I passi percorsi
Eccoci, care anime
al nostro incontro settimanale
o giù di lì...
Come avete capito, non sono molto metodico
nella pubblicazione dei nuovi post;
vado molto secondo l'intuito del momento
e cerco di "annusare l'aria",
o sarebbe meglio dire che sento
quando può essere il momento 'giusto'
per tornare a voi con l'angolo della meditazione!
...Certo, se fossimo un po' più evoluti
non avremmo più bisogno di "angoli" per meditare...
Non useremmo più linee spezzate,
distanziandoci dallo spazio circostante,
come se ci sentissimo 'invasi' o circondati
da "linee nemiche".
Il nostro sentire sarebbe più simile alla rotondità
delle forme,
al percepire la continuità del tutto,
attraverso la circolarità di una linea tonda e morbida.
Non è un caso che i nativi e le antiche popolazioni
usino ancora oggi il cerchio
per esprimere concordanza e dissonanza,
luogo privilegiato ove le Forze si muovono
ricalcando le energie cosmiche,
ove tutto può accadere
all'interno della protezione del cerchio sacro,
poiché tutto quello che lì è generato
possa poi, all'esterno di quel cerchio,
germinare
in un espandersi a coclide,
germinare
in un espandersi a coclide,
secondo il canone della sezione aurea,
o della spirale che Fibonacci aveva visto
nella successione numerica delle forme e dei sistemi
inscritti nella natura!
Permettiamoci ahimè ancora
di ritagliarci un angolo,
ancora per un attimo,
ancora per poco,
poiché c'è già uno spazio dentro di noi
circolare che ci aspetta.
Altri amati fratelli e sorelle
predispongono sé medesimi a cerchio
nei momenti di meditazione condivisi,
per inaugurare dentro di loro
quella nuova luce,
quella forza e quella inesauribile 'Essericità'
- passatemi il termine -
che attende dentro ognuno di noi
di essere accolta,
manifestata e compresa.
manifestata e compresa.
Già da ora
ognuno può mettersi "a cerchio attorno a se stesso",
scegliendo di tornare "Sovrana/o del suo Regno",
ponendosi la corona regale sul capo
in segno di vittoria contro i suoi demoni,
soprattutto quelli dello sconforto, della tristezza
Diamo a noi stessi la Gioia,
offriamo alle nostre cellule la dignità che spetta loro,
onoriamoci quali Figli della più bella specie
di codesto Universo,
rallegriamoci per noi stessi di aver scelto ora
la densa materia, figlia dello Spirito
di cui ne è sacra manifestazione!
Miei Amati!
Quale Gioia quando mi dissero:
"Andiamo alla Casa del Signore! - recita il salmista -
Sì, i tempi sono adesso,
il Dio degli Universi ci attende
di là da quel sottile velo che ancora
ci divide da Lui,
poiché siamo noi quando vorremo
a farlo calare dai nostri occhi
e può accadere ora,
in questo momento,
per scoprire l'eternità del soffio vitale
che si esprime in un battito d'ali di farfalla
o nell'espiro e nell'inspiro
della nostra pompa dorata
al centro del nostro petto!
Siate onorati di far parte di questa Galassia,
abitanti coraggiosi di questo Globo
che corre velocissimo
girando, come i Dervisci
su se stessi,
in una spiralica danza
verso il Sole Centrale.
Immaginatevi di danzare con lei, Madre per noi Figli,
mentre il suono delle sfere in concerto
sussurrerà alle vostre orecchie:
né ce n'è mai stata,
nell'essere voi venuti qui a danzare con me
per la Gloria del nostro Padre Amatissimo!
Amatevi l'un l'altro come Io ho amato voi:
siate benedetti e onorati
per ogni errore compiuto,
per ogni lacrima versata,
per ogni atto di coraggio sostenuto.
Io, Gaia, vi terrò stretti tra le mie braccia,
quando i miei dolori, tutti i miei dolori
saranno da me risanati."
