I passi percorsi...
...in nessun luogo
E' curioso come la vita ci riserbi sempre doni preziosi!
Mentre riordinavo la biblioteca di Michele,
l'amico apicultore presso cui attualmente sono ospite,
mi sono imbattuto in queste belle meditazioni,
frutto degli incontri con una persona speciale,
amica di Michele,
che preferisce mantenere l'anonimato
che preferisce mantenere l'anonimato
e che, pur conducendo una vita molto semplice
ha ricevuto il dono dell'illuminazione interiore;
così ho scoperto che a titolo del tutto gratuito
un gruppo di persone si ritrova ormai da anni
in casa sua settimanalmente,
per seguire le sue meditazioni.
Mi sembra così bello poter condividere sul mio blog
queste riflessioni che, se siete d'accordo,
potremmo ascoltare da queste pagine
come un dono prezioso
per la nostra anima
e la nostra evoluzione personale.
Il fascicolo da cui
attingo le seguenti meditazioni,
sono il risultato delle lezioni
tenute nei locali di un Centro Yoga
di Torino,
da ottobre 2001 a luglio 2002.
Verranno qui pubblicate
in successione, seguendo l'ordine cronologico
del fascicolo, intercalandole
ad altri post già in scaletta,
come Il dramma cosmico del Creatore,
che molti di voi stanno apprezzando,
chiedendomi persino di
velocizzare
la pubblicazione delle singole parti,
per arrivare in fondo
prima possibile.
La pazienza è la virtù dei forti!
Intanto godetevi la lettura di queste righe,
frutto del lavoro interiore
di questo uomo speciale
che spero presto avrò
occasione di conoscere di persona.
Queste pagine nascono in forma di dialogo,
con domande e risposte;
non seguirò tale forma letteraria,
per amore di maggiore scorrevolezza del testo.
Opererò dunque una variazione sul tema,
senza nulla togliere alla sostanza
delle parole del relatore,
che continueranno a sgorgare autentiche
con tutta la loro carica
emotiva e tutta la loro profondità di pensiero.
Buona lettura e, soprattutto,
buona meditazione!
Dinaweh
L'essere umano può risolvere i suoi problemi economici
e materiali,
può conquistare nei limiti del possibile
gli elementi, ma se non conquista se stesso
non potrà mai trovare la pace del suo cuore,
che è la condizione prima su cui
ogni azione, ogni conoscenza
devono basarsi e dimostrarsi.
L'essere umano ha in sé
la capacità e la virtualità di essere
un dio e un demone,
un santo e un assassino,
un saggio e un ignorante;
a lui la direzione e la scelta,
a lui la liberazione dal conflitto,
dalla sofferenza e dal dolore:
è suo imperativo categorico
comprendersi,
trasformarsi,
trascendersi.
Vera meditazione
è quella che trascende il pensiero.
E' la meditazione senza attività mentale.
Il silenzio è un eterno linguaggio
che può udirsi e comprendersi.
Il silenzio è eloquenza muta,
è svelamento del Reale.
Raphael, La Triplice via del Fuoco, Vidya ed.
Torino, martedì 2 ottobre 2001
Leggevo questi giorni che la mente è duale, ci siamo noi e il pensiero. Questo concetto può essere espresso dalla tela, costituita dall'ordito e dalla trama, ma prima ci siamo noi, dopo il pensiero. La parola "tramare" significa intrecciare la trama con i fili dell'ordito, ma anche complottare ai danni di qualcuno. La trama è in più all'ordito; può esistere l'ordito senza la trama, ma non il contrario. Non può esserci il pensiero senza colui che lo produce, ma chi genera il pensiero può esistere anche senza il pensiero e in questo caso è simile a Dio. Se invece ci si identifica con il pensiero, siamo in presenza dell'uomo. E' la differenza tra Dio e l'uomo.
La Presenza
Parliamo della via della conoscenza intesa come un continuo atto di presenza da attuare quando si medita, ma anche di portare in ogni momento della giornata. La presenza annulla qualsiasi pensiero che si formi sullo schermo della mente. La difficoltà sta proprio nel mantenere la presenza, cui noi occidentali, per cultura, siamo abituati e che, se attuata, porta all'Assoluto. Nell'Assoluto c'è solo la presenza di sé, tutto il resto è escluso.
