In questa seconda
metà di gennaio 2020 è venuta fuori sul Fatto Quotidiano la pubblicazione – a
quasi trent’anni di distanza – del discorso di Mario Draghi nella famosa
crociera sul panfilo Britannia, nel 1992, dove si decise la privatizzazione (o
meglio, il saccheggio) dell’immenso apparato produttivo e finanziario dello
Stato italiano.
Questo evento fa
sospettare che mani oscure stiano manovrando la vita politica italiana. Del
resto è chiaro ed evidente che qualcuno (i servizi? Parte dei servizi? Servizi
stranieri?) stia tentando di sbarrare la strada ad una eventuale ascesa di
Draghi a Palazzo Chigi se non addirittura al Quirinale.
Entrando nel merito del
discorso tenuto nella sempre negata crociera, si tratta di un documento
dall’eccezionale valore storico e politico. Attesta – anche senza voler dare
un’interpretazione maligna delle parole di Draghi – lo spirito dei tempi
segnati dall’errata convinzione delle virtù taumaturgiche del mercato. La
privatizzazione avrebbe – secondo Draghi – portato maggior efficienza e maggior
crescita e maggiori profitti rispetto a quanto avrebbero fatto i tanto
vituperati boiardi di Stato.
Così erano chiamati
all’epoca i manager pubblici dai corifei del libero mercato, in particolare
l’ultraliberista Scalfari che con una incredibile operazione di mimetizzazione
si spacciava per uomo di sinistra. Dunque in definitiva avrebbero aiutato a
risolvere l’annoso problema dell’alto debito pubblico in rapporto al PIL.
Arrivarono
inefficienza, mancati investimenti, mancata innovazione, spregiudicate
operazioni di pirateria finanziaria e infine licenziamenti e chiusure di
stabilimenti produttivi fino al completo spappolamento di quell’eccezionale
apparato produttivo.
Un danno
incalcolabile che ha distrutto una nazione. Un danno, ora lo si sa con
certezza, deciso in una scellerata crociera al largo delle coste italiane su
una nave battente bandiera britannica e dunque sotto giurisdizione britannica.
Una crociera tenutasi il 2 Giugno del 1992 nei giorni convulsi della strage di
Capaci nella quale morì il giudice Giovanni Falcone. E anche questo riferimento
temporale chiarisce come mani oscure tessevano trame mentre un’intera classe
politica veniva portata in carcere in manette e mentre i competenti in procinto
di entrare al potere agitavano cappi in Parlamento.
Una crociera prima negata additando come
paranoici complottisti coloro che ne parlavano e poi disvelata dal Presidente
Cossiga in TV e da quel punto derubricata a banale cocktail tra amici. Ora, a
quasi trenta anni la prova inoppugnabile che non si trattò di una scampagnata a
spese della Corona Britannica, ma di un vero e proprio atto eversivo ai danni
del popolo italiano.
Pur è vero, chi tira
le prove fuori ora, lo fa per inquinare e per manipolare il corso della vita
politica italiana e probabilmente non è migliore di chi tesseva le trame in
quell’epoca. Ma con quella storia – la nostra Storia – dobbiamo farci i conti.
Draghi (il “vile affarista” di cossighiana memoria) sarà anche un grande
tecnico dell’economia ed un mago dei tassi d’interesse, ma deve spiegare. Non
sui giornali ma in tribunale. Possibilmente dopo che il Parlamento avrà
allargato la platea delle persone accusabili di Alto Tradimento.
Giuseppe Masala
Testo corrente del discorso tenuto da Mario Draghi
sul panfilo Britannia nel giugno del 1992:
⇩
«Signore e signori,
cari amici, desidero anzitutto congratularmi con l’Ambasciata Britannica e gli
Invisibili Britannici per la loro superba ospitalità. Tenere questo incontro su
questa nave è di per sé un esempio di privatizzazione
di un fantastico bene pubblico.
Durante gli ultimi
quindici mesi, molto è stato detto sulla privatizzazione
dell’economia italiana. Alcuni progressi sono stati fatti, nel promuovere
la vendita di alcune banche possedute dallo Stato ad altre istituzioni
cripto-pubbliche, e per questo la maggior parte del merito va a Guido Carli,
Ministro del Tesoro. Ma, per quanto riguarda le vendite reali delle maggiori
aziende pubbliche al settore privato, è stato fatto poco.
Non deve sorprendere,
perché un’ampia privatizzazione è una grande – direi straordinaria – decisione
politica, che scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico, riscrive
confini tra pubblico e privato che non sono stati messi in discussione per
quasi cinquant’anni, induce un ampio processo di deregolamentazione,
indebolisce un sistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese
hanno ancora un ruolo importante. In altre parole, la decisione sulla
privatizzazione è un’importante decisione politica che va oltre le decisioni
sui singoli enti da privatizzare. Pertanto, può essere presa solo da un
esecutivo che ha ricevuto un mandato preciso e stabile.
