CAMMINAVO CON VOI
Un'immagine inedita traspare dalle righe del libro di Daniel Meurois* sulla figura di Jeshua. Da queste righe possiamo ascoltare proprio Lui, la sua voce che ci racconta il suo viaggio in mezzo agli uomini, vissuto più di duemila anni fa; un viaggio, il Suo, assai più lungo e variegato di quello che la Chiesa ci ha sempre voluto far intendere.
Dall'età di dodici anni, con il suo arrivo nel monastero del Kreml (il monte Carmelo, oggi in Libano, vicino Haifa) accompagnato dal padre Yussaf (Giuseppe), fino alla lunga peregrinazione verso Oriente, passando per la Siria, l'Iraq, l'Iran (la Persia), il Turkmenistan, l'Afganistan, il Pakistan, il Kashmir, l'India, il Nepal, fino alle sorgenti del fiume Gange nell'Himalaya e poi il ritorno verso l'India e il Kashmir, all'età di trent'anni, per dare inizio alla vita pubblica in Palestina. Il resto è storia nota, anche se, come alcuni autori esprimono, non sarebbe in realtà morto sulla croce per poi risorgere, ma anzi, guarito e curato da Nicodemo e da altri fidati tra i suoi, avrebbe fatto ritorno nelle terre d'Oriente, per fermarsi stabilmente in Kashmir ove avrebbe stabilito la sua abituale dimora per concludere in età avanzata la sua esperienza terrena...
Qui tuttavia non c'importa tanto concentrare la nostra attenzione su quale sia stato l'epilogo della sua esistenza terrena, quanto piuttosto coglierne il senso, entrare nel significato profondo del suo errare per le strade del mondo; scoprire quanto sia stato importante non tanto la meta finale, quanto le tappe del viaggio interiore del Suo Spirito e conseguentemente del pellegrinaggio esteriore del Suo veicolo fisico, fino a renderlo Maestro di se stesso, prima che dell'uomo.
Colui che conosciamo tutti come il Cristo infatti non volle istituire alcuna chiesa, né organizzare alcuna rivolta; non intese mettere a capo nessuno che avrebbe dovuto rappresentarlo dopo di Lui, quando avesse continuato il suo percorso altrove; non si adeguò alla mentalità comune, né alle "regole" stabilite inflessibili e invalicabili da alcun dogma, in nome di nessun Dio; travalicò invece sempre il limite imposto dalle convenzioni umane, si tenne sempre lontano dalla furbizia, dalla mancanza di autenticità, dall'ipocrisia che denunciava senza mezzi termini anche e soprattutto in direzione delle caste dominanti dei Sacerdoti, Scribi e Farisei.
Non si volle accattivare le simpatie degli esclusi, degli scontenti, non pensò mai di porsi a capo del suo popolo, né si rese mai complice di azioni malvagie. Ogni uomo, ogni donna che incontrava sul suo cammino entrava a far parte della sua stessa vita, ne vedeva cambiare irrimediabilmente la direzione, a prescindere dalla posizione e dal ruolo sociale. Ebrei, Romani, indù, beduini del deserto..., ognuno era parte di quella stessa Luce che in Lui vibrava alla massima potenza, ma che era già tutta imbrigliata dentro i nodi delle vite di quei compagni di viaggio, spesso così ignari e inconsapevoli.
Tra gli altri brani tratti dal libro di Daniel, voglio ricordare un episodio (il terzo qui in ordine di scrittura) che sembra parlare del mio incontro con Lui in quella vita - o perlomeno, questo è ciò che dal profondo della mia anima mi è sembrato di ricevere come informazione. Non appena ebbi modo di riascoltare quelle parole dalla lettura della persona che amo, hanno cominciato a sgorgare lacrime copiose dagli occhi e un tonfo al cuore mi ha scaldato il petto, come se la Sua Presenza tornasse a galla dalle profondità del tempo, e il ricordo del Suo abbraccio, dei suoi occhi, della Sua Aura luminosa e avvolgente lo sentissi d'un tratto accanto e tutt'attorno a me.
Vi lascio dunque alle Sue parole che risalgono dalle nebbie del tempo attraverso il viaggio in eterico che Daniel compie per noi ogni volta che gli viene concesso il varco all'Archivio Akashico, per riportare viva la memoria su fatti ed eventi che hanno lasciato traccia nel corso della storia dell'umanità o semplicemente perché ogni essere vivente che ha fatto un passaggio su questo pianeta lascia immancabilmente una traccia indelebile di sé tra le pieghe del tempo, fino a confondersi con l'eternità.