La presenza di se stesso non vuol dire Giuseppe, Mario o Giovanni, i nomi sono solo concetti e, nella presenza, ogni concetto scompare. Lo scopo della meditazione è la pura presenza e come tale non può decidere nulla, perché non c'è più pensiero. La decisione si prende verso qualcosa che è pensata. La pura presenza agisce da sola, avviene naturalmente.
C'è un passo del Corano che dice:
[...] lo vedi colui che ha preso per divinità la sua passione?
Agire secondo passione non ci libera, anzi, il massimo del condizionamento è prendere per divinità la propria passione.
Gli uomini sono stati creati perché mi conoscano, il nostro Signore non ha creato ciò invano
sta a significare che lo scopo dell'uomo è conoscere Dio, che si ottiene con la conoscenza di sé. Per questo motivo conoscere se stessi vuol dire conoscere Dio.
Su un testo buddista leggevo:
la conoscenza trascendentale non è la conoscenza trascendentale, ed è per questo che è chiamata conoscenza trascendentale.
Quando si parla di conoscenza trascendentale si esprimono dei concetti, non è la cosa in sé, si parla solo della cosa. Dire "automobile" non è l'automobile; nessuna cosa ha nome, è l'uomo che ha assegnato un nome a tutte le cose. Per questo la conoscenza trascendentale non è la conoscenza trascendentale, anche se è stata chiamata conoscenza trascendentale! Dio è un concetto umano e non si può arrivare con un concetto a Dio, che non è nessun concetto. Maestro Eckhart diceva:
prego Dio che mi liberi da ogni idea di Dio.
E' Dio che crea i concetti, ma Lui non è nessun concetto. Bisogna uscire da ogni pensiero o sentimento, perché fanno parte delle cose create dalla persona. La realtà non è il Creato.
Passato, presente e futuro testimoniano il fluire delle cose: il futuro diventa prima presente e poi passato. Non c'è niente di reale, di immutabile, il presente è il passaggio da ciò che non c'è più a ciò che c'è ancora. Tutto è illusorio, l'uomo vive in ansia perché vive nel continuo divenire della manifestazione, per cui non può avere pace, non può sapere cosa gli può capitare da un momento all'altro. La pace, invece, è la condizione naturale che si realizza quando non c'è movimento della mente. Se fosse giusto e naturale vivere nel movimento continuo della mente, l'uomo starebbe bene, non conoscerebbe l'ansia, invece vive male proprio perché ne ha paura. La pace si trova quando si esce dal movimento della mente, dal creato e con la conoscenza trascendentale si esce dal concetto di conoscenza trascendentale.
Questo risultato si ottiene con la presenza che deve essere perfetta in sé. Lo spettatore che si identifica con la scena che scorre sullo schermo gioisce e soffre con gli avvenimenti che vive come realtà, e il suo coinvolgimento è totale. Nel momento in cui saprà porre tra sé e le storie dello schermo la consapevolezza del distacco riacquisterà la propria pace.
Questo è possibile anche nella vita dii ogni giorno: è il compito della meditazione.
Per mantenere la presenza nelle attività quotidiane è bene richiamare la presenza a quello che si sta facendo, almeno ogni mezz'ora, per evitare di passare un'intera giornata senza essere stati consapevoli delle nostre azioni.
Si racconta, a proposito della presenza, che un saggio zen, in una giornata di pioggia, abbia chiesto ad un discepolo appena giunto da fuori come avesse posato l'ombrello, ma non ottenne risposta. Quando si medita è un continuo richiamo di presenza a sé, visto che la nostra mente tende naturalmente alla distrazione. Bisogna disciplinare la mente. La presenza di sé è un lasciare tutto, è un donare e, "per-donare", ha proprio questo significato.
La presenza dunque non è il nome di battesimo, non ha a che vedere col nome con cui ci chiamiamo; essa è la presenza di sé come "io ci sono" ed esso tende a portarci in solitudine, è un richiamo continuo che rompe con ogni discorso possibile. Solitamente si tende a non stare soli; spesso, piuttosto che star soli, si è persino disposti ad accettare compagnie inadeguate a noi. Siamo disposti a svilirci!
