giovedì 19 ottobre 2023

FAUTORI DEL NUOVO MONDO - PROMOTORI ETICI DI ARMONIA E BELLEZZA


 FAUTORI DEL NUOVO MONDO






PROMOTORI ETICI DI ARMONIA 
E BELLEZZA


Come si dice: "Da cosa nasce cosa...", e in effetti, da quando non ci siamo più curati di quel mondo che sempre più sprofonda nella sua endemica e profonda tristezza, volgendo invece lo sguardo interiore dalla parte della bellezza e della condivisione gioiosa, ci è venuto incontro 'un mondo', fatto di idee, sogni, immaginazione e realizzazioni concrete di persone che già abitano quelle terre interiori, rappresentandole sempre più nel mondo fisico, non meno reale del resto di quello immaginifico!
A tutti gli effetti ci possiamo considerare "promotori etici" di gusto, di bellezza, di ecologia, custodi dell'ambiente e della natura che ci è stata donata gratuitamente.    
     
Parlare di prodotti naturali e biologicamente sani oggi sembra paradossalmente diventato obsoleto, secondo la pseudoscienza e la falsa medicina, serve coatte delle Multinazionali della chimica e del petrolio; per non parlare della funzione vitale e rigenerativa dei microorganismi effettivi, di cui nessuno parla, mentre nel resto del mondo, soprattutto nel cuore dell'Asia, il loro utilizzo per la rigenerazione dell'ambiente ospedaliero ha ridotto se non rimosso del tutto le gravi patologie, spesso mortali, dovute alla proliferazione di batteri e infezioni post-operatorie. E che dire del loro servizio per la rigenerazione del mare dopo gli sversamenti di petrolio dalle navi cisterna che spesso sono la causa di danni spesso irreversibili all'ecosistema marino?

Azioni concrete e scelte di campo sono davvero alla portata di ogni anima che abbia coscienza di essere parte essenziale e complice del miracolo della vita. Come rimanere impassibili e indifferenti dunque, se già ogni essere senziente può fare la differenza tra un mondo grigio, soffocato dalla violenza e dalla prevaricazione del più forte sul più debole e un nuovo mondo responsabile, intelligente nel cuore, aperto alle ferite dell'altro come a quelle di se stesso, capace di ascolto e compassione?

Progetto Mediterraneo nasce come costola di FUNIMA INTERNATIONAL, (https://funimainternational.org/) Associazione no-profit italianissima, che ha come mission quella di promuovere progetti umanitari laddove nel mondo l'ingiustizia e la prevaricazione sui più deboli è legge; in Italia, con progetti di accompagnamento e sostegno di cooperative sociali che operano a sostegno delle famiglie in difficoltà, dei carcerati, degli immigrati, dei senza fissa dimora, o nel doposcuola per contenere la dispersione scolastica di bambini e ragazzi abbandonati a se stessi, in Italia e nei Paesi dell'America latina.

Acquistare online dal sito www.progettomediterraneo.bio o dai banchetti che spesso allestiamo nel nostro territorio, significa dunque promuovere la salute di se stessi e del pianeta, sostenere le piccole aziende italiane a conduzione familiare che operano nel biologico e, infine ma non per ultimo, aderire concretamente a tutti i progetti di sviluppo e di sostegno che FUNIMA INTERNATIONAL opera nel mondo. Parte cospicua degli introiti dalle vendite dei banchetti e dell'e-commerce infatti servono proprio a sostenere i progetti umanitari e di promozione sociale di cui ci occupiamo.
Ecco perché può sembrare di pagare un po' di più una marmellata o una confezione di riso, rispetto ad un negozio del biologico "normale": chi compra su "Progetto Mediterraneo" sa che il valore aggiunto che esce dalle sue tasche va ad alimentare e a corroborare una catena di solidarietà fattiva e concreta, fatta di opere anche costose, per la costruzione di pozzi o di cisterne per la raccolta di acqua potabile da distribuire alle popolazioni andine del Chaco in Argentina, che rischierebbero di morire di sete e di fame, dal momento che le loro montagne e le loro valli sono avvelenate e violentate costantemente dagli stupri delle Multinazionali con le coltivazioni OGM e il conseguente disboscamento della foresta o dalle estrazioni di minerali, quali  "le terre rare" o dell'oro, con l'immissione forzata di mercurio nelle rocce che va ad avvelenare le falde acquifere, rendendo l'acqua imbevibile e avvelenata. 

Creare dunque un circuito etico e virtuoso, un'economia circolare fatta di scambio e doni, che può sopravvivere a se stessa solo grazie alla solidarietà di tutti gli attori coinvolti; e sono sempre di più. Da un po' di tempo in qua infatti, si riscopre il valore dell'unione che fa la forza e ci si comincia a muovere come un complesso organismo unitario che si muove all'unisono; solo così è possibile creare l'alternativa ad un'economia di sfruttamento irresponsabile delle risorse, ad una logica di rapina e di sopraffazione, contro la natura e contro l'uomo. Carpirne il valore significa dunque essere parte attiva di un progresso "ostinato e contrario", come cantava il poeta in musica, volto alla costruzione di un nuovo mondo, senza più voltarsi indietro, senza indugiare più nel vecchio sistema portatore di morte e distruzione.

Abbiamo deciso di muoverci anche per la diffusione e la conoscenza dei Microorganismi effettivi e siamo da tempo collaboratori del progetto di Ecopassaparola, una piccola azienda italiana a conduzione familiare che promuove la distribuzione dei preparati microbici per il mercato italiano; l'utilizzo dei magici esseri microscopici diventa la soluzione naturale più "Alta" al problema dell'inquinamento dell'aria, dell'acqua, del suolo, a favore di un'agricoltura rigenerativa, per il benessere psicofisico di esseri umani e di animali nel loro habitat naturale.

Chi di voi fosse interessato a saperne di più, può contattarci scrivendo su telegram @ArchturusRex  oppure sulla mail dinaweh@gmail.com.



Luca e Serena










domenica 20 agosto 2023

QUEL CHE RIMANE

 

 QUEL CHE RIMANE 





"Spogliare la Grecia è stato uno scherzo. Aeroporti, qualche isola, industrie zero, terre poche, risparmi privati ridicoli, demanio interessante.
Comunque la Grecia aveva un PIL inferiore alla sola provincia di Treviso.
E' bastato  un sol boccone.

PER L'ITALIA E' DIVERSO:

un capitale assolutamente enorme. Secondo al mondo in quanto a risparmio privato, primo come abitazioni di proprietà, terre di valore assoluto e coste meravigliose.
Quinta potenza industriale al mondo prima dell'euro, ottava oggi.
Il Made in Italy è ancora oggi il marchio numero uno al mondo, davanti a Coca Cola.
Biodiversità superiore alla somma di tutti gli altri paesi europei.
Come capitale artistico monumentale, non ne parliamo neanche: è superiore a quello di tutto il resto del mondo.
Francia e Germania, più qualche fondo americano, cinese o arabo hanno fatto la spesa da noi a "paghi uno e prendi quattro".
Tutto il lusso e la grande distribuzione sono passati ai Francesi insieme ai pozzi libici passati da Eni a Total.
Poi anche Eni è diventata a maggioranza americana.
Anche il sistema bancario è passato ai Francesi insieme all'alimentare.
I Tedeschi si sono presi la meccanica e il cemento.
Gli Indiani tutto l'acciaio.
I Cinesi si son presi quote di TERNA e tutto PIRELLI agricoltura.
Se ne sono andate TIM, TELECOM, GIUGIARO, PININ FARINA, PERNIGOTTI, BUITONI, ALGIDA, GUCCI, VALENTINO, LORO PIANA, AGNESI, DUCATI, LOCATELLI, MAGNETI MARELLI, ITALCEMENTI, PARMALAT, GALBANI, INVERNIZZI, FERRETTI YACHT, KRIZIA, BULGARI, POMELLATO, BRIONI, VALENTINO, FERRE', LA RINASCENTE, POLTRONA FRAU, EDISON, SARAS WIND, ANSALDO, FIAT FERROVIARIA, TIBB, ALITALIA, MERLONI, CARTIERE DI FABRIANO,...

ma,... non hanno finito.

Ci sono rimaste ancora le case e le cose degli Italiani.
E I LORO RISPARMI. CIRCA 3 MILIARDI DI EURO.
ORA VOGLIONO QUELLI.
Ecco chi ha chiamato Mattarella e gli ha intimato "di procedere" a sbarrare la strada a chi poteva mettere a rischio la prosecuzione della spoliazione.
I fondi di investimento, i mercati che, come ricordavo, raccolgono i soldi delle mafie, tutte, grandi e piccole, dei traffici di droga, di umani, di truffe internazionali, di salvataggi bancari, del "nero" delle grandi multinazionali, siano esse del commercio, dei telefonini, della cocaina o delle armi, questi fondi di investimenti dicevo, non hanno finito.
Ora tocca alle poche industrie rimaste, ai fondi pensione, ai conti privati, agli immobili. 
ORA TOCCA A NOI.
Ecco perché non serve a nulla mediare, arretrare un po'. 
Non si placheranno, l'abbiamo già visto. BISOGNA FERMARLI ORA.

