giovedì 26 gennaio 2017

IL PELLEGRINAGGIO - Raimon Panilkkar

Ancora uno spunto, tratto dalla bella intervista di Raimon Panikkar. La vita di ogni uomo è come un pellegrinaggio, verso la piena realizzazione di sé o verso la perdita parziale o totale di sé. La vita è la sfida che ci pone sempre di fronte al rischio di perderci, ma anche alla gioia di ritrovarci. Allora il pellegrinaggio diventa la metafora più consona per Panikkar sul senso del vivere. Ogni momento è un momento sempre nuovo; ogni sorriso, ogni abbraccio, ogni amore risulta come una scoperta sempre nuova; è quella rinnovata innocenza che ci infonde la gioia di essere anima e corpo uniti, nella realtà del quotidiano cercare, gioire, soffrire.

Dinaweh



IL PELLEGRINAGGIO 


di Raimon Panikkar

Soltanto i pesci morti vanno con la corrente, nei fiumi; i pesci vivi vanno controcorrente e quindi il Pellegrinaggio è l'atto di uscire da te stesso, per raggiungere lo sconosciuto, per affrontare i pericoli della vita. Fa parte del pellegrinaggio il rischio di perdersi.

Tutta la bellezza della vita è il rischio, è la novità; è quello che non si conosce. L'uomo è un pellegrino che viene dall'Atman e va all'Atman. Nel mondo cristiano si direbbe "...che viene dal nulla e che va alla realizzazione totale con la visione facciale, faccia a faccia con la divinità, nella forma che si identifica con essa". 
Il pellegrinaggio è tale quando tu vai e non sai nemmeno se ritornerai; quando tu parti verso un qualcosa che è un mito, ma è un po' sconosciuto; verso quello che è difficile, verso quello che è pericoloso, ma che d'altra parte senti che lo devi fare. E' curioso che in tante  religioni, beh, l'Islam... Finché non hai fatto un pellegrinaggio alla Mecca, non sei pienamente realizzato in quanto musulmano. Quella bella frase: "quando io feci il mio primo pellegrinaggio alla Kaba, vidi la Kaba, ma non vidi il Signore della Kaba. Quando feci il secondo pellegrinaggio alla Mecca, allora vidi il Signore della Kaba, ma non vidi la Kaba. Quando feci il terzo pellegrinaggio, non vidi né la Kaba, né il Signore della Kaba". E questo è il pellegrinaggio!
E' questa αμνοσία, questa ignoranza infinita, di cui parlava Sponticus, che è la beatitudine suprema. Questo per me è forse una delle metafore più profonde e universali del senso della vita. Un pellegrinaggio verso...
Il pellegrinaggio è la scoperta di ogni passo come un ultimo passo e come un passo che è uguale agli altri, a cui seguirà un secondo, un terzo, ecc. E perciò è in tante tradizioni ed è la disciplina massima; è il simbolo del senso della vita. 


Io faccio il cammino camminando. Gli altri possono essere ispirati dal mio "camminare", ma non seguire il mio cammino! 

E questo non è individualismo, perché libertà è libertà e libertà non vuol dire "libertinaggio"; è l'assenza di condizionamenti estrinseci, esteriori all'essere. Prendere questa tua responsabilità e questa libertà di non lasciarti condizionare da niente.
Nella vita non ci sono scorciatoie, né tecniche, né yoghiche né niente, per evitarti tutti i passi che si devono fare. Perciò la mia allergia alle ruote: un pellegrinaggio non si può fare in macchina. Il passo dev'essere passo umano.

Nel 1994 Panikkar, per il suo settantaseiesimo compleanno compie il suo pellegrinaggio sul monte Kailash in Tibet:

per me è stata un'esperienza molto importante: cercare di raggiungere i 6000 metri, quando non sei abituato e non sei un alpinista. Veramente, non sapevo se ritornavo o no. Ho scritto anche una poesia, dopo il mio pellegrinaggio al Kailash, per dire che il pellegrinaggio reale è il pellegrinaggio interiore, ma che senza il pellegrinaggio esteriore, non c'è il pellegrinaggio interiore. Siamo di nuovo al superamento del dualismo. Un pellegrinaggio esteriore non serve a niente. Un pellegrinaggio esclusivamente interiore, neanche. Devi fare il pellegrinaggio interiore per renderti conto dell'inadeguatezza del pellegrinaggio esteriore e quello è lo scatenamento, lo stimolo per un pellegrinaggio interiore che si può fare o al medesimo tempo, o anche più tardi. Tante volte sembra che il pellegrinaggio interiore sembra che possa prescindere dallo spazio, dal tempo e dal corpo. No! Il corpo appartiene alla realtà. Questa dicotomìa corpo/anima è micidiale; non esiste. Io ho sacralizzato il Kailash, perché ho scoperto la sacralità di quel luogo e al Kailash ho celebrato la messa, che è stata una cosa straordinaria. Sia i cristiani, sia i buddhisti parlano della creazione continua, della impermanenza; ogni momento è nuovo. Quando io scopro un tramonto, non dico: "mi ricorda il tramonto dell'anno scorso", noo! Se non lo vivo come un momento unico..., se io non ti dò un abbraccio, come fosse l'ultimo o il primo, è una πολιτές, non serve a niente. Se io ti dico che ti amo: " e questo me lo hai detto ieri...", allora l'amore è finito! Se noi non partecipiamo a questo dinamismo di una realtà sempre nuova e sempre libera... La rivelazione di Gesù è che non c'è legge, ma nemmeno leggi fisiche... che le leggi sono piccole rette che noi mettiamo per capire, per manipolare, per più o meno prevedere come la realtà funziona, ma se noi perdiamo questa innocenza che ogni istante è un dono, è unico e non è inerzia!



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