Ritrovarsi e aiutare gli altri a fare lo stesso significa meditare e insegnare a meditare. A tutti noi corre l'obbligo di meditare e quando andiamo in crisi è perché abbiamo perso di vista il nostro obiettivo. Voler cambiare il mondo è del tutto illusorio. I grandi uomini di tutti i tempi non hanno mai modificato il mondo. Bisogna solo insegnare all'uomo le ragioni per cui è nato. Avvicinarsi alla conoscenza significa saper stare in piedi da soli, diversamente, l'uomo avrà sempre bisogno di aiuto.
E' chiaro che con l'attività incessante e quotidiana cui tutti siamo chiamati per forza di cose a dover svolgere, non si può meditare, però abituarsi ad un richiamo alla presenza verso qualsiasi cosa si stia facendo, questo sì. Allora non siamo più il lavoro che svolgiamo, ma siamo consapevoli che stiamo lavorando. E questi richiami alla presenza facilitano il processo di meditazione che tende a portare l'uomo alla pura presenza. E pura presenza significa essere fuori dal tempo, perché il tempo è una cosa "pensata".
Il tempo
Le dimensioni di Presente Passato e Futuro
sono elaborazioni della mente, ma chi riesce ad uscire da queste tre potenze che dominano da sempre l'uomo, fa nascere l'Eterno in sé e i tre Re Magi lo adorano.
Adorare vuol dire portare la mente al momento presente, ad-ora non è preghiera di sentimento verso una divinità pensata. Adorare vuol dire uscire da tutti i concetti, è il carpe diem, per questo si dice che Dio è puro atto, atto in sé. Dio vive istante per istante. Non ha pensiero, non ha ricordo, è un rinnovarsi continuo senza memoria di passato né idea di futuro, è l'attimo.
E' una condizione che deve essere vissuta per essere capita, diversamente si producono solo concetti. L'uomo da sempre vive nei tre stati di coscienza che gli sono più congeniali: sonno, sogno e veglia, ma non conosce il quarto, quello che è sempre, che non passa mai: il turiya*.
*Nella filosofia induista, col termine turiya o caturtha si indica uno stato di coscienza pura o l'esperienza della verità ultima. Questo è un quarto stato della coscienza che, allo stesso tempo, è sottostante e trascende i tre stati comuni di coscienza:
lo stato di coscienza di veglia (jagrata),
lo stato del sogno (svapna),
lo stato del sonno senza sogni (susupti).
Quando si è preda di forti emozioni si perde facilmente la presenza. La parola emozione deriva dal latino ex-movere, mettere in movimento. L'uomo vive nel movimento mentale e quando si è preda di emozioni forti la mente vibra a livelli molto elevati. Ma anche quando si è tranquilli, la mente è sempre in movimento, più lento, ma sempre in movimento. Nell'induismo si usa il mantra per cercare di fermare la mente e impedire le distrazioni, ma siamo ancora nella dualità: c'è colui o colei che medita e il mantra e la dualità non permette l'Uno. Ecco perché dobbiamo uscire dalla dualità e identificarci col Divino che è in noi da sempre. E' il Sé lo sconosciuto che conosce il pensiero e noi siamo quello.
I grandi Realizzati... agiscono; hanno fatto molte cose proprio con il pensiero e con la sapienza. Conoscendo l''Assoluto hanno potuto fare grandi cose. Hanno scritto ad esempio i testi sacri che hanno avuto una grande rilevanza nella formazione dell'umanità. Se non ci fossero stati, l'uomo salterebbe ancora sui rami. Bisogna riconoscere che l'uomo ha cercato e trovato, perché dentro di sé c'è questo bisogno che viene da Dio [e Dio è dentro di noi, siamo Dio in evoluzione, n. d. r.]