Ogni generazione ha il suo Piave. Questo è il nostro".  


Gian Micalessin, giornalista indipendente



mercoledì 16 agosto 2023

AFRICA - UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO A CIELO APERTO


AFRICA



UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO
A CIELO APERTO


Dinaweh




Il letto dove mi corico non è che un posatoio,
attendo la morte
se muoio non è un torto,
la morte è una vittoria...
Ho mal di cuore
amo il mio cuore
il mio cuore fonte d'amore muore.
No, è la morte che mi nausea.

La morte è una vittoria gloriosa
Ma il gruppo che mi circonda
parla di darmi un cuore
Per tutti arriva il momento di morire,
non accetto un cuore
neanche quello di Cristo,
morto per salvare l'umanità
perché sono pagano
Il cuore di Cristo spetta ai Cristiani.

     Yandoko Leopold Mainda 
La morte o la vittoria




Ogni volta che penso all'Africa, alla sua bellezza, alla sua grandezza, alla sua potente forza, mi vengono le lacrime agli occhi. 
Ogni volta che vedo un ragazzo africano aggirarsi per le strade della mia città, che sia munito di ombrelli se piove o di orpelli se c'è il sole, non posso che cogliere la profonda tristezza celata dentro i suoi occhi e, proprio come fa il cielo quando una nube passa davanti all'astro celeste, anche i miei si incupiscono e diventano grigi; grigi di rabbia e di dolore per un senso di impotenza e di colpa che pervade tutto il mio spettro visivo ed emotivo, al pensiero di quanta funesta violenza e ingiustizia abbiamo permesso colpisse ancora da tempo immemorabile il continente nero, il polmone del mondo, il cuore pulsante della Madre!
Non sono bastati secoli di soprusi e di colonialismo selvaggio, la schiavitù, la deportazione di milioni di uomini e donne per servire il capriccio dell'uomo bianco... 
Anche oggi, dopo la fine della seconda guerra mondiale, il depauperamento dell'Africa continua indisturbato tra l'indifferenza e l'ignoranza delle società occidentali.
Ci dà le ragioni di questa spoliazione e di questa nuova schiavitù l'amico Mohamed Konaré, africano ma da anni residente in Italia, che si sta prodigando per far conoscere anche agli Italiani quali siano le vere ragioni del dramma del suo popolo e del fenomeno ad esso collegato dell'immigrazione forzata verso l'Europa e l'America; immigrazione che lui preferisce chiamare col suo vero nome, cioè deportazione internazionale di massa.

Il neocolonialismo e il franco africano francese

Non si può comprendere il fenomeno dell'immigrazione se ci si limita a disquisire e ad accapigliarsi sul problema tanto discusso dai media italiani ed europei dell'accoglienza e dell'integrazione degli immigrati dall'Africa in Europa, evitando di comprendere le vere cause di quel fenomeno, per lo stesso motivo per cui non si può comprendere nulla di tutto ciò se ci si limita a concentrare l'attenzione solo su ciò che accade sulle coste della Libia verso l'Italia. 
Occorre piuttosto chiedersi quali siano i motivi reali che spingono milioni di persone a rischiare la loro vita per fuggire dalla loro terra; chiedersi perché arrivano, come ci arrivano. Solo così sarà possibile cercare la soluzione e la soluzione è semplice - ci ricorda Konaré -, è sufficiente smettere di depredare l'Africa! Finché l'Africa sarà sotto scacco dal sistema monetario del franco FCA, il franco francese per l'Africa, non potrà mai esserci libertà e giustizia per il continente africano.

L'origine nazista del franco africano francese (FCA)

Sia noto a tutti che il sistema monetario che la Francia applica a tutta l'Africa ex coloniale lo ha copiato dal III Reich della Germania nazista. Infatti, quando la Germania prese il controllo militare e politico della Francia, ne prese anche il controllo economico, svalutando il franco francese e trasformandolo in marco tedesco. 
Che cosa ha fatto la Francia di De Gaulle alla fine della guerra, dopo che l'Africa con i suoi uomini versò il sangue per combattere al suo fianco? Ha adottato in Africa lo stesso sistema di cui lei stessa fu vittima durante l'occupazione nazista! Il 25 dicembre (giorno migliore non poteva essere scelto!) 1945 il generale De Gaulle emanò un decreto che avrebbe coinvolto 15 Paesi dell'Africa occidentale, dell'Africa centrale e delle isole Comores, che permise alla Francia di arricchirsi gratuitamente alle spalle del popolo africano.

La campagna di distrazione di massa
al servizio della cupola del potere transnazionale finanziario

Che cosa fanno i mass media oggi? Fanno di tutto per spostare l'attenzione dell'opinione pubblica sul problema dell'accoglienza e dell'integrazione, ma si guardano bene dal far comprendere le cause e non gli effetti del problema. Sono ben consci che se la gente cominciasse veramente a capire le cause che provocano l'esodo massiccio dei giovani africani, chiederebbe lo stop immediato di quella politica economica di rapina ai danni dell'Africa e la fine di quell'esodo senza fine verso l'Europa! Ecco perché nessuno ne parla; ecco perché per 75 anni è stato nascosto all'opinione pubblica europea e occidentale questo sopruso che di fatto, seppur sotto mentite spoglie, perpetua nel tempo il colonialismo e la schiavitù dei popoli africani.
Questo è il motivo della totale omologazione da parte di tutti gli schieramenti politici, sia che siano al governo che all'opposizione, sulla questione della deportazione di massa e un'omertà totale sulle vere cause invece che sugli effetti dell'immigrazione africana. 
Questo la dice lunga su come tutti gli schieramenti politici in campo facciano parte dello stesso gioco e di come tutti siano sotto la cupola di questo potere economico finanziario globalista transnazionale. 

Il voltafaccia del Movimento 5 stelle

Da quando la Francia ha richiamato il suo ambasciatore da Roma (gennaio 2019) anche il Movimento 5 stelle, che aveva espresso contrarietà sul mantenimento del franco francese africano, non ne ha più parlato, anzi: ora alleato con gli esponenti del PD non ha battuto ciglio quando il deputato Marattin (PD) ha definito una bufala la questione del franco francese in Africa!
Si parla solo di accoglienza o di non accoglienza, come se quella fosse la soluzione... Finché l'Africa sarà costretta a soggiacere a questa forma di schiavitù, i giovani africani continueranno a partire e sarebbe oculato considerare che il 70% della popolazione africana è sotto i 30 anni, una vera e propria bomba demografica, pronta ad esplodere in Europa e in America più precisamente in Messico, ai confini degli Stati Uniti, dove una gran parte di quelli stessi giovani stanno premendo, senza che i mass media lascino trapelare nulla.

Gli effetti della campagna di sensibilizzazione:
far finta di cambiare e lasciare tutto come prima

Da quando si è iniziato a sensibilizzare le folle di giovani africani e l'opinione pubblica europea su questo argomento attraverso conferenze e interviste sul web, è stata comunicata l'uscita dal franco fca, con l'intento di introdurre una nuova moneta, l'ECO. La cosa di fatto non cambierebbe nulla, al di là del nome. L'ECO infatti sarebbe una menzogna colossale, poiché continuerebbe ad essere una moneta battuta in Francia e le istituzioni e i principi su cui si fonderebbe continuerebbero ad essere gli stessi di prima!
L'unica richiesta ricevibile potrò essere un nuovo sistema monetario completamente africano, da cui la Francia dovrà rimanere esclusa totalmente.
Dopo che si sono resi conto che una discussione ristretta ad una élite africana corrotta si è estesa al popolo, hanno tirato fuori dal cilindro questa finta soluzione, irricevibile per gli Africani che hanno capito il danno e si sono mobilitati in massa. 
Ecco perché hanno finto di cambiare per non cambiare nulla... I popoli dell'Africa si sono levati tutti in piedi per ribadire che nel 2020 l'ECO non dovrà partire! Sarà interessante vedere cosa succede.
In realtà non esistono dei veri Governi africani. L'Africa continua ad essere una colonia, ove tutti possono arrivare per depredarla e lasciarla nelle mani di pseudo-governi corrotti e funzionali ai potentati stranieri (vedi Europa, America Russia e Cina).

La balcanizzazione dell'Africa

Occorre dire forte e chiaro che il tentativo costante e la politica reale messa in atto sul continente africano è quella della balcanizzazione, cioè del creare divisioni e conflitti ad hoc, creando un terrorismo africano che non esiste, appoggiato dai servizi segreti e dall'esercito francese.