Dinaweh
martedì 5 marzo 2002
Continuiamo a raccontare come funziona la mente e, di conseguenza, come deve comportarsi colui che vuole meditare.
Nella mente ci siamo noi e i pensieri, che possiamo lasciare usando l'attenzione. cogliere i pensieri e portarli alla conoscenza dell'intelletto è una prerogativa automatica dell'attenzione. Nelle Scritture si afferma che Eva coglie la mela e la dà da mangiare ad Adamo, volendo con ciò rappresentare la caduta di Adamo, dalla condizione originaria, in cui non c'era pensiero e cosa unica, solo successivamente Eva nasce da una costola di Adamo.
L'attenzione coglie tutti i pensieri che l'energia vitale fa nascere in noi e li porta alla conoscenza dell'intelletto. La differenza della condizione originaria, che abbiamo perso, è che accanto all'attenzione nell'intelletto c'è anche il pensiero. Ricondurre l'attenzione nell'intelletto è simbolicamente ricordato nella cerimonia del matrimonio, col quale la donna prende il cognome del marito, è il ritorno di Eva in Adamo. I rituali testimoniano sempre, rappresentandolo, il primigenio rapporto tra l'uomo e Dio.
La meditazione è portare la mente al silenzio, è l'attenzione che rientra nell'intelletto, lasciando il pensiero. E per riuscirci è necessario attuare la presenza di sé in maniera perfetta e continua. Più si è presenti a se stessi, minori sono i pensieri. Dio non pensa, ma contempla se stesso, è in sé. La presenza perfetta fa conoscere il Sé, cioè Dio. L'unica realtà. Tutto il resto è impermanente, la natura umana è un continuo cambiamento: nasce, vive e muore. Solo il Sé è immortale.
Il meditante deve tenere la presenza, che ritroviamo nelle tradizioni esoteriche di ogni tempo. Nel momento della presenza, torna l'attenzione. Nel Vangelo di Tommaso è scritto: "...Quando finirà il mondo? Il mondo finirà quando Eva torna in Adamo." Il mondo di cui si parla è il mondo mentale, ovviamente. Vuol dire che non c'è più conoscenza del mondo, del proprio passato, perché se non c'è pensiero non c'è più memoria. Né speranza del futuro, perché sperare è pensare. Svanisce anche il nostro bagaglio culturale, perché l'attenzione è tornata nell'intelletto, all'origine.
L'atto di presenza è fondamentale perché obbliga l'attenzione nell'intelletto, scacciando ogni pensiero: è la meditazione! Dire che la meditazione è semplice ad alcuni potrà sembrare esagerato, ma 'semplice' vuol dire 'uno', mentre l'uomo, che col pensiero è duale, è sempre complicato. Non riusciamo nemmeno a concepirlo l'Uno, perché nel momento in cui lo pensiamo siamo già in due.
L'Uno va vissuto per essere compreso. E di fondo, l'uomo è uno, anche se condizionato dai pensieri. Andare oltre il pensato è la libertà, si capisce allora il labirinto e il filo di Arianna necessario per uscire e l'uccisione del Minotauro di guardia al labirinto. La doppia natura del Minotauro, metà uomo e metà toro, spirito e materia e pensiero assieme è la condizione che non permette la libertà. Deve essere ucciso per separare lo spirito dal pensiero. La presenza induce gradualmente alla separazione dello spirito. La tendenza all'assenza del pensiero è sintomo di un buon livello di interiorizzazione, infatti non è la normale condizione dell'uomo. La pratica della meditazione porta allo sviluppo della presenza che, abitualmente, è assente dal nostro modo di essere nel mondo. Infatti, se un pensiero allegro campeggia sullo schermo della nostra mente, siamo contenti, se è triste siamo depressi, ma non siamo quasi mai presenti. La presenza è vedere con distacco le cose che ci coinvolgono, al fine di allentare l'attaccamento alle cause della sofferenza, sofferenza che conosciamo nella mente.