Chi è realizzato anche quando si muove nell'ordinario si muove ad uno stato appena superiore allo stato dell'essere, non si trova coinvolto nelle emozioni o se lo è ha la possibilità di richiamarsi molto velocemente al proprio Sé. Sente il dolore fisico come tutti gli uomini. Il realizzato è un uomo come tutti gli altri esseri umani. Una guida, a qualsiasi livello, deve avere qualità superiori agli altri uomini, diversamente non sarebbe una guida. Per esempio Dante Alighieri, che aveva la conoscenza, ebbene, lavorava, trattava presso le corti di allora per conto del proprio signore e in questo lavoro doveva possedere grande cultura e capacità diplomatiche. Pensieri quindi doveva averne, solo che, al momento opportuno, sapeva anche far tacere la mente. Quante volte sentiamo dire: "vorrei non pensarci ", ma non siamo in grado di non pensare.
[...]
Il mito del labirinto è indicativo delle difficoltà della mente umana e il filo di Ariana è un'indicazione della possibilità di uscirne, nonostante la presenza del Minotauro. E non dimenticate che il Minotauro era per metà uomo e per metà toro, cioè lo spirito e il pensiero uniti non permettono l'uscita dal labirinto. Solo uccidendo il Minotauro si può ottenere la libertà. Siamo tutti Minotauri: spirito e pensiero, spirito e materia, la condizione che impedisce all'uomo di uscire dal labirinto. Questi miti, di cui è piena la nostra cultura, sono un discorso allegorico della via da seguire.
In genere si pensa che sia necessario accumulare una conoscenza sempre maggiore, una cultura approfondita sulle cose, mentre la via della conoscenza consiste nel "togliere". Se aggiungi conoscenze fai "cultura", se togli fai "scultura". Ramana direbbe che la prima cosa da conoscere è chi siamo. Noi che siamo l'Eterno, assumiamo la conoscenza "del relativo" come la cosa più importante. Siamo nati solo per arrivare a conoscerci o riconoscerci in Dio.
Un passo del Vangelo di Gesù dice:
lascia che i morti seppelliscano i loro morti
e se Dio è la Vita, quelli che non sono nell'Essere sono tutti morti e "essere" vuol dire Vita. Se riusciamo ad escludere i tre tempi in cui abitualmente vive l'uomo, passato, presente e futuro, abbiamo realizzato la fine dei tempi di cui parlano le Scritture.
E' la resurrezione dei morti alla fine dei tempi,
perché quando finisce il tempo "mentale" noi risorgiamo dalla condizione di "morti".
L'uomo è come un burattino dominato dal pensiero, è persona, cioè maschera, che non si conosce per quello che è realmente, perché alla mercé del pensiero del momento. A questo proposito si racconta la storia di un maestro zen che a spasso con un allievo assiste al passaggio di un funerale, al che il maestro dice all'allievo: "Guarda, cento morti che accompagnano un vivo". E questo per dire che Dio vuole che l'uomo torni vivo, torni a Lui, concetto affermato nei testi di tutte le tradizioni spirituali.
La parola "DIO" è un concetto, ragion per cui Dio potrebbe anche non esserci o non essere vero, perché qualsiasi concetto può essere erroneo. Ma io ci sono, ed è per questo che sul tempio di Apollo a Delfi hanno scritto: "conosci te stesso", la chiave per arrivare alla Verità. La frase completa sul tempio di Apollo, che pochi conoscono è: ...se vuoi parlare con me, conosci te stesso". La via della consapevolezza passa attraverso l'autorealizzazione.
Qualunque cosa si possa dire di Dio non è Dio, sono solo concetti mentali. Interpretare alla lettera i testi ci si perde e come dice San Paolo: " la lettera uccide" e nella Bibbia: "morirai di morte", cioè non vivrai in Dio, morire in Dio vuol dire vivere, muori solo come corpo fisico, ma è la larva che lascia l'involucro per diventare farfalla. Tutti noi siamo prigionieri dei nostri pensieri, ed è per questo che nei precetti della Chiesa c'è: "visitate il prigioniero" affinché sia liberato. Precetto che, preso alla lettera suona in modo diverso, ma è l'uomo ad essere prigioniero nel labirinto della mente. Tutti i testi sacri usano un linguaggio allegorico che ha sempre più piani di lettura e questo perché "le perle non siano date ai porci".