Dinaweh
Qui tuttavia non c'importa tanto concentrare la nostra attenzione su quale sia stato l'epilogo della sua esistenza terrena, quanto piuttosto coglierne il senso, entrare nel significato profondo del suo errare per le strade del mondo; scoprire quanto sia stato importante non tanto la meta finale, quanto le tappe del viaggio interiore del Suo Spirito e conseguentemente del pellegrinaggio esteriore del Suo veicolo fisico, fino a renderlo Maestro di se stesso, prima che dell'uomo.
Colui che conosciamo tutti come il Cristo infatti non volle istituire alcuna chiesa, né organizzare alcuna rivolta; non intese mettere a capo nessuno che avrebbe dovuto rappresentarlo dopo di Lui, quando avesse continuato il suo percorso altrove; non si adeguò alla mentalità comune, né alle "regole" stabilite inflessibili e invalicabili da alcun dogma, in nome di nessun Dio; travalicò invece sempre il limite imposto dalle convenzioni umane, si tenne sempre lontano dalla furbizia, dalla mancanza di autenticità, dall'ipocrisia che denunciava senza mezzi termini anche e soprattutto in direzione delle caste dominanti dei Sacerdoti, Scribi e Farisei.
Non si volle accattivare le simpatie degli esclusi, degli scontenti, non pensò mai di porsi a capo del suo popolo, né si rese mai complice di azioni malvagie. Ogni uomo, ogni donna che incontrava sul suo cammino entrava a far parte della sua stessa vita, ne vedeva cambiare irrimediabilmente la direzione, a prescindere dalla posizione e dal ruolo sociale. Ebrei, Romani, indù, beduini del deserto..., ognuno era parte di quella stessa Luce che in Lui vibrava alla massima potenza, ma che era già tutta imbrigliata dentro i nodi delle vite di quei compagni di viaggio, spesso così ignari e inconsapevoli.
Tra gli altri brani tratti dal libro di Daniel, voglio ricordare un episodio (il terzo qui in ordine di scrittura) che sembra parlare del mio incontro con Lui in quella vita - o perlomeno, questo è ciò che dal profondo della mia anima mi è sembrato di ricevere come informazione. Non appena ebbi modo di riascoltare quelle parole dalla lettura della persona che amo, hanno cominciato a sgorgare lacrime copiose dagli occhi e un tonfo al cuore mi ha scaldato il petto, come se la Sua Presenza tornasse a galla dalle profondità del tempo, e il ricordo del Suo abbraccio, dei suoi occhi, della Sua Aura luminosa e avvolgente lo sentissi d'un tratto accanto e tutt'attorno a me.
Vi lascio dunque alle Sue parole che risalgono dalle nebbie del tempo attraverso il viaggio in eterico che Daniel compie per noi ogni volta che gli viene concesso il varco all'Archivio Akashico, per riportare viva la memoria su fatti ed eventi che hanno lasciato traccia nel corso della storia dell'umanità o semplicemente perché ogni essere vivente che ha fatto un passaggio su questo pianeta lascia immancabilmente una traccia indelebile di sé tra le pieghe del tempo, fino a confondersi con l'eternità.
Dinaweh
[...] Non cercavo nessuno, non reclutavo nessuno... E nemmeno "pescavo", contrariamente a ciò che poi è stato detto e scritto. Neppure avevo qualche aspettativa; o perlomeno non cercavo null'altro che le occasioni per poter parlare e dire l'essenza di ogni cosa, o per imporre le mani, o la saliva, o anche solo il fiato laddove c'era sofferenza. Poi, le cose andavano come dovevano andare: si avvicinava chi voleva, si allontanava chi sceglieva di andarsene. Ma tutti erano sempre presenti all'appuntamento nel punto esatto in cui si trovavano: non tanto con me, quanto con se stessi.
[...] Anime pronte a sbocciare... sì, ecco il termine giusto per descriverle e ogni giorno, tra loro, vedevo un numero crescente di donne. Questo continuava a disturbare, ma io non me ne preoccupavo e, devo dire, piuttosto spesso erano loro a porre le domande che gli uomini temevano di fare o non riuscivano a concepire. Le loro barriere cadevano in fretta a testimoniare una sete che millenni di aridità spirituale forzata avevano alimentato. Sulle rive del lago, che sempre preferivo rispetto alle piazze dei villaggi, le donne liberavano il cuore. In verità, ben poche conoscevano le Scritture e forse in questo stava la loro forza, giacché dalla loro spontaneità nasceva come una brezza primaverile che sospingeva anche i loro compagni.
[...] Poco tempo dopo la sua richiesta e l'esserci riuniti, Tommaso venne da me con un uomo ancora molto giovane. Non aveva ancora vent'anni. Aveva i capelli e gli occhi chiari e un viso notevole, aperto e radioso. Era, in realtà, tutto un sorriso.