L'assassinio di Gheddafi e la presenza italiana nel Nord Africa

Non possiamo comprendere quello che sta avvenendo nel Nord Africa e in particolare in Libia, che di fatto ormai più non esiste, se non comprendiamo le ragioni dell'assassinio del colonnello Gheddafi. L'ordine di assassinare Gheddafi incontrava delle ragioni ben precise, senza le quali non si potrà comprendere ciò che accade oggi in quella parte dell'Africa.
Gheddafi voleva far uscire l'Africa dal FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE. (Stessa cosa che sta accadendo oggi in Equador). Voleva creare una moneta africana basata sull'oro, mettendo a disposizione il doppio della cifra messa a disposizione dal Fondo monetario internazionale, per creare un fondo monetario africano. Tutto ciò avrebbe quindi causato una destabilizzazione di tutti gli equilibri tra l'Occidente e l'Africa e questo fu il motivo della sua esecuzione.
E' chiaro che, nel nuovo scenario internazionale dopo la morte di Gheddafi, anche l'Italia voglia acquisire il suo pezzettino di torta africana e che oggi si senta chiamata in causa 'in prima persona' nella gestione di questo traffico di vite umane da calmierare per evitare un affollamento eccessivo dei porti italiani  dopo il governo Di Maio-Salvini.

Il bottino africano

Di fatto, l'Africa continua ad essere il bottino di tutti: un territorio immenso, serbatoio delle materie prime e delle materie strategiche di tutto il mondo, dove ognuno va a prendere la sua parte. Questa appare la realtà dei fatti. Come è possibile che i governi africani siano sempre in piedi da trenta/quarant'anni? Sono dei governi fantoccio, supportati dalla Francia o dalla Gran Bretagna, nel migliore dei casi. Tutti in Africa fanno il loro gioco. Anche la Cina che in Africa non va per colonizzare, ma per fare affari; gli Americani, anche loro fanno il loro gioco in Africa. Lo hanno perseguito attraverso le chiese evangeliche e molte delle loro ONG, che in realtà sono servite da copertura della CIA.
Con l'AFRICOM gli Americani stanno cercando di installare una base nel Senegal. Anche la Cina, per la prima volta nella storia, ha aperto una base militare fuori dai propri confini nazionali. E dove? In Africa!
Tutti cercano di occupare il territorio africano per via delle sue materie prime. Se gli Africani decidessero di bloccare la partenza delle materie prime dall'Africa, l'economia del mondo si fermerebbe, si fermerebbero tutte le industrie, perché tutto viene dall'Africa. Eppure, il paradosso è che gli Africani scappino dalla loro terra, per via di un falso terrorismo, per via delle guerre, anche quelle pilotate, poiché tutte le guerre che vengono create in Africa in nome della difesa dei diritti umani sono solo manipolazioni. Come se si potesse portare la democrazia con le bombe! I dittatori africani vengono sospinti a cambiare le Costituzioni per rimanere al potere e fare il gioco dei loro veri padroni, in cambio di una vita agiata e nel lusso per loro e le loro famiglie! 
Il Camerun sta andando verso la secessione. Quando il Ghana ha rifiutato l'aiuto del Fondo Monetario Internazionale, subito c'è stata una secessione. Qualche settimana fa c'è stato un tentativo di colpo di stato, eppure nessun telegiornale ne parla.
Allo stesso modo, del franco francese africano c'è omertà totale, soprattutto dopo l'ultima visita di Macron in Italia. Come abbiamo già ricordato, Di Maio, che si era espresso contro la politica colonialista francese, dopo l'incontro con Macron in Italia, non ne parla più! Parla piuttosto di cooperazione e di accordi con il governo del Senegal, presso cui si è recato di persona, dove il dittatore di quel Paese, investito da scandali, tangenti sul petrolio e ruberie di vario genere, fa arrestare chiunque parli contro di lui e il suo governo, ordinandone persino l'assassinio. Le galere africane pullulano di prigionieri la cui unica colpa spesso è il loro diritto di opinione negato e calpestato.

L'ipocrisia occidentale: la falsa integrazione e la falsa accoglienza

Parlare di blocco navale, alla Salvini, piuttosto che di integrazione e accoglienza, alla radical-chic giallo-fucsia è ipocrita dunque ed è una falsa questione! Dobbiamo mettercelo bene in testa, una volta per tutte!
La verità è che vogliono deportare la gioventù africana. Vogliono l'Africa, ma senza gli Africani.
Chiediamoci e osserviamo in quali condizioni vengono lasciati i cosiddetti "immigrati" una volta giunti nel nostro Paese, o quelli ghettizzati nelle città francesi, nei loro arrondisments e banlieux fatiscenti e degradate!
In Italia la maggior parte di loro è lasciata buttata per terra a dormire nelle stazioni in condizioni inumane, vive per le strade chiedendo l'elemosina e andando a mangiare nelle mense della Caritas... Li andiamo a raccogliere in mare e poi li lasciamo alla deriva per le strade delle nostre città o li costringiamo a lavorare come schiavi nei campi del sud Italia, dove sono trattati peggio delle bestie.

La bufala della necessità di manodopera degli immigrati in Italia e in Europa

Un'altra menzogna è quella della necessità della manodopera degli immigrati in Italia, per promuovere l'economia e lo sviluppo del Paese. Come farebbero - si sente dire dai benpensanti giallo-fucsia - i nostri anziani se non ci fossero gli immigrati! Chi li guarderebbe? E chi raccoglierebbe i pomodori al sud se non ci fossero gli Africani?!
Forse a tal proposito sarebbe meglio chiedersi come mai l'Europa si sta svuotando dei giovani Europei, o come mai in Italia gli Italiani non fanno più figli..., e come mai ogni anno quasi 300.000 giovani lasciano il loro Paese? Nessuno, se non ne ha motivo, lascia la propria terra per emigrare altrove. Se ci fossero opportunità di lavoro, perché i giovani italiani se ne vanno? Partirebbero, se il lavoro appagasse le loro aspettative e fosse pagato dignitosamente? Per un analogo motivo, i Giovani africani scappano dalle guerre e dalla fame e sono costretti ad accettare condizioni di lavoro disumane, che un ragazzo italiano non accetterebbe mai!

La balcanizzazione della Grecia, dell'Italia..., dell'Europa

In realtà siamo di fronte ad una strategia che vuole lo scontro tra poveri: poveri italiani che se la prendono con poveri africani. Il discorso è più complesso e andrebbe approfondito, nel cercare di mettere in discussione le cause di un sistema predatorio, fondato su un mercato fittizio, ove soltanto il 5% è reale, mentre tutto il resto è speculazione. L'economia reale oggi non esiste quasi più. Esiste il mercato finanziario delle grandi speculazioni internazionali. Se non si investe sulle risorse umane, nelle piccole aziende e non si dà ai popoli la possibilità di lavorare dignitosamente l'Europa stessa - Italia compresa - scivolerà alla stessa stregua dell'Africa nel baratro. Basti pensare alla Grecia: è diventata come un Paese africano, eppure oggi più nessuno ne parla. Chi ha messo in ginocchio la Grecia? Il prestito del FMI attraverso Tsipras, nel quale il popolo greco aveva riposto tutte le sue speranze per sentirsi poi tradito quando, una volta andato al potere, ha ricevuto gli ordini di Bruxelles, applicando la strategia dell'oligarchia finanziaria, criminale e speculativa che in questo momento sta aggredendo  anche l'Italia (clicca qui).