Matteo scrive nel suo Vangelo:
ogni pianta che non ha piantato il Padre mio sarà sradicata. Lasciateli sono ciechi e guide di ciechi, ma se un cieco guida un altro cieco ambedue vanno a finire in una fossa. Pietro prese allora a dirgli: spiegaci questa parabola, ed Egli rispose: anche voi siete ancora senza intelletto?
Infatti è l'intelletto che deve meditare, che deve trovarsi. E' l'intelletto che tutto conosce e il meditante torna all'intelletto lasciando ogni cosa del mondo.
Alcuni passi molto duri dal Vangelo di Matteo:
Guai a voi Scribi re farisei ipocriti che percorrete il mare e la terra per fare anche un solo proselito e quando lo è diventato ne fate un figlio della Geenna il doppio di voi.E questo perché l'uomo non viene liberato dai propri pensieri, non viene insegnata la via della liberazione. Sempre in Matteo:
Guai a voi scribi e farisei ipocriti, perché chiudete agli uomini il Regno dei Cieli e non entrate voi, né lasciate che entrino quelli che vorrebbero entrare. Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano essi mi onorano insegnando dottrine che sono solo precetti umani.
Insegnano dottrine, pensieri, concetti, ma l'uomo è nato per riconoscersi Dio, e Dio non ha precetti. Il concetto di bene e male è il frutto del pensiero! Il bene e il male sono espressioni della volontà di Dio. E' Dio che crea l'albero della conoscenza del bene e del male, il creato. L'uomo vive nel relativo, per cui dire: "Alto" sottintende un "basso", "grande" perché c'è il "piccolo", nel relativo c'è sempre il due. Vivere nel relativo, cioè nel pensiero, significa che l'uomo decade dalla condizione originaria, priva di pensiero, dal Paradiso terrestre dove non aveva conoscenza del bene e del male.
Inoltre, il concetto di bene e male è diverso da individuo a individuo, da popolo a popolo. E' il pensato umano. E come abbiamo già detto, l'uomo identificato nel relativo è "morto" per Dio, che vuole essere riconosciuto dall'uomo.
Non li ho creati invano vuol dire,
li ho creati per me.
Come dice Sant'Agostino: la via della conoscenza di sé è via di negazione: non sono quello. Noi siamo la presenza. Dio ha dato all'uomo la capacità di sapere quello che non è, diversamente come faremmo a tenere la presenza, senza la sapienza? Tutti sanno quel che non sono e questa capacità di distinguere, in alcuni più pronunciata, nel cristianesimo è chiamata la "prudenza". L'uomo ha la capacità di distinguersi da quel che non è, capacità che meditando si sviluppa sempre di più e ci permette di rientrare nell'unità del tutto.
La tolleranza, virtù mistica, deriva dal latino tollere, separare, toglere. Nel Vangelo si dice: ...sono venuto a portare la spada per tagliare, separare. Si dice: accettare tutto quello che Dio ti manda, ma l'accetta è uno strumento creato per tagliare, per dividere. Lo spirito è nato per essere libero, è il condizionamento che separa l'uomo dall'Assoluto. Se l'uomo fosse realmente del mondo, sarebbe come un pesce nell'acqua e invece, per quanto si dia da fare, non è mai soddisfatto. La sua natura divina lo spinge alla continua ricerca di Dio: la sua medicina.
Le parole "Meditare " e "medico" hanno la stessa etimologia: "me..dico", mentre l'uomo ordinario tende sempre a parlar dell'altro. Parlare di se stessi significa andare al di là dei concetti, entrare nella conoscenza trascendentale. Non a caso Eckhart diceva di pregare Dio affinché lo liberasse dall'idea che aveva di Dio. Il Dio pensato è un Dio inesistente se non nella mente di chi pensa. Si trova la Realtà quando si esce dal creato mentale perché si torna all'origine.