"Ecco Juda, - annunciò Tommaso, - il nostro fratello più giovane... Viene dal nostro villaggio, fra le colline, perché anche laggiù incominciano a parlare di quello che sta accadendo qui. Allora, siccome era preoccupato per nostra madre, ha preso la sua bisaccia ed eccolo qui... Ma non so se sono riuscito a rassicurarlo".
Juda, che aveva l'aria imbarazzata e intimidita dalla mia persona, volle toccarmi i piedi; però non gliene lasciai il tempo e lo abbracciai stretto. Tommaso aveva ragione: Juda sembrava molto teso e inquieto. Quando glielo feci notare, si liberò del peso di qualche parola: "Mio fratello mi ha detto che, siccome ero venuto sin qui, potevo star certo che non sarei mai più ripartito".
"Ed è ciò che temi?"
"Rabbi, si dicono tante cose su di te e certe sono contraddittorie: dicono che addormenti gli uomini che ti si avvicinano o quelli che incroci per strada e che quando si svegliano gridano, convinti di essere stati guariti dai loro malanni. Dicono che sei un mago e che vieni dal deserto. E poi, capisci, qui non sono a casa mia".
"Allora, Juda, dimmi dov'è che sei a casa tua".
Juda esitò a lungo prima di rispondermi: non riuscì a farlo se non girando un po' il viso di lato.
"In verità, non lo so".
"E che ne fai della tua vita?".
"Coltivo il lino, l'orzo e i piselli. Nel villaggio condividiamo tutto, come sai, dunque è così che vivo".
"Ed è bello vivere così, ma questa non era la mia domanda: intendevo "che ne fai del tuo cuore" perché, vedi, la nostra vita è fatta soprattutto di ciò che ci riempie il cuore".
"Giustappunto... non saprei rispondere a questo più di quanto non ti sappia dire dove mi sento a casa".
Juda non riusciva ancora a guardarmi davvero: teneva la testa girata da un lato, lo sguardo preferibilmente perso in un pezzo di cielo o di lago. Mi ricordava tante donne e tanti uomini dall'anima profonda e solitaria che avevo incontrato qui e là dalle parti di Kashi o di Ie Nagar**, anime colme di nostalgia per un altro mondo, che da sempre attraversano l'esistenza in cerca delle loro vere radici.
"Forse perché il tuo cuore e la tua casa si confondono - aggiunsi, dopo essere finalmente riuscito a catturare il suo sguardo. - Stai tranquillo, Juda, non sono di quelli che addormentano la gente, ma piuttosto di quelli che la scuotono per svegliarla. Tutto sta nel sapere se vuoi svegliarti per scendere nella tua vita. Certe volte lavorare la terra non basta se ci si limita a considerare la 'terra di sotto' ".
"Intendi parlare della 'terra di sopra'?"
"No, ti parlo della 'terra di mezzo', quella dell'equilibrio. Se guardi soltanto verso l'alto o soltanto verso il basso, perdi l'accesso ad entrambi e vieni invaso e mangiato dalla noia di ciò che sei".
"E cosa sono, Rabbi?"
"Sei, in primo luogo, un uomo che ha un po' mentito, dicendo di essere venuto qui per sua madre, quando sa bene che sua madre è in pace... inoltre, soprattutto, sei un uomo dal cuore immenso, ma che esita a spingerne il battente".
Su queste riflessioni si concluse, quel giorno, la nostra conversazione.
[...] Juda, infine, un mattino molto presto, mi raggiunse nell'intrico dei canneti e dei pietroni rotondi in cui sempre mi rifugiavo sulle rive del lago, con la preghiera nel cuore. Ancora lo rivedo fissarmi con i suoi occhi chiari, mentre mi diceva qualcosa come:
"Ecco, mi arrendo a te..."
Mi offriva la resa delle argomentazioni della sua maschera di uomo della terra, e mi apriva il suo cuore: un cuore, in verità, immenso, puro e coraggioso.
"Non mi piace chiamarti Juda - gli dissi, abbracciandolo. - E' un nome troppo comune... quando perdiamo una scaglia, a volte è bene cambiare nome. Allora, fratello, permettimi di chiamarti Taddeo***. So bene che questo nome non esiste per gli uomini, ma a te va proprio bene..."
Fu dunque così che, un giorno, all'alba, con i piedi in acqua, nacque Taddeo.
* Daniel Meurois, Il libro segreto di Gesù, vol. 2 - Il tempo del Compimento, ed. Amrita, Torino, 2017, pp. 126; 126-127; 124-126; 128.