L'unica soluzione possibile

Ogni popolo ha diritto di vivere e di prosperare sulla propria terra. Quello che occorre comprendere è che a questo punto della civiltà umana la guerra tra l'élite (1%) che governa il mondo e il resto della popolazione è diventata feroce. Da una parte vogliono salvare il pianeta, dall'altra massacrano tutti gli esseri che lo abitano, dal sottosuolo alle piante, dagli animali fino all'essere umano.
Il loro gioco è di dividerci e finché saremo divisi in Bianchi contro Neri, in Neri contro Bianchi, in Musulmani contro Cristiani ed Ebrei contro Arabi, i 'Signori del Gioco' continueranno a dominarci.
Occorre un'economia che sia a servizio dell'essere umano, non viceversa. Invece spaventano i popoli con lo spread, che è una bugia colossale, li spaventano col debito pubblico, una loro invenzione per tenerci tutti nella paura!
Nessuno si fa più delle domande; nessuno si chiede il perché della fuga degli Africani dall'Africa. Nessuno sa che cosa sta succedendo oggi in Africa. L'Africa è un campo di concentramento di 31 milioni di chilometri quadrati, è un campo di concentramento a cielo aperto! La balcanizzazione dell'Africa e la creazione di guerre tribali è funzionale al sistema perché tutto continui ad essere sotto il loro controllo.
Se tutti i popoli della Terra non si sveglieranno, davvero potrebbero riuscire nella costruzione del Nuovo Ordine Mondiale e gli esseri umani diventerebbero dei robot con i codici a barre o i microchips sottopelle.
Questa è un'oligarchia criminale che si nasconde dietro l'economia di un mercato apolide e transnazionale e alla finanza speculativa. Basti vedere la sparizione di tutte le botteghe, degli artigiani dalle vie delle nostre città, in funzione di catene multinazionali che si sono sostituite ai piccoli negozi, ai mercati rionali, per rendersi conto della brutalizzazione e dell'impoverimento culturale oltreché economico del nostro Paese.
Bisogna andare verso la redistribuzione delle ricchezze. L'intelligenza artificiale potrebbe migliorare la vita dell'uomo, essere in funzione dell'uomo, non contro l'uomo. E invece la società è fatta di zombie, funzionali al sistema.
L'élite possiede delle armi di distruzione di massa capaci di diminuire il numero della popolazione mondiale in funzione dei suoi scopi. 
L'unica soluzione per fermare l'immigrazione è liberare l'Africa. Se non li volessero far passare, non passerebbe nessuno. Non servirebbe bloccare i porti, non sarebbe necessario. Il fatto è che vogliono creare destabilizzazione e disidentificazione tra i popoli, per avere una massa di servi e di schiavi obbedienti e senza più alcuna identità.

Ecco cosa scrive a questo proposito l'amico Simone Lombardini nel suo post riportato qui sotto nella sua interezza, per chi volesse approfondire le sue preziose argomentazioni:
"[...] Infine vi è una terza ragione del perché la classe dominante sostenga i processi di deportazione. Peter Sutherland, commissario europeo per la Concorrenza e primo direttore generale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, direttore non esecutivo di Goldman Sachs International, membro del comitato direttivo del Bilderberg, presidente per la Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni e Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per le migrazioni internazionali alla BBC il 21 giugno 2012 ha spiegato la strategia della classe dirigente occidentale: "L'Unione Europea deve minare l'omogeneità nazionale dei paesi europei...gli stati europei devono diventare sempre più aperti in termini di chi li abita, bisogna passare da un mondo in cui gli stati sceglievano gli immigrati ad un mondo in cui gli immigrati scelgono gli stati...la prosperità dei paesi europei dipende dal diventare multiculturali."
Ciò che occorre fare dunque, è unirsi come popoli e delegittimare tutti i governi corrotti e complici di un sistema aberrante e contro l'uomo.








Riferimenti e link:

- intervista a Mohamed Konaré, Roma, martedì 15 ottobre 2019; 
  
-.ph/AfricaeEuropa-LeCondizioniEconomicheDellaPace-diSimoneLombarini-11-19#sdfootnote3sym



martedì 15 agosto 2023

PER UN PONTE CHE BRILLA, UNO NUOVO SCINTILLA...

PER UN PONTE CHE BRILLA

UNO NUOVO SCINTILLA...


Per non dimenticare:


PONTE MORANDI: UNA STRAGE VOLUTA



in memoria delle vittime...


PONTE MORANDI


UNA STRAGE VOLUTA

Dinaweh


La Procura di Genova indaga sulla strage del 14 agosto occultando le prove e manipolando maldestramente il video che riesce a far dissolvere un TIR e a farne apparire uno dal nulla. 

1) Che cosa vogliono nascondere? 
2) Come può un pilastro di cemento armato sbriciolarsi come un grissino e la sede stradale precipitare al suolo, tagliata come da una lama invece di strapparsi, senza lasciare penzolare parti di armatura in ferro o pezzi informi di cemento?
3) Quanto ancora ci dovranno far fessi? 
4) A chi conviene che Genova sia in ginocchio
5) Forse ai Francesi, per dirottare tutto il traffico commerciale-marittimo su Marsiglia? 
6) Forse a Società Autostrade o agli amici degli amici per por mano finalmente senza più impedimenti al terzo valico? 
7) O a chi ha deciso di mettere in ginocchio il Bel paese per ridurlo ad una colonia di servi senza più voce, né risorse?

Ascoltate qui sotto le testimonianze che avvalorano la tesi della demolizione controllata da parte di testimoni oculari e di un addetto ai lavori, l'ingegner Enzo Siviero, naturalmente bollato dal mainstream come un pazzo furioso dalle affermazioni deliranti. 

Dinaweh




giovedì 6 luglio 2023

IL GIORNO DELLA PURIFICAZIONE E' VICINO

 

IL GIORNO DELLA PURIFICAZIONE

 E' VICINO





Radunatevi, raccoglietevi,
o gente spudorata, prima di essere travolti
come pula che scompare in un giorno,
prima che piombi su di voi
la collera furiosa del Signore.

Cercate il Signore
voi tutti, umili della Terra,
che eseguite i suoi ordini;
cercate la giustizia,
cercate l'umiltà,
per trovarvi al riparo
nel giorno dell'ira del Signore.

SOFONIA 




https://youtu.be/fxMzY0_oOxc





martedì 13 giugno 2023

IL TRIPUDIO DELLA BELLEZZA. Johann Sebastian Bach, LA PORTA DEI CIELI


IL TRIPUDIO DELLA BELLEZZA



Johann Sebastian Bach
 LA PORTA DEI CIELI

Abbiamo dimenticato la bellezza!
Essa è ovunque; è dentro le nostre viscere, ma non possiamo vederla; è negli occhi di chi ci passa accanto, ma non la riconosciamo; è a puntellare il cielo in una notte di mezza estate, ma non alziamo mai lo sguardo fino alle stelle; è nel vento che scuote le chiome degli alberi poco prima della burrasca, ma siamo troppo intenti a trovar riparo dentro le nostre automobili, prima che ci sorprenda la tempesta; è nello scroscio della pioggia che rende tutto argentato e brillante, pur senza la luce del sole; è nelle note scritte fittissime di Johan Sebastian e nel suo Genio Solare, che lo mise in comunicazione col mondo degli uomini; lui, così distante da essi, eppure così vicino ai loro cuori...
Dedito come fu alla scrittura delle note degli Angeli, ancora oggi egli commuove chi lo ascolta, come se lui stesso fosse a dirigere e a suonare attraverso le braccia e le dita del talentuoso pianista che di lui offre la Divina Essenza.

...Per non dimenticare la bellezza che è in ogni dove e, in nome e in virtù di quella, ho pensato di regalarvi la possibilità di ascoltare alcuni suoi concerti, suonati magistralmente da David Fray, giovane talento francese. 
Qui David ci regala la bellezza attraverso le note dell'amato Maestro, angelo disceso tra gli uomini di un secolo difficile e violento, quale fu quello in cui visse ed operò.

Buon ascolto e buona visione!

Dinaweh


concerto per 4 pianoforti, BWV 1065 III. Allegro




Concerto per 3 pianoforti BWV 1063 III. Allegro




Prove d'orchestra con la Filarmonica tedesca di Brema


sabato 20 maggio 2023

L'ALTRA FACCIA DELL'AMERICA

 

L'ALTRA FACCIA DE
L '  A M E R I C A 



La scoperta del Nuovo Mondo ci ha fatto dimenticare l'enorme prezzo pagato dalle popolazioni native all'arrivo dei Conquistatori bianchi, spagnoli e portoghesi che fossero, i quali, sin da subito, usarono quei territori come di loro esclusiva proprietà, trattando gli indigeni come schiavi, alla stessa stregua di animali da sfruttare o da uccidere, qualora si fossero ribellati alla loro condizione subalterna. 
Non furono tanto le armi a compiere quello che fu un vero e proprio genocidio, quanto le malattie che gli Europei portarono con loro in quelle terre. Anche allora venne minata la salute dei corpi oltreché delle anime. Lo sradicamento dalle loro usanze e credenze e la forzata e brutale conversione al cattolicesimo fecero il resto.
Ci sono tanti modi per uccidere e, a volte, non è necessario annichilire il corpo fisico: si può abbattere un uomo deridendo e denigrando le sue convinzioni più profonde, disperdendo la memoria della propria ancestrale cultura, uccidendo in lui il ricordo degli Antenati, imponendogli una fede sanguinaria e violenta, costringendolo in riserve da dove non sia possibile la fuga.
Tutto questo è stato fatto; tutto questo ha prodotto delle contaminazioni e delle ferite profondissime che, nel corso dei secoli, hanno continuato a disperdere e degradare l'identità di quei popoli al punto da farla scomparire quasi del tutto.
Quale sia la situazione dell'America latina oggi, penso sia davanti agli occhi di tutti. Naturalmente, poste determinate cause, è ovvio che le conseguenze siano il frutto di quelle stesse che l'hanno provocate. 