Dante dice: Nel mezzo del cammin di nostra vita...perché l'uomo deve tornare all'origine. E' fuori di sé e deve tornare all'unità. L'andata è metà del cammino fatto nel mondo, il ritorno lo deve fare dentro di sé, ...di nostra vita. C'è ovviamente il continuo movimento della mente:
una lonza leggiera e presta molto, che di pel maculato era coverta; e non mi si partia dinanzi al volto, anzi impediva tanto il mio cammino, ch'io fui per ritornar più volte vòlto
fa riferimento al flusso psicodinamico della mente. Dante usa moltissimo sia le metafore che le allegorie, per cui può capire solo chi ha fatto l'esperienza. Ma quale esperienza dev'essere fatta? La parola "poeta" deriva dal greco e vuol dire "fare, che fa, creatore", ma il Poeta non dice cosa, perché l'uomo deve fare, per eccellenza, la conoscenza di sé. Purtroppo è una conoscenza esoterica che si è persa nel tempo, anche nel contesto delle grandi tradizioni monoteistiche che hanno preferito l'insegnamento essoterico o exoterico. Un po' tutte le grandi religioni sono in crisi, perché come dice San Paolo, se manca il testimone, quella parte di noi che ha la stessa natura di Dio, tutto l'insegnamento diventa lettera morta, che non salva, ma uccide.
Leggiamo questo passo:
O tu che cerchi il mondo per condurre per mezzo suo una vita religiosa e pia, vivresti meglio una vita pia se abbandonassi il mondo.
Il verbo "mondare" latino mundare, da mundus 'mondo', significa togliere il mondo, l'impurità per lo spirito. Essere nel mondo e del mondo per un certo numero di ore al giorno è necessario, visto che viviamo in questa società, ma è l'ostacolo per chi cerca l'Assoluto. L'attaccamento è il peggiore dei mali, perché all'Assoluto torna lo spirito e non il creato mentale. Beati i poveri in spirito vuol dire che lo spirito ha lasciato il mondo dei pensieri, la ricchezza dell'uomo rappresentata dalla sua cultura, perché a Dio bisogna tornare in puro spirito. E questa è la difficoltà per l'uomo, difficoltà che dovrebbe essere ben presente ai preti, perché "sacerdote" vuol dire "fare il sacro" e il sacro è la via della conoscenza. Il rituale invece, è l'allegoria della via della conoscenza, è per questo che il sacerdote prima di iniziare una qualsiasi cerimonia religiosa indossa i "paramenti", dal latino "preparare". Gli antichi sapienti hanno creato un linguaggio in grado di parlarci della nostra unione con Dio. I "comandamenti" sono lo strumento per "comandare la mente". Poi si è perso il bandolo della matassa, ma la colpa è dell'uomo. E' Dio che salva l'uomo, facendolo entrare nell'Eterno.
La reincarnazione
Se uno nella propria vita riesce esattamente a capire quello che non è, ma alla fine non riesce a ricordare chi sia, allora si re-incarna e quello che ha già raggiunto se lo ritrova! Nelle Scritture si parla delle azioni karmiche che passano da una vita all'altra. Il karma ce lo facciamo giorno per giorno, dipende da quello che pensiamo, da come siamo attaccati alle cose, da quello che sentiamo. La ricerca della via della conoscenza sviluppa doti che ci permettono una maggiore comprensione.
Anche il Vangelo parla della reincarnazione. Quando Gesù dice che tutto sarà pesato è sottinteso che c'è uno scopo per il premio. Ad uno che sia vissuto sempre nel relativo, Dio non può attribuirgli una colpa esterna. Non ha trovato la via e vuol dire che si reincarnerà, perché tutti dobbiamo tornare. Dio non perde nessuno.
L'inferno
Il concetto dell'Inferno è un concetto mentale. Prendiamo i tre Cantici danteschi: purgatorio, inferno e paradiso. Il paradiso rappresenta l'intimità con Dio. Il purgatorio è la condizione di chi conosce la via, ma deve fare atto di presenza a sé, che "purga", che si purifica e, ultimata la purificazione, arriverà a Dio L'inferno è la condizione di vita di chi la via non l'ha trovata, per cui, dopo morto, si reincarna. Nel Vangelo c'è un passo in cui si chiede al Cristo: sei tu Elia che deve tornare?, risponde: No, non sono Elia; Elia è venuto e non l'avete riconosciuto. Si riferiva a Giovanni Battista. Il Vangelo non è contrario alla reincarnazione. D'altra parte anche la reincarnazione è un concetto, solo la presenza toglie ogni pensiero. Si può discutere all'infinito dei testi sacri, ma non si risolve nulla, bisogna fare la via, portare la presenza alla perfezione, solo allora si arriva alla conoscenza. Solo dopo si saprà se c'è la reincarnazione. Potremmo anche chiederci se Dio è morto, come è stato detto, ma sono discussioni che tendono all'infinito senza portare da nessuna parte. Platone diceva che l'opinione, da "opinari", opinare, idea, giudizio, convincimento soggettivo, è lo scrigno più basso del conoscere. L'opinione si basa su un convincimento, che domani potrebbe essere diverso.
