domenica 15 novembre 2020

Introduzione al libro di Cappello "La Civiltà dell'Orto. La Coltivazione Elementare" (Dinaweh) - " La separazione dalla Natura Madre" - di Mara Lilith Orlandi



Introduzione al libro di 
Gian Carlo Cappello


"La Civiltà dell'Orto. 
La Coltivazione Elementare"
 
Dinaweh

Traggo questa bella e articolata riflessione dal taglio antropologico e filosofico di Mara Lilith Orlandi pubblicato come chiosa nell'ultimo capitolo del libro che ho scoperto da poco e di cui mi sono nutrito con foga ed entusiasmo insieme alla mia compagna, il cui Autore sento già di poter considerare un fratello, un amico o un compagno ideale di percorso, sebbene non sia ancora riuscito a scambiare con lui una bella stretta di mano; per ora soltanto qualche mail, con il reciproco augurio di conoscerci di persona quanto prima. 
Sto parlando di Gian Carlo Cappello e del suo libro: La Civiltà dell'Orto. La Coltivazione Elementare, edito da L'Età dell'Acquario.
In questo libro che invito tutti gli amanti della natura e  soprattutto i costruttori reali o virtuali di orti, urbani o agresti che siano, ad acquistare e soprattutto a leggere, ho vissuto come una sorta di illuminazione sulla via di Damasco. Mi sono sempre sentito vicino e connesso alla natura sin da ragazzino quando, terminate le scuole medie inferiori, avevo pensato di iscrivermi all'Istituto agrario della mia città di mare, al punto che la mia famiglia - pur non contrastando il mio anelito, ma nemmeno incentivandolo - si chiedeva da chi avessi preso quell'amore viscerale per la terra, non annoverando tra le ascendenze familiari alcuna tradizione "contadina". 
Avendo poi deciso di non indirizzarmi a quel tipo di studi, ho sempre cercato di trovarmi nella condizione di coltivare qualche pezzo di terra in giro per l'Italia, a stretto contatto con la natura. Negli anni quel richiamo, nonostante la maggior parte della mia esistenza l'abbia vissuta in contesti urbani (e per uno scherzo del destino anche ora sia incastrato in uno di quelli), si è fatto sempre più pressante, al punto dall'essermi imbattuto in quel tipo di anime che, con una sincronicità incredibile, mi hanno istruito a nuovi metodi di "coltivazione", ad un approccio sempre meno invasivo con la terra, sia per quanto riguarda la coltivazione dell'olivo che ho avuto occasione di amare e conoscere sui poderi toscani o sulle fasce della mia Liguria, sia per quanto concerne l'approccio con le coltivazioni orticole. La prima piccola rivoluzione fu conoscere Luciana, che mi avvicinò non tanto e non solo al concetto dell'orto sinergico, quanto soprattutto ad un diverso e immersivo rapporto con la natura, madre generosa, paziente, ma altrettanto esigente.
Fu davvero quella la prima volta che, in un periodo complicato della mia vita, tramutai la mia ritrosia e il ribrezzo a sporcarmi le mani e i piedi di terra e fango, nel piacere erotico e primordiale di affondarceli tutti, le une e gli altri, sentendo quel rapporto vivo e pulsante al nudo contatto con lei, mentre mettevo a dimora i piccoli semi nel semenzaio o mi aggiravo tra le spirali dell'orto della cascina piemontese... 
Fu poi la conoscenza della permacultura che, sempre grazie al confronto con Luciana, ispirò me e la mia compagna a partecipare al corso delle 72 ore (PDC) in Toscana, l'estate del 2019.
Lì ci si aprì davanti un mondo! Il seme era stato finalmente gettato, al punto che la nostra ricerca di una casa e di un terreno in Liguria non ha mai smesso, anche se finora quella visione non si è ancora palesata davanti ai nostri occhi!...

La lettura del libro di Gian Carlo, vista la nostra natura piuttosto refrattaria alle regole e alle convenzioni, a volte anche a quelle suggerite dalla permacultura, ha aperto un ulteriore spazio per una visione sempre più scevra da limitazioni e metodologie. Ci ha fatto intravvedere quanto nel suo "metodo-non-metodo" si possa davvero trovare la quintessenza dei principi di Masanobu Fukuoka elevati a potenza, se così si può dire! E, senza tema di smentita, davvero ti viene da considerare Gian Carlo come il figlio spirituale più puro di quel maestro, tanto da superarlo persino nella conduzione "praticata" da lui e dai suoi allievi, così come pure nella profondità della concezione filosofica e spirituale, che induce il nostro autore a definire la relazione dell'uomo con la natura non più come "agricoltura", ma come "agrinatura". 
Un'agri-natura che sposti la relazione con l'uomo dalla oggettivazione del profitto alla soggettivazione osmotica dell'essere a lei totalmente connaturato e gratificato, tanto da non avvalersi più di alcun bisogno 'estrinseco', in termini di plusvalore economico e monetario. 
In tal prospettiva sono due i capitoli del libro di Gian Carlo Cappello che ci hanno particolarmente entusiasmato, trovandoci all'unisono con la sua profetica (speriamo) e per ora utopistica visione: l'uno, quello in cui lui definisce se stesso come un "moneyless man", indicando quello stato dell'essere come un punto di arrivo, già a tratti da lui stesso sperimentato e quindi suggerito come modello possibile di vita; l'altro, ove ci parla del superamento della proprietà privata, di cui riporto qui uno stralcio assai significativo:

"Il progetto "Civiltà dell'Orto" nasce e trova sempre maggiore riscontro tra le persone proprio perché riporta il cibo nelle mani della gente, senza controindicazioni, fuori dalle leggi vigenti senza essere fuorilegge, proponendo uno scambio e non una compravendita o un baratto, senza sottoporsi alle forche caudine alle quali sono sottoposte le aziende agricole, anche bio, anche cooperative. 
Secondo il regolamento (molto dinamico al suo interno) chiunque lavori o conferisca o apporti qualcosa riceve cibo in cambio. Semplicemente. Riappropriarsi diffusamente della produzione, festeggiare i momenti più belli, mettersi in gioco e conoscersi, condividere la trasformazione del pomodoro in salsa o la conservazione di altri prodotti dell'orto, sottolio e quant'altro, crescere interiormente nel contatto col Sole, la pioggia, l'aria la Natura: questo è guadagno, questo è benessere, questo è ciò che può essere diffuso in ogni angolo del mondo per cancellare la fame. Il presente che stiamo costruendo è l'unico futuro possibile."¹


La separazione dalla Natura Madre


[...] Il patriarcato voleva e vuole, fin dai primi vagiti, un'umanità debole, dipendente, schiava, inetta, consenziente, incosciente, inconsapevole, passiva, dormiente, controllabile, violentabile, priva di forza, di vigore, di risorse e di spirito critico, menomata delle sue facoltà, intossicata, allevata con un'alimentazione depauperante che incrementa l'ottundimento mentale e l'accettazione succube, incapace di autodeterminazione e autonomia interiore, ridotta a una massa obbediente emotivamente manovrabile, vocata all'autodistruzione e inserita in un contesto ambientale inquinato, deprimente, alienato e poco rispondente. Questo si ottiene con la paura e la paura si ottiene eliminando la Madre".²

¹Gian Carlo CappelloLa Civiltà dell'Orto. La Coltivazione Elementare, Edizioni L'Età dell'Acquario, Torino, 2019, p. 150.   

²Mara Lilith OrlandiLa separazione dalla Natura Madre, in Ibidem, p. 181.   




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