E' a questo proposito che voglio condividere con voi, cari lettori, un reportage che ho trovato molto significativo, molto più di ogni mia altra riflessione in proposito, tratto dal sito www.iltascabile.com dal titolo "Voci dell'Amazzonia", di Paolo Pecere, filosofo e letterato, scrittore di saggi, racconti e romanzi sul tema della natura e delle implicazioni che essa vincola con la vita umana sul pianeta. Il suo ultimo libro: "Il dio che danza. Viaggi, trance e trasformazioni" (2021). 
In Voci dell'Amazzonia viene descritta la situazione attuale del continente sudamericano, grazie ad un viaggio che lo stesso autore ha compiuto, ove emergono tutte le contraddizioni di quella contaminazione imposta di cui si diceva sopra, ma anche delle avvisaglie di un cambiamento in positivo che sgorga come sorgente pura e immacolata da quella stessa contaminazione che vive nella carne e nel sangue la gente nativa di quelle terre, una volta mescolata suo malgrado alla cultura dominante dei colonizzatori; gente senza scrupoli che da sempre ha sfruttato e calpestato la dignità di popoli anche molto diversi tra loro, ma che sono profondamente legati alle loro radici, anche a costo di affrontare la morte. Naturalmente, come sempre accade, gli effetti collaterali di quell'invasione sono presenti ahimé nelle vite delle stesse vittime, molte delle quali si sono lasciate imbonire e corrompere dalla presenza costante di padroni implacabili, assumendo loro stessi come per osmosi, la stessa ferocia degli invasori, diventando essi stessi cinici nei confronti di chi tra loro, nonostante tutto, rimane abbarbicato e fermo ai valori ancestrali che si vorrebbero estirpare completamente. 

Significativo l'incontro-scontro di queste due culture antitetiche tra loro, raccontato in un libro che due personaggi, l'antropologo Bruce Albert e lo sciamano Davi Kopenawa, hanno scritto a quattro mani: La caduta del cielo (2010). 
Davi Kopenawa, sciamano della popolazione degli Yanomami, racconta attraverso se stesso, la prevaricazione dell'uomo bianco contro i suoi fratelli e le sue sorelle, ma anche il suo riscatto personale e la sua trasformazione che come un boomerang fa da volano anche per il riscatto e la trasformazione dei numerosi popoli nativi che coabitano in quei territori così vasti.

Vi lascio dunque a questo fantastico e spesso terribile viaggio nella memoria di ciò che noi, uomini bianchi, non dobbiamo dimenticare, considerandoci in qualche maniera comunque responsabili dei misfatti perpetrati dai nostri antenati, così come da noi stessi che oggi continuiamo a perpetrare ai danni di quelle popolazioni. Ciò ci serva da monito, ci faccia sentire responsabili e dunque, ci porti a rimediare nel nostro quotidiano, attraverso mille piccole azioni, anche le più semplici eppur significative, per cessare quanto più possibile di essere complici di tutte le rapine che continuano a usurpare diritti e proprietà in nome di un falso progresso e, oggi potremo aggiungere, in nome di un falso "green" dalle mani sporche di sangue innocente.

E noi, cosa possiamo fare? 

Come, mi chiederete? Non dando il nostro consenso a qualsiasi tipo di sfruttamento venga esercitato ai danni di popolazioni come quelle native del Sud o del Nord America, così come a quelle del Continente africano o asiatico. Possiamo fare scelte consapevoli nei nostri acquisti alimentari, per esempio, premiando quelle realtà etiche, equo-solidali, rispettose della terra e delle persone, che qua e là sorgono numerose in ogni angolo del pianeta; non solo per ciò che riguarda gli alimenti, ma per qualsiasi manufatto proveniente da ogni regione del mondo; abbandonando la grande distribuzione e le multinazionali del crimine, che affossano, facendo morire di asfissia qualsiasi attività artigianale locale e le piccole aziende a conduzione familiare. Promuoviamo invece proprio questa tipologia di mercato, meglio se equo e solidale, costruendo un'economia parallela e alternativa a quella delle multinazionali e dei grandi gruppi di potere. Gli esempi sono molteplici di ciò che davvero ognuno di noi può fare per migliorare lo stato febbricitante del pianeta: anche da queste pagine è possibile trovare degli esempi, delle testimonianze concrete di vita, raccontate attraverso video, scritti e immagini. Provate a sfogliare le pagine virtuali di "incantodiluce" e vi troverete davvero tanti spunti di sogni realizzati o in fase di realizzazione. Al termine del post potrete trovare diversi link, per facilitare il vostro viaggio virtuale.  
Buona immersione dunque nella lettura di questo viaggio che l'autore ci offre con passione, ricchezza di documentazione e amore di verità.

Dinaweh


Voci dell'Amazzonia

di Paolo Pecere
tratto dal sito: www.iltascabile.com   


La striscia azzurra del Rio della Amazzoni segna il confine meridionale della Colombia per una settantina di chilometri fino a un puntino sulla mappa, la cittadina di Leticia.
Camminando per mezz'ora lungo la costa si entra in Brasile, a Tabatinga; attraversando il fiume si approda in Perù. Ci vuole un attimo a distogliere lo sguardo dal navigatore - il nome delle leggendarie guerriere, le frontiere nazionali disegnate a tavolino - avvistare un orizzonte d'acqua color caffellatte e scoprirsi totalmente spaesati.

La sera del mio arrivo a Leticia c'è un concorso di bellezza e le stradine sono piene di gente. Il tassista rinuncia ad arrivare in ostello e mi fa scendere a un incrocio allagato. "E' la festa più grande dell'anno", spiega. "Di solito qui non c'è nessuno. Ma oggi vengono le famiglie dai dintorni, da oltre confine". Mi affretto verso i fumi di cucina che segnalano il parco Orellana. Di fronte al palco hanno montato gradinate di legno. Sembra una festa rionale affollata: il presentatore, in camicia a collo alto tesa sulla pancia, chiama sul palco diversi notabili locali per i saluti, introduce spettacoli di danza e musica. Sfilano a turno le tre señoritas in costumi piumati - "Brasile!", "Perù!", "Colombia!" - le tre nazioni rispondono con esplosioni di bandiere, urla e percussioni. Nella scenografia spicca gigantesco il volto di un Indio. Ha l'aria non convinta.

Dietro il palco, a una distanza imprecisata, c'è il fiume, ma non è facile arrivarci a piedi. Leticia dà su una ramificazione laterale, che in questo periodo si ritira a decine di metri dal paese. M'incammino nel buio per ponteggi e piattaforme di legno. Le palafitte stanno alte sul vuoto lasciato dall'acqua. Gli alberi sono carichi di uccelli addormentati, come enormi grappoli neri. Nell'erba in basso brillano gli occhietti rossi di un caimano. Da una finestra vedo due bambini sdraiati per terra, la televisione accesa.

Il giorno dopo, su una barca a motore, finalmente vedo il corso principale del Rìo Amazonas. Ma lo sguardo è incapace di abbracciare questa enormità. Per definirla bisogna tornare alle mappe e alle misure inimmaginabili. In questo tratto il fiume è largo in media tre chilometri, si separa e si dirama in una vasta regione che cambia nel tempo. L'acqua sale di due-tre metri con le piogge, nuove isole si formano, altre scompaiono. Ci si può perdere tra anse e biforcazioni, secche e allagamenti. Soltanto in volo si può distinguere l'alveo del fiume alimentato da duecentoventi affluenti, sinuosi come radici d'acqua. Ma non si può semplicemente parlare di "acqua". In Amazzonia ne esistono tre specie: "bianca" (color caffellatte), "nera" (con riflessi rosso carne) e "chiara" (limpida), a seconda della presenza di sedimenti e residui organici. Le acque nere e bianche per lunghi tratti non si mescolano, formano corsi paralleli. Ognuna definisce un diverso ambiente, con diverse specie di piante e animali, che è vitale distinguere (l'acqua nera, per esempio, è priva di caimani e di zanzare). Tutte confluiscono nel gran fiume, il cui delta, dopo oltre seimilacinquecento chilometri di percorso, è largo duecentoquaranta chilometri. Allora l'enorme massa si scarica nell'Oceano colorandolo e inondandolo fino a centottanta chilometri da riva. Così la spedizione di Colombo che costeggiava il Continente si accorse che qui c'era Qualcosa.