L'uomo è un Essere che Dio vuole riportare a sé in qualsiasi modo; non lo può abbandonare, come gli angeli decaduti, che non sono uomini... Siamo ancora nei concetti, mentre il discorso andrebbe impostato diversamente. Per comodità di ragionamento ipotizziamo che Dio non ci sia, che quella degli Angeli sia una favola, ma io ci sono e voglio conoscermi e qui sta la soluzione di ogni problema dialettico! Il dilemma si pone tra il credere al contenuto di un libro o a Dio. Prima ho letto il passo: Invano essi mi onorano, insegnando dottrine che sono solo precetti umani. Invano... a Dio non interessa essere onorato, vuole azzerare tutto, l'estinzione della fiamma del desiderio, tutto deve essere annullato perché devi conoscerti. Le Scritture parlano per metafore che possono essere capite solo da chi ha vissuto quella realtà: si dice nel Vangelo: Se vuoi essere perfetto lascia tutto quello che hai, poi vieni e seguimi, ma perfetto è solo Dio, quindi se vuoi essere Dio lascia tutto e segui la via, ma è un lasciare che attiene unicamente alla mente: l'assenza di attaccamento. L'umanità è posta sulla circonferenza del cerchio della vita, ma il centro è uno per tutti e, come dice Dante, ci si india, si diventa Dio!
Il male
Il male come dice Tommaso d'Aquino non esiste (concetto ripreso anche da Dante); dove c'è la luce non esiste il buio; più sei distante dalla luce e più sei nel buio e con questo affermava che il buio di per sé non esiste, è solo mancanza di luce. C'è a proposito una storiella esemplificativa. Il buio ogni volta che arrivava la luce scappava. Stanco e sentendosi perseguitato, il buio si rivolge a Dio affinché ponga rimedio a questa situazione. Dio allora chiama la luce alla quale racconta le rimostranze del buio e la luce, sorpresa, esclama: ma io non l'ho mai visto!. Con ciò si vuol sottolineare che il buio è solo mancanza di luce. Più si è distanti dalla luce e più si è nelle tenebre, nella selva oscura, come dice Dante.
Il diavolo è spesso rappresentato come un ribelle, ma anche il ribelle cerca Dio! Il ribelle è una personalità in cerca di affermazione. Nell'Islam si dice che c'è Allah e nient'altro che Allah. Purtroppo il mondo è guidato da ciechi che conducono altri ciechi, cioè il mondo è in mano a chi non sa niente. Platone aveva cercato di mettere i sapienti al potere, ma ha rischiato di fare una brutta fine.
Il discorso sul bene e il male è individuale, si salva solo chi può, ognuno per sé, perché Dio ha fatto tutto isolato. Un uomo nasce, vive e muore da solo. E' illusoria anche la compagnia, che è soltanto pensata, ancora un trucco della mente. Quel che è dentro di noi è l'inesprimibile per tutti. L'uomo può essere solo anche in mezzo ad una piazza gremita di persone. La parola nasce come espressione del proprio sentire, che l'altro comprende secondo le proprie gabbie mentali. Spesso nelle discussioni si sente esclamare: ma allora non hai capito niente!, ed è così perché l'uomo è solo. D'altra parte la sensazione del dolore è difficile spiegarla ad un altro così come la percepiamo. L'uomo è solo e come tale non vive bene, perché Dio deve essere la sua compagnia. E' Dio che ha dato all'uomo il senso dell'incompletezza affinché cerchi la completezza, completezza che non può essere trovata nel proprio simile, perché solo Dio può darla. Ed è una grande consolazione. Ricordate che la parola "consolata" vuol dire "con il sole, con la luce", è l'anima consolata.
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