Lo spirito umano è condizionato sempre da ciò che fa la mente, ne è prigioniero. Si parla di Dio come l'Assoluto, ma Assoluto vuol dire libero. Dio e nient'altro. Questa condizione, l'uomo potenzialmente la può recuperare, anche se in pratica non è per niente facile. La mela c'è perché l'attenzione la coglie, ma il pensiero non è la Vita. Solo lasciando il pensiero troviamo la Vita , che non è il tempo umano vissuto, ma come è stato detto: "Io sono la Via, la Verità, la Vita". La parola Vita vuol dire 'essere' ed eri già prima di nascere. La vita si esprime anche nella manifestazione, ma non è la sola espressione di Vita.
La meditazione è riuscire a tenere la presenza perché più si è presenti, più si riesce a dominare l'attenzione: senza la presenza, l'attenzione fa ciò che vuole. E' quello che dicono tutte le tradizioni esoteriche. Nel momento in cui tieni la presenza, l'attenzione torna, infatti, ti rendi conto di essere presente solo se l'attenzione rientra nell'intelletto. Come meditante sei l'intelletto e come tale hai il potere divino di riuscire, potere che è in te, si tratta solo di recuperare la forza spirituale per riuscire. L'attenzione nel momento in cui coglie un pensiero e lo porta a conoscenza dell'intelletto, ti fa anche capire che sei fuori, nei pensieri. Se sei attento, la presenza ti aiuta a lasciare ciò che hai preso e ad essere sempre più presente. Solo sviluppando la potenza spirituale, questo si attua naturalmente e semplicemente, non è certo come imparare una disciplina scientifica, infatti, è detta la via della semplicità. Presenza per essere sempre più presenti, fino a che la presenza diventa perfetta.
E' possibile in questo processo non avere più il senso del tempo, proprio perché il tempo, ma anche lo spazio, fa parte del creato mentale. Nelle attività del quotidiano, il meditante, allenato alla presenza, ha una marcia in più perché i richiami alla presenza diventano naturali. Condizione questa che non è proprio normale per tutti. Presenza che permette un maggior distacco nel lavoro, ma anche nei momenti emotivi difficili della vita.
L'uomo in sé è divino, è la mente che lo rende umano, per questo deve ritrovare la sua divinità. Se l'uomo non fosse divino, tutti i testi religiosi sarebbero carta straccia, ed è la ragione per cui tutte le religioni si propongono perché l'uomo torni in Dio o come dice Dante si "indii".
Coloro che escono dal gregge (ex grègis) hanno bisogno che le cose siano raccontate per quello che sono realmente, ma ci vuole chi sia in grado di trasmettere la Verità. Frequentare una scuola, di qualsiasi ordine e grado, presuppone che il corpo docente abbia la conoscenza adatta al livello di insegnamento da trasmettere. Avere maestri che non sanno è molto grave, per questo il buon pastore va a cercare la pecorella smarrita.
Chi nella propria ricerca spirituale non si sente appagato dal sacrificare solo le feste comandate, inevitabilmente esce dal gregge ed è giusto che sia così. Il buon pastore, allora, lascia il gregge che procede secondo il costume del momento e va a far un discorso a parte alla pecorella smarrita. Anzi, si può dire che il buon pastore non aspetti altro che uno esca dal gregge per dire le cose come realmente stanno. Mai come oggi si stampano così tanti libri sulla spiritualità dell'uomo, testimoniata da tutte le religioni, perché le pecorelle smarrite cominciano ad essere legione. Fenomeno che ha rilevanza anche sociale, basti guardare l'incidenza della depressione intesa come malattia o i casi di disadattamento sociale; è vacante, nell'attuale società, l'insegnamento del perché siamo qui, su cosa siamo venuti a fare. Purtroppo, per molti, questa ricerca non sempre calca sentieri sicuri. Sono state annientate le scuole esoteriche, perciò abbiamo libri sapienziali di contenuto rilevante che nessuno capisce, parlo di libri del nostro passato non proprio recente.