Altri oratori parleranno dello stato dell’arte in
quest’area: dove siamo ora da un punto di vista normativo, e quali possono
essere i prossimi passaggi. Una breve panoramica della visione del Tesoro sui
principali effetti delle privatizzazioni può aiutare a comunicare la nostra
strategia nei prossimi mesi.
PRIMO:
privatizzazioni e bilancio.
La privatizzazione è
stata originariamente introdotta come un modo per ridurre il deficit di
bilancio. Più tardi abbiamo compreso, e l’abbiamo scritto nel nostro ultimo
rapporto quadrimestrale, che la privatizzazione non può essere vista come
sostituto del consolidamento fiscale, esattamente come una vendita di asset per
un’impresa privata non può essere vista come un modo per ridurre le perdite
annuali. Gli incassi delle privatizzazioni dovrebbero andare alla riduzione del
debito, non alla riduzione del deficit.
Quando un governo
vende un asset profittevole, perde tutti
i dividendi futuri, ma può ridurre il suo debito complessivo e il servizio
del debito. Quindi, la privatizzazione cambia il profilo temporale degli attivi
e dei passivi, ma non può essere presentata come una riduzione del deficit,
solo come il suo finanziamento. (Questo fatto, nella visione del Tesoro, ha
alcune implicazioni che vedremo in un secondo momento).
Le conseguenze
politiche di questa visione sono due. Dal punto di vista della finanza pubblica, il consolidamento fiscale da mettere
a bilancio per l’anno 1993 e i successivi non dovrebbe includere direttamente
nessun ricavo dalle privatizzazioni. Nel contempo, dovremmo avviare un piano di
riduzione del debito con gli incassi
dalle privatizzazioni. Ciò implicherà più enfasi del Tesoro sulle
implicazioni economiche complessive delle privatizzazioni e sull’obiettivo
ultimo di ricostruire gli incentivi per il settore privato.
SECONDO:
privatizzazioni e mercati finanziari.
La privatizzazione implica un cambiamento nella composizione
della ricchezza finanziaria privata dal debito pubblico alle azioni.
L’effetto di
riduzione del debito pubblico può implicare una discesa dei tassi di interesse.
Ma l’impatto sui mercati finanziari può essere molto più importante, quando
vediamo che la quantità di ricchezza
privata in forma di azioni è piccola in relazione alla ricchezza privata
totale e che con le privatizzazioni può aumentare in modo significativo.
In altre parole, i mercati finanziari italiani sono piccoli perché sono istituzionalmente piccoli, ma anche perché – forse in modo connesso – gli investitori italiani vogliono che siano piccoli. Le privatizzazioni porteranno molte nuove azioni in questi mercati. L’implicazione politica è che dovremmo vedere le privatizzazioni come un’opportunità per approvare leggi e generare cambiamenti istituzionali per potenziare l’efficienza e le dimensioni dei nostri mercati finanziari.
TERZO:
privatizzazioni e crescita.
(In molti casi) vediamo le privatizzazioni come uno
strumento per aumentare la crescita. Nella maggior parte dei casi la
privatizzazione porterà a un aumento della produttività, con una gestione
migliore o più indipendente, e a una struttura più competitiva del mercato.
La privatizzazione
quindi potrebbe parzialmente compensare i possibili – ma non certi – effetti di
breve termine di contrazione fiscale
necessaria per un bilancio più equilibrato. In alcuni casi, per trarre
beneficio dai vantaggi di un aumento della concorrenza derivante dalla
privatizzazione, potrebbe essere necessaria un’ampia deregolamentazione. Questo processo, se da una parte diminuisce le
inefficienze e le rendite delle imprese pubbliche, dall’altra parte indebolisce la capacità del governo
di perseguire alcuni obiettivi non di mercato, come la riduzione della disoccupazione
e la promozione dello sviluppo regionale.
Tuttavia,
consideriamo questo processo – privatizzazione accompagnata da
deregolamentazione – inevitabile perché
innescato dall’aumento dell’integrazione europea. L’Italia può promuoverlo
da sé, oppure essere obbligata dalla legislazione europea. Noi preferiamo la
prima strada.
Le implicazioni di policy sono che:
a) un grande rilievo
verrà dato all’analisi della struttura
industriale che emergerà dopo le privatizzazioni, e soprattutto a capire se
assicurino prezzi più bassi e una migliore qualità dei servizi prodotti;
b) nei casi rilevanti
la deregolamentazione dovrà accompagnare la decisione di privatizzare, e
un’attenzione speciale sarà data ai requisiti delle norme comunitarie;
c) dovranno essere
trovati mezzi alternativi per perseguire obiettivi non di mercato, quando
saranno considerati essenziali.
QUARTO:
privatizzazioni e depoliticizzazione.
Un ultimo aspetto attraente della privatizzazione è che è
percepita come uno strumento per limitare l’interferenza politica nella
gestione quotidiana delle aziende pubbliche. Questo è certamente vero e
sbarazzarsi di questo fenomeno è un obiettivo lodevole.
