzi, egli era considerato "omo universale", pieno di ingegno e ancora nel pieno del suo momento creativo. A Venezia Bruno si trattenne solo pochi giorni per poi recarsi a Padova e incontrare Besler, il suo copista di Helmstedt, Qui tenne per qualche mese lezioni agli studenti tedeschi che frequentavano quella Università e sperò invano di ottenervi la cattedra di matematica, uno dei possibili motivi per cui Bruno tornò in Italia. Tornò a Venezia a novembre, con il ritorno in Germania di Besler per motivi familiari e fu solo verso la fine del marzo 1592 che egli si stabilì nella casa del patrizio veneziano, interessato - quest'ultimo - alle arti della memoria e alle discipline magiche. Il 21 maggio Bruno informò il Mocenigo di voler tornare a Francoforte per stampare delle sue opere: questi pensò che Bruno cercasse un pretesto per abbandonare le lezioni e il giorno dopo lo fece sequestrare in casa dai suoi servitori. Il giorno successivo, il 23 maggio, Mocenigo presentò all'Inquisizione una denuncia scritta, accusando Bruno di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità divina e nella Transustanziazione; di credere nell'eternità dell'anima, del mondo e nell'esistenza di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella reincarnazione, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine. Quel giorno stesso, la sera del 23 maggio del 1592, Giordano Bruno fu arrestato e tratto nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in san Domenico a Castello.
Il processo e la condanna
Naturalmente Bruno sa che la sua vita è in gioco e si difende abilmente dalle accuse dell'Inquisizione veneziana: nega quanto può, tace e mente anche su alcuni punti delicati della sua dottrina, confidando che gli inquisitori non possano essere a conoscenza di tutto quanto egli abbia fatto e scritto e giustifica le differenze fra le concezioni da lui stesso espresse e i dogmi cattolici con il fatto che un filosofo, ragionando secondo "il lume naturale", può giungere a conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere considerato un eretico. Ad ogni buon conto, dopo aver chiesto perdono per gli "errori" commessi, si dichiara disposto a ritrattare quanto si trovi in contrasto con la dottrina della Chiesa.
L'Inquisizione romana chiede però la sua estradizione, che viene concessa, dopo qualche esitazione, dal Senato veneziano. Il 27 febbraio 1593 Bruno è rinchiuso nelle carceri romane del Palazzo del Sant'Uffizio. Nuovi testi, per quanto poco affidabili, essendo tutti imputati di vari reati dalla stessa Inquisizione, confermano le accuse e ne aggiungono di nuove.
Giordano Bruno fu forse torturato alla fine di marzo 1597, secondo la decisione della Congregazione presa il 24 marzo, stando all'ipotesi avanzata da Luigi Firpo e Michele Ciliberto, una circostanza negata invece dallo storico Andrea Del Col. Giordano Bruno non rinnegò i fondamenti della sua filosofia:
ribadì l'infinità dell'universo, la molteplicità dei mondi, il moto della Terra e la non generazione delle sostanze - "queste non possono essere altro che quel che sono state, né saranno altro che quel che sono, né alla loro grandezza o sostanza s'aggionge mai, o mancarà ponto alcuno, e solamente accade separatione e congiuntione, o compositione, o divisione, o translatione da questo luogo a quell'altro".
A questo proposito spiega che "il modo e la causa del moto della Terra e della immobilità del firmamento sono da me prodotte con le sue raggioni et autorità e non pregiudicano all'autorità della divina scrittura". All'obiezione dell'inquisitore, che gli contesta che nella Bibbia è scritto che la "Terra stat in aeternum" e il Sole nasce e tramonta, risponde che vediamo il Sole "nascere e tramontare perché la Terra se gira circa il proprio centro"; alla contestazione che la sua posizione contrasta con "l'autorità dei Santi Padri", risponde che quelli "sono meno de' filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura".
Il filosofo sostiene che la Terra è dotata di un'anima, che le stelle hanno natura angelica, che l'anima non è forma del corpo e, come unica concessione, è disposto ad ammettere l'immortalità dell'anima umana.
Il 12 gennaio 1599 è invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell'immortalità dell'anima, la sua concezione dell'infinità dell'universo e del movimento della Terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla Congregazione dei cardinali inquisitori, tra i quali il Bellarmino. Una successiva applicazione della tortura, proposta dai consultori della Congregazione il 9 settembre 1599, fu invece respinta da papa Clemente VIII.
Nell'interrogatorio del 10 settembre Bruno si dice ancora pronto all'abiura, ma il 16 cambia idea e infine, dopo che il Tribunale ha ricevuto una denuncia anonima che accusa Bruno di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo Spaccio della bestia trionfante direttamente contro il papa, il 21 dicembre rifiuta recisamente ogni abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire.