** Si tratta rispettivamente delle attuali città di Benares (Varanasi) e Puri, sul Golfo del Bengala.
*** Taddeo o Taddà in aramaico, significa "colui che ha cuore", "il tenero", "il coraggioso".
"Ecco Juda, - annunciò Tommaso, - il nostro fratello più giovane... Viene dal nostro villaggio, fra le colline, perché anche laggiù incominciano a parlare di quello che sta accadendo qui. Allora, siccome era preoccupato per nostra madre, ha preso la sua bisaccia ed eccolo qui... Ma non so se sono riuscito a rassicurarlo".
Juda, che aveva l'aria imbarazzata e intimidita dalla mia persona, volle toccarmi i piedi; però non gliene lasciai il tempo e lo abbracciai stretto. Tommaso aveva ragione: Juda sembrava molto teso e inquieto. Quando glielo feci notare, si liberò del peso di qualche parola: "Mio fratello mi ha detto che, siccome ero venuto sin qui, potevo star certo che non sarei mai più ripartito".
"Ed è ciò che temi?"
"Rabbi, si dicono tante cose su di te e certe sono contraddittorie: dicono che addormenti gli uomini che ti si avvicinano o quelli che incroci per strada e che quando si svegliano gridano, convinti di essere stati guariti dai loro malanni. Dicono che sei un mago e che vieni dal deserto. E poi, capisci, qui non sono a casa mia".
"Allora, Juda, dimmi dov'è che sei a casa tua".
Juda esitò a lungo prima di rispondermi: non riuscì a farlo se non girando un po' il viso di lato.
"In verità, non lo so".
"E che ne fai della tua vita?".
"Coltivo il lino, l'orzo e i piselli. Nel villaggio condividiamo tutto, come sai, dunque è così che vivo".
"Ed è bello vivere così, ma questa non era la mia domanda: intendevo "che ne fai del tuo cuore" perché, vedi, la nostra vita è fatta soprattutto di ciò che ci riempie il cuore".
"Giustappunto... non saprei rispondere a questo più di quanto non ti sappia dire dove mi sento a casa".
Juda non riusciva ancora a guardarmi davvero: teneva la testa girata da un lato, lo sguardo preferibilmente perso in un pezzo di cielo o di lago. Mi ricordava tante donne e tanti uomini dall'anima profonda e solitaria che avevo incontrato qui e là dalle parti di Kashi o di Ie Nagar**, anime colme di nostalgia per un altro mondo, che da sempre attraversano l'esistenza in cerca delle loro vere radici.
"Forse perché il tuo cuore e la tua casa si confondono - aggiunsi, dopo essere finalmente riuscito a catturare il suo sguardo. - Stai tranquillo, Juda, non sono di quelli che addormentano la gente, ma piuttosto di quelli che la scuotono per svegliarla. Tutto sta nel sapere se vuoi svegliarti per scendere nella tua vita. Certe volte lavorare la terra non basta se ci si limita a considerare la 'terra di sotto' ".
"Intendi parlare della 'terra di sopra'?"
"No, ti parlo della 'terra di mezzo', quella dell'equilibrio. Se guardi soltanto verso l'alto o soltanto verso il basso, perdi l'accesso ad entrambi e vieni invaso e mangiato dalla noia di ciò che sei".
"E cosa sono, Rabbi?"
"Sei, in primo luogo, un uomo che ha un po' mentito, dicendo di essere venuto qui per sua madre, quando sa bene che sua madre è in pace... inoltre, soprattutto, sei un uomo dal cuore immenso, ma che esita a spingerne il battente".
Su queste riflessioni si concluse, quel giorno, la nostra conversazione.
[...] Juda, infine, un mattino molto presto, mi raggiunse nell'intrico dei canneti e dei pietroni rotondi in cui sempre mi rifugiavo sulle rive del lago, con la preghiera nel cuore. Ancora lo rivedo fissarmi con i suoi occhi chiari, mentre mi diceva qualcosa come:
"Ecco, mi arrendo a te..."
Mi offriva la resa delle argomentazioni della sua maschera di uomo della terra, e mi apriva il suo cuore: un cuore, in verità, immenso, puro e coraggioso.
"Non mi piace chiamarti Juda - gli dissi, abbracciandolo. - E' un nome troppo comune... quando perdiamo una scaglia, a volte è bene cambiare nome. Allora, fratello, permettimi di chiamarti Taddeo***. So bene che questo nome non esiste per gli uomini, ma a te va proprio bene..."
Fu dunque così che, un giorno, all'alba, con i piedi in acqua, nacque Taddeo.
* Daniel Meurois, Il libro segreto di Gesù, vol. 2 - Il tempo del Compimento, ed. Amrita, Torino, 2017, pp. 126; 126-127; 124-126; 128.
** Si tratta rispettivamente delle attuali città di Benares (Varanasi) e Puri, sul Golfo del Bengala.
*** Taddeo o Taddà in aramaico, significa "colui che ha cuore", "il tenero", "il coraggioso".