Il modo migliore per esplorare questo mondo è aggirarsi tra gli affluenti minori, nel mio caso il Rio Gamboa e il Rio Yavarì con i loro sistemi di lagune, dove pernotto su anche tra gli alberi o nelle palafitte delle comunità indigene. La foresta è un'esperienza sensoriale e corporea difficilmente descrivibile. Lo sguardo si perde tra foglie e radici, l'olfatto rinasce. Il tatto è immerso in un'umidità primigenia, tra innumerevoli radici filiformi o nodose che salgono da terra e scendono dal cielo. Continuamente il piede affonda in strati morbidi di piante macerate, semi di mille forme e misure, formiche in processione, melma schioccante, correnti d'acqua fresca. Da ogni punto della pelle s'introducono fino alle viscere nuovi segnali con cui il corpo inizia a negoziare. L'udito avverte ma non distingue forme di vita che percorrono ogni spazio, che sentono, vedono e difficilmente sono viste. Aprendo la bocca si gustano i mille sapori delle cortecce aromatiche, dell'acqua dolce che esce dalle liane tagliate, dei frutti. Tutto questo è investito dalla pulsazione della pioggia, che cade improvvisa e violentissima e s'interrompe con rapidità. Ma queste impressioni non sono che un collo di bottiglia percettivo di una realtà concepibile solo con lo studio.

Arrivo alla comunità indigena di Gamboa, una striscia di palafitte sul lungofiume. Qui ogni ragazzino entra nell'età adulta da piccolo, quando riceve la propria canoa scavata nel tronco. S'infilano tra canne e fogliame a pescare. Tornano a riva a oziare sulla sabbia fangosa, mettendo in fuga i pulcini tra gli edifici sonnolenti: la scuola, la chiesa battista appena ridipinta, le grandi case di famiglia sotto cui dormono i cani.




"Nella foresta c'è tutto quel che serve, cibo, acqua, medicine, antidoti", mi spiega Pancho, un uomo della comunità, avanzando col machete tra le fronde. Le piante amazzoniche hanno funzionato a lungo come farmaci sono in un quarto dei nostri medicinali e sono ancora oggetto di ricerca. Tutto trova nuovi nomi sotto la guida della voce straordinariamente calma, lenta e silenziosa di chi qui vive da secoli. Il kapok, o lupuna, è l'albero più grande, che può arrivare fino a sessanta metri. Sulla corteccia passa la linea della marea, che nella stagione più piovosa sommergerà lo spazio in cui camminiamo. Le radici enormi del matamata sembrano tendaggi di legno. Pancho le colpisce col machete e un suono profondo si diffonde per la foresta: "E' l'albero-telefono. Se ti perdi, puoi comunicare la tua posizione a chilometri di distanza". Continua a spiegare che dalla bromelia, i cui fiori rossi attecchiscono su tronchi   e rami come festoni, si estrae un veleno. La caferana e la uacapurana sono per il mal di stomaco. L'unia de gate è un antidolorifico. La cumaseba è contro il freddo. L'abuta combatte il diabete, il capinori il cancro, lo uambe agisce sulla prostata. La polvere dell'arbol talco distrugge i funghi della pelle. Pancho fa piccole incisioni sui tronchi e compaiono strati bianchi, rossi, arancio, si sprigionano profumi. Le radici rosse che serpeggiano nella terra sembrano vene esposte di un organismo gigantesco. Dai tagli nel caucciù scende un'emorragia di liquido bianco, che in mano si fa gomma.

Di sera il flusso delle voci animali sembra una cascata di cristalli. Il sonno è profondissimo, il risveglio è lento. Le conoscenze acquisite di giorno si raccolgono di nuovo nella sensazione, diffusa e potente, di essere in un'altra vita possibile, che non evolve necessariamente in quella che conduciamo nelle città. 
Di avviso opposto è il presidente Bolsonaro, che in questi giorni ha rimarcato la sua idea che l'Amazzonia deve svilupparsi mediante il disboscamento, rivendicando polemicamente che gran parte del territorio "è nostro" - cioè di proprietà del governo brasiliano, non di altri paesi, né dei nativi sottosviluppati - e quindi sul mercato. Affermazioni rese possibili dalla conquista spagnola e portoghese di qualche secolo fa, che perdono senso su scale più ampie. Il pensiero di un'identità globale, necessario per arginare l'effetto distruttivo delle retoriche neoliberiste, può trarre molto dalla conoscenza di questo ecosistema tanto diverso dal nostro, con pochi angoli di interiorità (la scimmia urlatrice che ruggisce all'alba, l'uomo che cammina silenzioso, il tucano che l'osserva dai rami), tutto estroflesso nelle relazioni collettive, nella dipendenza reciproca, nella cooperazione di morte e vita, che ha ispirato diecimila anni di culture prive di denaro e diritti di proprietà prima che la civiltà capitalista decidesse che si trattava di una risorsa da sfruttare.

I primi europei a percorrere questo tratto del fiume furono nel 1541-1542, i marinai della spedizione di Francisco de Orellana. Il viaggio nacque quasi per caso, da un ammutinamento, nel corso di una esplorazione spagnola dell'attuale Ecuador. Pizzarro spedì la nave di Orellana a cercare provviste lungo il fiume Coca, i marinai imposero al capitano di non risalire la corrente e proseguire l'esplorazione. Discesero il Rio Napo e arrivarono, per altri affluenti, al gran fiume. Uno scontro con donne guerriere suggerì il nome delle Amazzoni. Secondo la testimonianza di Orellana, all'epoca lungo le rive fioriva una grande civiltà, che poi sarebbe stata decimata dalle malattie europee.

Senza saperlo anch'io ho seguito quel percorso la prima volta che ho visitato il bacino amazzonico. Mi trovavo a Quito, andai all'aeroporto e comprai un biglietto per Coca. L'aereo era un biplano a trenta posti, la compagnia si chiamava - maledettamente - "Icaro". Il volo fu spaventoso, sfiora le cime delle Ande salendo e cadendo come un otto volante. Fuori dal capannone dell'aeroporto, ancora scosso, entrai in un taxi locale. Il conducente mi chiese "che ci sei venuto a fare a Coca?" e in quel momento i miei occhiali da sole si spezzarono in due. Presi una piroga a motore che in poche ore mi portò in un rustico "ecolodege" gestito da una comunità indigena sul Rio Napo, dove quasi subito fu orgogliosamente servito un rinfresco di benvenuto: larve di scarafaggio su foglie di palma. Ci lavorava come volontaria una giovane spagnola affiliata a Survival.org, una delle ONG che si occupano di promuovere i diritti delle popolazioni indigene. C'era solo un altro ospite nell'area-campeggio, Diego, un basco silenzioso, dall'aria stralunata, che camminava nella foresta con sandali e jeans strappati, indifferente alle sanguisughe e alle punture d'insetto. Mi disse che faceva il falegname e che una volta all'anno, d'estate, lasciava moglie e figlia per venire nella selva.

La fauna del Rio Napo era meno timorosa di quella che ho trovato lungo il Rio delle Amazzoni. Ogni sera falene e serpenti si raccoglievano sulla piattaforma di legno. All'alba gli hoatzin, uccelli simili a grossi fagiani, rumoreggiavano tra i rami degli alberi sulla laguna. María raccolse delle bacche di annatto (o bixa orellana, in onore al navigatore) e ci dipinse delle strisce rosse sul viso. Con lei e Diego camminavamo per sentieri invisibili tra gli alberi e di sera si andava a osservare i caimani, gli stessi che di giorno stavano a guardare mentre tre europei dissennati si tuffavano nella laguna torbida. Un indio ci faceva da guida, indicando i buchi negli alberi da cui si sporgevano le scimmie notturne, gli aoti vociferi, con gli occhi arancioni accecati dalla luce e preoccupati dagli strani intrusi. Visitammo la palafitta dell'indio, nascosta nella vegetazione a pochi metri dal fiume. La casa era povera, i bambini avevano vari problemi di salute. Gli animali domestici erano una scimmia ragno e una enorme tarantola, che la figlia piccola giocava a seguire sul pavimento. Per l'occasione, sotto le foglie di palma, fumava un banchetto di benvenuto. Di nuovo larve, in bianca pappa di platano.
L'indio aveva trent'anni, ne dimostrava sessanta. L'avevano chiamato Washo - Washington - come il Presidente di un paese lontano.






In barca verso il Rio Yavarì, in territorio peruviano, ricevo informazioni sula regione da Antonio, che è stato pescatore, studente di scienze naturali a Manaus, poi è tornato a fare la guida turistica sulla frontiera. Mi parla dell'aumento della temperatura e della diminuzione dei pesci, esportati a 40 tonnellate al giorno solo nei pressi di Leticia. "Quando ero piccolo mio padre batteva i piedi nella barca e subito decine di pesci saltavano dentro". Oggi i pesci sono di meno e molti animali terrestri sono scappati dopo decenni di bracconaggio per la vendita di pelli, piume e altri trofei. Il turismo è uno stimolo ad abbandonare queste pratiche o a combatterle. Osservo che mi sembrano un po' troppi i passaggi di rumorose barche a motore, che lasciano una schiuma bianca sul lungofiume del Gamboa. Comitive di colombiani si spingono fin qui solo per tramortirsi di cibo, farsi lunghe dormite nelle amache e un rapido bagno. "E' vero", concede Antonio, "qui ormai c'è un po' di traffico. Però è un'area molto limitata. Alcune guide sono ex-bracconieri, ex-cercatori d'oro, ex-boscaioli, che lavoravano in tutta la regione. Meglio così per tutti.