L'8 febbraio 1600, al cospetto dei cardinali inquisitori e dei consultori Benedetto Mandina, Francesco Petrasanta e Pietro Millini, è costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scaccia dal foro ecclesiastico e lo consegna al braccio secolare; terminata la lettura della sentenza, secondo la testimonianza di Caspar Schoppe, il Bruno si alza e ai giudici indirizza la storica frase: "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam" ("Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla"). Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua in giova - serrata da una mordacchia, perché non possa parlare - viene condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.
fonte: wikipedia
Contro tali critiche si levò un giovane avvocato parigino, Raoul Callier, che replicò con violenza chiamando il filosofo Giordano "Bruto". Sembra che l'intervento del Callier abbia ricevuto l'appoggio di quasi tutti gli intervenuti e che si sia scatenato un putiferio di fronte al quale il filosofo preferì, una volta tanto, allontanarsi, ma le reazioni negative provocate dal suo intervento contro la filosofia aristotelica, allora ancora in grande auge alla Sorbona, unitamente alla crisi politica e religiosa in corso in Francia e alla mancanza di appoggi a corte, lo indussero a lasciare nuovamente il suolo francese.
In Germania
Raggiunta in giugno la Germania, Bruno soggiorna brevemente a Magonza e a Wiesbaden, passando poi a Marburg, nella cui Università risulta immatricolato il 25 luglio 1586 come Theologiae doctor romanensis. Ma, non trovando possibilità di insegnamento, probabilmente per le sue posizioni antiaristoteliche, il 20 agosto 1586 s'immatricola nell'Università di Wittemberg come Doctor italicus, insegnandovi per due anni, due anni che il filosofo trascorre in tranquilla operosità.
Nell'aprile del 1588 Bruno giunge a Praga, in quegli anni sede del Sacro Romano Impero, città dove rimane sei mesi. Dedica un'opera all'imperatore Rodolfo II, gli Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, che tratta di geometria e, nella dedica, rileva come per guarire i mali del mondo sia necessaria la tolleranza, in tutti i campi, da quello politico a quello religioso e filosofico. Ricompensato con trecento talleri dall'imperatore, in autunno Bruno, che sperava di essere accolto a corte, decide di lasciare Praga e, dopo una breve tappa a Tubinga, giunge a Heimstedt, nella cui Università, chiamata Academia Julia, si registra il 13 gennaio 1589. Poche settimane dopo viene scomunicato dal sovrintendente della Chiesa luterana della città, per motivi non noti. Riesce così a collezionare le scomuniche delle maggiori confessioni europee, cattolica, calvinista e luterana.
Si trasferisce nell'aprile del 1590 a Francoforte, ove va ad abitare nel convento dei Carmelitani i quali, per privilegio concesso da Carlo V nel 1531, non erano soggetti alla giurisdizione secolare. Poi passa in Svizzera ove per quattro o cinque mesi insegna filosofia presso Zurigo, per ritornare di nuovo a Francoforte nel luglio del 1591. Francoforte era già allora sede dell'importante fiera del libro, alla quale partecipavano librai da tutta Europa. Era stato così che due editori, il senese Giambattista Ciotti e il fiammingo Giacomo Brittano, entrambi attivi a Venezia, avevano conosciuto il Bruno nel 1590, stando alle successive dichiarazioni di Ciotti stesso al Tribunale dell'Inquisizione di Venezia. Il patrizio veneto Giovanni Francesco Mocenigo, che conosceva Ciotti e aveva comprato nella sua libreria il De minimo del filosofo nolano, affidò al libraio una sua lettera nella quale incitava Giordano Bruno a Venezia, affinché gli insegnasse "li secreti della memoria e li altri che egli professa, come si vede in questo suo libro".
Il ritorno in Italia
Nell'ambito della biografia di Bruno appare quantomeno strano il fatto che egli dopo anni di peregrinazioni in Europa decidesse di tornare in Italia, sapendo che il rischio di finire sotto le mani dell'Inquisizione fosse concreto. La Yates riguardo ciò sostiene che probabilmente Bruno non si considerava anticattolico, ma semmai una sorta di riformatore, che sperava di avere conrete possibilità di incidere sulla Chiesa. Oppure il senso di pienezza di sé o della sua 'missione' da compiere aveva alterato la reale percezione del pericolo cui poteva andare incontro..