Tuttavia, dobbiamo
essere certi che dopo le privatizzazioni non affronteremo lo stesso problema,
col proprietario privato che interferisce nella gestione ordinaria
dell’impresa. Qui l’implicazione
politica immediata è l’esigenza di accompagnare la privatizzazione con una legislazione in grado di proteggere gli
azionisti di minoranza e di tracciare linee chiare di separazione tra gli
azionisti di controllo e il management, tra decisioni societarie ordinarie e
straordinarie.
A cosa dobbiamo fare
attenzione, per valutare la forza del mandato politico di un governo che voglia
veramente privatizzare? Primo, occorre una chiara
decisione politica su quello che deve essere considerato un settore
strategico. Non importa quanto questo concetto possa essere sfuggente, è
comunque il prerequisito per muoversi
senza incertezze.
Secondo, visto che
non c’è una Thatcher alla vista in
Italia, dobbiamo considerare un insieme di disposizioni sui possibili effetti
delle privatizzazioni sulla disoccupazione
(se essa dovesse aumentare come effetto della ricerca dell’efficienza), sulla
possibile concentrazione di mercato,
e sulla discriminazione dei prezzi
(quest’ultima in particolare per la privatizzazione delle utility).
Terzo, occorre superare i problemi normativi. Un
esempio importante: le banche, che secondo la legislazione antitrust (l.
287/91) non possono essere acquisite da imprese industriali, ma solo da altre
banche, da istituzioni finanziarie non bancarie (Sim, fondi pensione, fondi
comuni di investimento, imprese finanziarie), da compagnie assicurative e da
individui che non siano imprenditori professionisti. In pratica, siccome in Italia non ci sono virtualmente
grandi banche private, gli unici possibili acquirenti tra gli investitori
domestici sono le assicurazioni o i singoli individui. Una limitazione molto
stringente.
In ordine logico, non necessariamente temporale, tutti
questi passaggi dovrebbero avvenire prima del collocamento.
In quel momento,
affronteremo la sfida più importante: considerando che una vasta parte delle
azioni sarà offerta, almeno inizialmente, agli investitori domestici, come
facciamo spazio per questi asset nei loro portafogli? Qui giunge in tutta la
sua importanza la necessità che le privatizzazioni siano a complemento di un
piano credibile di riduzione del deficit,
soprattutto per ridurre la creazione di debito pubblico.
Solo se abbiamo
successo nel compito di ridurre “continuamente
e sostanziosamente” il nostro rapporto tra debito e PIL, come richiesto dal
Trattato di Maastricht, troveremo
spazio nei portafogli degli investitori. Allo stesso tempo, l’assorbimento di
queste nuove azioni può essere accelerato dall’aumento dell’efficienza del
nostro mercato azionario e
dall’allargamento dello spettro degli intermediari finanziari. Qui il pensiero
va subito alla creazione di fondi pensione ma, di nuovo, i fondi pensione sono alimentati dal risparmio privato che da ultimo
deve essere accompagnato dal sistema di sicurezza sociale nazionale verso i
fondi pensione.
Ma un ammanco dei contributi di sicurezza sociale allo schema nazionale
implicherebbe di per sé un deficit più elevato. Questo ci porta a una
conclusione di policy sui fondi
pensione: possono essere creati su una base veramente ampia solo se il sistema
nazionale di sicurezza sociale è riformato nella direzione di un sistema meglio
finanziato o più equilibrato rispetto a quello odierno.
Questa presentazione non era fatta per rispondere alla
domanda su quanto possa essere veloce il processo di privatizzazioni – non è il
momento giusto per affrontare il tema. L’obiettivo era fornirvi una lista delle
cose da considerare per valutare la solidità del processo.
La conclusione
generale è che la privatizzazione è una delle poche riforme nella vita di un
Paese che ha assolutamente bisogno del contesto
macroeconomico giusto per avere
successo. Lasciatemi sottolineare ancora che
non dobbiamo fare prima le principali riforme e poi le privatizzazioni.
Dovremmo realizzarle insieme. Di certo, non possiamo avere le privatizzazioni
senza una politica fiscale credibile, che – ne siamo certi – sarà parte di ogni
futuro programma di governo, perché l’aderenza al Trattato di Maastricht sarà
parte di ogni programma di governo.
Lasciatemi concludere
spiegando, nella visione del Tesoro, la principale ragione tecnica – possono
esserci altre ragioni, legate alla visione personale dell’oratore, che vi
risparmio – per cui questo processo decollerà.
La ragione è questa: i mercati vedono le
privatizzazioni in Italia come la cartina di tornasole della dipendenza del
nostro governo dai mercati stessi, dal loro buon funzionamento come principale
strada per riportare la crescita.
Poiché le
privatizzazioni sono così cruciali nello sforzo riformatore del Paese, i mercati le vedono come il test di
credibilità del nostro sforzo di consolidamento fiscale. E i mercati sono
pronti a ricompensare l’Italia, come hanno fatto in altre occasioni, per
l’ìazione in questa direzione. I benefici indiretti delle privatizzazioni, in
termini di accresciuta credibilità delle nostre politiche, sono secondo noi
così significativi da giocare un ruolo fondamentale nel ridurre in modo
considerevole il costo
dell’aggiustamento fiscale che ci attende nei prossimi cinque anni⟫.
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