Antonio parla la lingua yukuna, sua madre è indigena. Parliamo della prossimità tra uomo e natura tipica delle culture locali. Le maschere di giaguari e altri animali sono impiegate, tra le altre cose, in una cerimonia di ospitalità. Gli ospiti arrivano vestiti da animali e danzano per un giorno sotto gli occhi degli anfitrioni, privi di maschera. La notte la danza degli "animali" continua fuori dalla casa, riproducendo i suoni della foresta. Il giorno dopo gli "animali" si smascherano e si uniscono agli "umani" in casa, dove tutti danzano insieme.

Nelle teche del museo etnografico di Leticia, insieme a costumi e cerbottane ho visto anche gli accessori con cui gli sciamani tritano e fumano le piante allucinogene. Chiedo a Antonio se in zona ce ne sono ancora, di sciamani. "Certo, ci sono. Ma vivono appartati nella selva. Con l'arrivo dei turisti è diventato uno spettacolo". "Un mio amico che vive in Russia, vicino al lago Bajkal, mi diceva cose del genere sullo sciamanismo siberiano. Dice che ormai è soprattutto uno show-manism. Finte cerimonie in costume per turisti russi e cinesi".

"Quando ero piccolo qui c'era quest'uomo, si faceva chiamare El Indio amazónico. Un falso sciamano, un buffone. Andò a Bogotà vestito di piume. Prometteva soluzioni per denaro, amore, lavoro, impotenza. Leggeva mani, occhi, tarocchi. Guadagnò molto denaro, ma dopo un po' non lo prendevano sul serio. Se n'è scappato a fare lo "spiritista" a Miami dove nessuno si accorge dell'inganno. Si è comprato una spider, ora sta in California".

A parte questi casi isolati, dal punto di vista delle culture indigene la colonizzazione ha portato soprattutto sfruttamento e distruzione. Antonio è il primo a nominarmi un romanzo, La voragine (1922) di Josè Eustasio Rivera, che tutti qui conoscono perché si legge nelle scuole. Racconta di due amanti che scappano da Bogotà e vanno nella "selva oscura" amazzonica. Qui i due copriranno come l'impresa di raccolta del caucciù del peruviano Julio César Arana ha prodotto un vero e proprio genocidio. Rivera basò il racconto sulla sua esperienza di viaggio nel sudest della Colombia, trasformandola in un romanzo modernista che adotta lo schema classico del viaggio negli inferi, da cui però la coppia di protagonisti non ritorna.
Il movimento di discesa da Bogotà alla foresta è ripreso nella serie di Netflix Frontera verde (2019), che è stata girata da queste parti. La serie usa attori e lingue indigene, aumentando il contrasto con la cultura ispanofona dei Bianchi. Ma in Frontera verde il rapporto tra Bianchi e indigeni ha una doppia valenza. La protagonista Helena, colombiana, è un'investigatrice venuta dalla capitale per indagare sulla mote di alcune  suore e di una misteriosa indigena il cui corpo resta intatto dopo la mote. Si tratta per lei di un ritorno alle origini, perché Helena è figlia di due studiosi della foresta ed è nata proprio da queste parti. L'indagine comporterà un chiarimento sulla drammatica scomparsa di sua madre e l'acquisizione magica di un'identità seconda, vicina a quella degli indigeni. All'altro polo ci sono una serie di Bianchi ostili alle culture locali, capeggiati da un nazista. L'invenzione di questo cattivo, mosso dall'intento esoterico di appropriarsi del sapere segreto della foresta, si ispira a una circostanza storica: l'emigrazione tedesca nel Dopoguerra, coda di un processo di massa iniziato a metà Ottocento che ha profondamente condizionato l'identità brasiliana e amazzonica (lo raccontava Edgar Reitz nel suo film Die andere Heimat. L'altra patria, 2013). Frontera verde evoca con efficacia le voci, le lingue, il paesaggio di questa regione sviluppa le sue tensioni - l'identità spezzata di paese meticcio, la mercificazione del territorio, l'eredità delle morenti culture amazzoniche - fino a un finale forse deludente, che richiude ogni ferita con una confezione metafisica.

Queste narrazioni colombiane proseguono una riflessione avviata in queste terre dagli Europei e finalmente ne fanno un dialogo a più voci: le basi di questo dialogo furono dettate dalle prime opere di autocritica coloniale come la Brevissima relazione della distruzione delle indie (1552) del domenicano Bartholomé De Las Casas; l'idea di un confronto alla pari fu introdotta dagli scrittori della Francia illuminista e, nel Novecento, da Calude Lèvi-Strauss, che in base a anni di ricerche sul campo confrontò le società "fredde" di quelli che un tempo si chiamavano "selvaggi", statiche e immerse in uno stretto rapporto con l'ambiente naturale, e le società "calde" occidentali, dinamiche e sensibili ai mutamenti storici, interrogandosi sui diversi sistemi cognitivi che vi corrispondevano. Ma il maggiore monumento di questo incontro-scontro è il libro "a due io" che l'antropologo Bruce Albert ha scritto insieme allo sciamano Davi Kopenawa, La caduta del cielo (2010).




I due autori si sono conosciuti nelle terre degli Yanomami, dov'è nato e cresciuto Davi Kopenawa, a un giorno di barca dai luoghi che sto visitando. La vita di Davi è scandita dai momenti-chiave dell'incontro tra due popolazioni: nato negli anni Cinquanta e cresciuto nella foresta, assiste all'arrivo dei Bianchi che vengono a tagliare alberi, cacciare animali, cercare oro, infine a costruire una strada; testimonia la messa in discussione delle tradizioni locali, il diffondersi delle epidemie, la conversione al cristianesimo, l'arrivo di beni e di "nuove parole", ragionamenti minacce e promesse degli invasori mossi dal profitto, la nascita di organizzazioni a tutela degli indigeni. Tutte esperienze che Davi Kopenawa ha vissuto in prima persona, apprendendo la tradizione sciamanica, poi imparando a parlare il portoghese, convertendosi temporaneamente alla fede cristiana e studiando da infermiere, andando a vivere e lavorare con i Bianchi come lavapiatti, poi interprete per la FUNAI (la Fondazione nazionale dell'Indigeno), per rompere infine con i Bianchi e tornare orgogliosamente al suo mondo e alla sua lingua viaggiando occasionalmente per promuovere la sua causa di fronte a platee internazionali. Esperienze che ha deciso di trasmettere in un racconto su "pelle di carta" che è insieme un'autobiografia, un'enciclopedia mitologica degli Yanomami - ben più imponente e rigorosa di altri classici della documentazione etnografica come Dio d'acqua di Marcel Griaule - e la storia di un conflitto interiore e esteriore: politico, sociale, economico, linguistico, filosofico.

Colpisce la lucidità con cui Kopenawa, che non a caso è diventato un protagonista dell'attivismo indigeno, descrive il pensiero dei Bianchi:
I loro capi continuano a dire: "Noi siamo potenti! Possederemo tutta la foresta, Che i suoi abitanti muoiano! Si sono stabiliti senza una ragione su quella terra, che ci appartiene!" Questi Bianchi pensano solo a ricoprire la terra con i loro disegni [le mappe] per tagliarla a pezzi e, infine, cedercene solo alcune parti circondate dai loro giacimenti e delle loro piantagioni. Dopo di che, soddisfatti, dichiareranno: "Ecco al vostra terra. Ve la diamo!".
Colpisce anche il suo elenco dei fattori che distruggono il mondo della foresta e suscitano la sua collera. Il pensiero degli sciamani della sua infanzia, scrive, "non era ancora offuscato dalle merci - pentole, machete, vestiti e così via - ha aperto la strada ai Bianchi. Lo stesso Davi ha desiderato pantaloni, scarpe, orologi, camicie, occhiali e altro:
Non smettevo di pensare al momento in cui sarei diventato adulto e mi dicevo: "Un giorno, possiederò un motore per correre su e giù lungo i fiumi con una grande barca, come i Bianchi!"

Insieme alle merci sono arrivate le epidemie di influenza, morbillo, malaria, tubercolosi, che hanno profondamente colpito la popolazione degli Yanomani. Poi ci sono le "parole" dei Bianchi, che invadono lo spazio della foresta con altrettanta virulenza: "Le loro parole entrano nei nostri pensieri e li offuscano". Si parla di oro, bestiame, colture, ma anche di Dio (Teosi), Satana (Satanasi), Gesù (Sesusi), peccato e inferno: tutte parole che, secondo Kopenawa, sarebbero servite da strumento per assoggettare e ingannare la gente locale. Tutta la sua gente ha subito il fascino della merce e delle parole, si è creduta protetta, mentre stava venendo decimata e chiusa in un recinto.