Nell'agosto del 1591 è a Venezia. Che egli sia tornato in Italia spinto dall'offerta di Mocenigo non è affatto sicuro, tant'è che passeranno diversi mesi, prima che egli accetti l'ospitalità del patrizio veneziano. In quel periodo Bruno, quarantenne, non era certo un uomo a cui mancavano i mezzi, anzi, egli era considerato "omo universale", pieno di ingegno e ancora nel pieno del suo momento creativo. A Venezia Bruno si trattenne solo pochi giorni per poi recarsi a Padova e incontrare Besler, il suo copista di Helmstedt, Qui tenne per qualche mese lezioni agli studenti tedeschi che frequentavano quella Università e sperò invano di ottenervi la cattedra di matematica, uno dei possibili motivi per cui Bruno tornò in Italia. Tornò a Venezia a novembre, con il ritorno in Germania di Besler per motivi familiari e fu solo verso la fine del marzo 1592 che egli si stabilì nella casa del patrizio veneziano, interessato - quest'ultimo - alle arti della memoria e alle discipline magiche. Il 21 maggio Bruno informò il Mocenigo di voler tornare a Francoforte per stampare delle sue opere: questi pensò che Bruno cercasse un pretesto per abbandonare le lezioni e il giorno dopo lo fece sequestrare in casa dai suoi servitori. Il giorno successivo, il 23 maggio, Mocenigo presentò all'Inquisizione una denuncia scritta, accusando Bruno di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità divina e nella Transustanziazione; di credere nell'eternità dell'anima, del mondo e nell'esistenza di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella reincarnazione, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine. Quel giorno stesso, la sera del 23 maggio del 1592, Giordano Bruno fu arrestato e tratto nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in san Domenico a Castello.
Il processo e la condanna
Naturalmente Bruno sa che la sua vita è in gioco e si difende abilmente dalle accuse dell'Inquisizione veneziana: nega quanto può, tace e mente anche su alcuni punti delicati della sua dottrina, confidando che gli inquisitori non possano essere a conoscenza di tutto quanto egli abbia fatto e scritto e giustifica le differenze fra le concezioni da lui stesso espresse e i dogmi cattolici con il fatto che un filosofo, ragionando secondo "il lume naturale", può giungere a conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere considerato un eretico. Ad ogni buon conto, dopo aver chiesto perdono per gli "errori" commessi, si dichiara disposto a ritrattare quanto si trovi in contrasto con la dottrina della Chiesa.
L'Inquisizione romana chiede però la sua estradizione, che viene concessa, dopo qualche esitazione, dal Senato veneziano. Il 27 febbraio 1593 Bruno è rinchiuso nelle carceri romane del Palazzo del Sant'Uffizio. Nuovi testi, per quanto poco affidabili, essendo tutti imputati di vari reati dalla stessa Inquisizione, confermano le accuse e ne aggiungono di nuove.
Giordano Bruno fu forse torturato alla fine di marzo 1597, secondo la decisione della Congregazione presa il 24 marzo, stando all'ipotesi avanzata da Luigi Firpo e Michele Ciliberto, una circostanza negata invece dallo storico Andrea Del Col. Giordano Bruno non rinnegò i fondamenti della sua filosofia:
ribadì l'infinità dell'universo, la molteplicità dei mondi, il moto della Terra e la non generazione delle sostanze - "queste non possono essere altro che quel che sono state, né saranno altro che quel che sono, né alla loro grandezza o sostanza s'aggionge mai, o mancarà ponto alcuno, e solamente accade separatione e congiuntione, o compositione, o divisione, o translatione da questo luogo a quell'altro".
A questo proposito spiega che "il modo e la causa del moto della Terra e della immobilità del firmamento sono da me prodotte con le sue raggioni et autorità e non pregiudicano all'autorità della divina scrittura". All'obiezione dell'inquisitore, che gli contesta che nella Bibbia è scritto che la "Terra stat in aeternum" e il Sole nasce e tramonta, risponde che vediamo il Sole "nascere e tramontare perché la Terra se gira circa il proprio centro"; alla contestazione che la sua posizione contrasta con "l'autorità dei Santi Padri", risponde che quelli "sono meno de' filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura".
Il filosofo sostiene che la Terra è dotata di un'anima, che le stelle hanno natura angelica, che l'anima non è forma del corpo e, come unica concessione, è disposto ad ammettere l'immortalità dell'anima umana.
Il 12 gennaio 1599 è invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell'immortalità dell'anima, la sua concezione dell'infinità dell'universo e del movimento della Terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla Congregazione dei cardinali inquisitori, tra i quali il Bellarmino. Una successiva applicazione della tortura, proposta dai consultori della Congregazione il 9 settembre 1599, fu invece respinta da papa Clemente VIII.
Nell'interrogatorio del 10 settembre Bruno si dice ancora pronto all'abiura, ma il 16 cambia idea e infine, dopo che il Tribunale ha ricevuto una denuncia anonima che accusa Bruno di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo Spaccio della bestia trionfante direttamente contro il papa, il 21 dicembre rifiuta recisamente ogni abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire.
L'8 febbraio 1600, al cospetto dei cardinali inquisitori e dei consultori Benedetto Mandina, Francesco Petrasanta e Pietro Millini, è costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scaccia dal foro ecclesiastico e lo consegna al braccio secolare; terminata la lettura della sentenza, secondo la testimonianza di Caspar Schoppe, il Bruno si alza e ai giudici indirizza la storica frase: "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam" ("Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla"). Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua in giova - serrata da una mordacchia, perché non possa parlare - viene condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.
fonte: wikipedia
LA FINE
E' SOLO L'INIZIO...
Grazie,
Filippo (Giordano) Bruno!
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