I tre fattori merci, parole e malattie costituiscono il paradigma con cui Kopenawa analizza il processo della colonizzazione, quasi a fare da contrappunto all'analisi di Jared Diamond in Armi, acciaio e malattie. Ma i tre fattori di Kopenawa rendono conto di un'invasione non soltanto materiale, bensì anche psicologica. Considera le parole come realtà che si muovono nella mente, restano in circolo, formano collegamenti, diventano gesti, orientamenti, tracciano percorsi che si possono seguire e su cui ci si può perdere pericolosamente. Su questo punto lo sciamano non esita a criticare la superficialità e la ristrettezza della sua gente:
Le persone comuni non pensano a queste cose. Quando vedono arrivare dei cercatori d'oro o altri Bianchi, la loro mente rimane vuota. Allora, si limitano a sorridere chiedendo del cibo o delle merci. Non si domandano: "Cosa devo pensare di questi Bianchi? Cosa vengono a fare nella foresta? Sono pericolosi? Devo difendere la mia terra e scacciarli?" No, il loro pensiero rimane piantato ai loro piedi, senza poter avanzare. Riescono solo a dirsi: "Perché preoccuparsi? La foresta è molto vasta e non può essere distrutta. Cerco piuttosto di ottenere vestiti e cartucce!" Quando il pensiero della nostra gente è così confuso, diventa come un cattivo sentiero nella foresta. Lo si segue a fatica nella vegetazione intricata e oscura, si inciampa, si finisce per cadere in un buco o in un corso d'acqua, ci si cavano gli occhi con delle spine o si viene morsi da un serpente. Io, invece, ho voluto prendere un cammino libero la cui chiarezza si apre lontano davanti a me. E' quello delle nostre parole per difendere la foresta".



Seguire le parole Yanomami è quindi un'esigenza pratica, una necessità vitale:
Solo loro possono renderci felici. Imitare quelle di Teosi e dei Bianchi non porta a nulla. Possono solo tormentarci. Ecco perché penso che dobbiamo seguire le tracce dei nostri anziani, come i Bianchi seguono quelle dei loro".
Ma in questo libro, che per su natura è rivolto ai Bianchi, non si tratta di rifiutare ogni contatto. Questa è piuttosto una controffensiva filosofica delle culture amazzoniche in genere, tutte collegate da affinità profonde come il credito assegnato ai viaggi estatici e alle visioni di spiriti naturali indotte da funghi e piante (la "polvere yakoana" degli Yanomami, che in altre culture si chiama yakruna e con altri nomi simili). Le parole degli sciamani, rimarca Kopenawa, comportano rappresentazioni, valori, modi di vivere diversi, che egli intende orgogliosamente esporre ai Bianchi per invocare un loro ravvedimento. Certo, in queste pagine circola quello che non può che apparirci dogmatismo ("E' così", ripete spesso Davi, per asseverare le sue verità). La cosmologia tradizionale alimentata dalle visioni sciamaniche  produce numerosi equivoci geografici e scientifici. Il rifiuto in blocco della cultura che ha conosciuto con gli ammonimenti dei missionari e le violenze dei cercatori d'oro non è moderato dal riconoscimento del contributo di altri Bianchi in difesa della sua cultura e della gentilezza dei medici che l'hanno guarito dalla tubercolosi. Ma al tempo stesso c'è l'esercizio del dubbio, basato sull'immersione in quell'altra identità (per esempio Kopenawa continua a interrogarsi sull'esistenza dell'invisibile Teosi, il Deus dei brasiliani, confrontandolo con gli spiriti xapiri che le piante invece gli fanno vedere).
Ne La caduta del cielo c'è un'elaborazione basata sul confronto culturale e tecnologico, come quando Kopenawa paragona le immagini degli spiriti-animali a delle "fotografie", immagini accessibili solo agli iniziati, di cui gli animali concretamente osservabili nella foresta sono copie mortali, "rappresentanti - insomma, quasi idee platoniche che stanno alla base dell'ordine naturale. E c'è la volontà di comunicare, e quindi tradurre, un'intera visione del mondo a quelle culture cui Kopenawa si rivolge nel suo libro, per far passare almeno un messaggio: "la foresta è viva. Può morire solo se i Bianchi si ostinano a distruggerla". Questa ostinazione ha esiti apocalittici. La morte della foresta farebbe scomparire gli sciamani con le loro visioni, che si oppongono alla distruzione, e "allora moriremo gli uni dopo gli altri e così anche i Bianchi. Tutti gli sciamani periranno. Quindi, se nessuno di loro sopravvive per trattenerlo, il cielo crollerà".





Davi Kopenawa ha percorso un viaggio inverso a quello di tanti Bianchi, dalla foresta alla città e ritorno. Il risultato è un caso unico: la sua voce sapiente e appassionata, che prende la parola con l'assistenza di Bruce Albert, incarna lo sguardo che Montaigne (nel saggio Sui Cannibali), Rousseau (nel Discorso sull'origine della disuguaglianza) e Diderot (nel Supplemento al viaggio di Bouigainville) avevano attribuito al loro indigeno immaginario, facendolo parlare contro l'intolleranza religiosa, la proprietà privata, i lussi, il colonialismo, lo schiavismo, la morale sessuale cristiana. Allo stesso sguardo straniato di Kopenawa le più pacifiche certezze europee appaiono come ridicole assurdità. Così la convinzione che le "pelli di carta" (il denaro) e i "disegni sulla terra" (territori sulle mappe) abbiano un valore. Così l'avido attaccamento al cibo e agli utensili domestici, che i Bianchi concedono solo in cambio di lavoro o li negano perché "Hanno un prezzo". Così la vorace ricerca dell'oro dei cercatori (garimpeiros), paragonati a pecari che mangiano la terra. Con loro Kopenawa ha il suo primo scontro armato e dialoghi di aperto scherno quando questi provano a blandirlo con le loro menzogne:
"Vogliamo cercare l'oro con voi! Siamo amici! Davi, faremo di te un grande capo!" Sentire di nuovo queste parole mi mandò in collera. Gli risposi: "Io non so fare il capo e non mangio l'oro! Non me ne faccio niente di quella polvere che brilla nella sabbia. Dovrei essere un caimano per inghiottirla! Non voglio niente da voi e non vi lasceremo lavorare qui!
Esco dal cosmo amazzonico dal Rio Yavarì approdando alla cittadina brasiliana di Benjamin Constant. La gente beve birra sui barconi ormeggiati, con l'aria di chi non s'aspetta niente. Da qui torno con un motoscafo pubblico fino a Tabatinga, un villaggio di baracche pieno di polli e cani affamati. Proseguo a piedi fino a Leticia. Gli alberi si diradano, lo sguardo si riabitua ai campi coltivati. La deforestazione spicca e induce la riflessione ecologica, come oggi è ovvio. .Lo era meno all'inizio dell'Ottocento, quando Alexander von Humboldt nel suo Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente analizzò su basi scientifiche l'impatto del disboscamento e delle monoculture sull'equilibrio ambientale, denunciando che "le malefatte dell'umanità disturbano l'ordine naturale". Dopo due secoli è possibile e urgente precisare questa analisi: il disboscamento risponde principalmente alla domanda di colture di soja destinate agli allevamenti europei e cinesi, dunque dipende ancora da culture lontane dall'Amazzonia. La lotta indigena ha quindi una portata globale, al tempo stesso ecologica e culturale. La posta in gioco è la foresta, che continua a comparire nel nostro immaginario come un luogo eterno ma in realtà può morire, come nella profezia di Kopenawa. 

Sull'altra sponda del fiume si vede ancora la cresta verde degli alberi, rassicurante nella sua massa sconfinata. Tabatinga sembra un'altra cittadina brutta e caotica sull'orlo di una natura pittoresca, che offre pace e bellezza, trovando nei turisti un nuovo argine alla distruzione. Ma la lotta è in corso anche qui, con le tribù del rio Yavarì. tra un mese, quando sarò tornato in Italia, per strada a Tabatinga uccideranno Maxciel Pereira dos Santos, funzionario della FUNAI e attivista dei diritti degli indigieni. La pace è un'illusione estetica.

  
 Sitografia:


https://incantodiluce.blogspot.com/2019/10/semplicita-volontaria-e-vera-ricchezza.

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/04/sulla-frequenza-dellamore-dinaweh.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/10/la-nuova-frontiera-marginali-creativi.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/09/gli-schiavi-bambini-del-cioccolato.html 

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/05/dalle-parole-ai-fatti.html 

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/05/in-formazione-permanente-attiva-tutti.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2018/01/tornare-alla-madre.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2020/03/amore-e-servizio-in-azione-amor-y.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2019/12/piccole-e-grandi-azioni-crescono.html

https://incantodiluce.blogspot.com/2017/06/il-seme-sotto-la-paglia.html