L'uomo di oggi, abituato a risolvere i problemi pensando, crede che anche il proprio rapporto con Dio sia risolvibile nella stessa maniera e non si accorge che è proprio il pensiero che non gli permette di risolvere il problema, perché il pensiero è il problema! Non dobbiamo, infatti, conoscere nuove discipline, ma il conoscitore della manifestazione. E' la mente che va capovolta. L'uomo nel suo divenire fa cultura, aggiunge nozioni a nozioni, impara sempre cose nuove, ma è tutto in più perché la via della conoscenza di sé è fare 'scultura', svuotare completamente la mente. E' l'opposto di quello che abitualmente facciamo, è la conversione.
E' possibile in questo processo non avere più il senso del tempo, proprio perché il tempo, ma anche lo spazio, fa parte del creato mentale. Nelle attività del quotidiano, il meditante, allenato alla presenza, ha una marcia in più perché i richiami alla presenza diventano naturali. Condizione questa che non è proprio normale per tutti. Presenza che permette un maggior distacco nel lavoro, ma anche nei momenti emotivi difficili della vita.
L'uomo in sé è divino, è la mente che lo rende umano, per questo deve ritrovare la sua divinità. Se l'uomo non fosse divino, tutti i testi religiosi sarebbero carta straccia, ed è la ragione per cui tutte le religioni si propongono perché l'uomo torni in Dio o come dice Dante si "indii".
Coloro che escono dal gregge (ex grègis) hanno bisogno che le cose siano raccontate per quello che sono realmente, ma ci vuole chi sia in grado di trasmettere la Verità. Frequentare una scuola, di qualsiasi ordine e grado, presuppone che il corpo docente abbia la conoscenza adatta al livello di insegnamento da trasmettere. Avere maestri che non sanno è molto grave, per questo il buon pastore va a cercare la pecorella smarrita.
Chi nella propria ricerca spirituale non si sente appagato dal sacrificare solo le feste comandate, inevitabilmente esce dal gregge ed è giusto che sia così. Il buon pastore, allora, lascia il gregge che procede secondo il costume del momento e va a far un discorso a parte alla pecorella smarrita. Anzi, si può dire che il buon pastore non aspetti altro che uno esca dal gregge per dire le cose come realmente stanno. Mai come oggi si stampano così tanti libri sulla spiritualità dell'uomo, testimoniata da tutte le religioni, perché le pecorelle smarrite cominciano ad essere legione. Fenomeno che ha rilevanza anche sociale, basti guardare l'incidenza della depressione intesa come malattia o i casi di disadattamento sociale; è vacante, nell'attuale società, l'insegnamento del perché siamo qui, su cosa siamo venuti a fare. Purtroppo, per molti, questa ricerca non sempre calca sentieri sicuri. Sono state annientate le scuole esoteriche, perciò abbiamo libri sapienziali di contenuto rilevante che nessuno capisce, parlo di libri del nostro passato non proprio recente.
L'uomo di oggi, abituato a risolvere i problemi pensando, crede che anche il proprio rapporto con Dio sia risolvibile nella stessa maniera e non si accorge che è proprio il pensiero che non gli permette di risolvere il problema, perché il pensiero è il problema! Non dobbiamo, infatti, conoscere nuove discipline, ma il conoscitore della manifestazione. E' la mente che va capovolta. L'uomo nel suo divenire fa cultura, aggiunge nozioni a nozioni, impara sempre cose nuove, ma è tutto in più perché la via della conoscenza di sé è fare 'scultura', svuotare completamente la mente. E' l'opposto di quello che abitualmente facciamo, è la conversione.
La cultura serve per cercare la via, vista la complessità esistenziale dell'uomo. Tutti i problemi legati al vivere in una società strutturata come la nostra, per quanto possano sembrare impegnativi e defatiganti, sono secondari rispetto al sapere per cosa viviamo, cosa siamo venuti a fare qui, per cosa vale la pena impegnare le proprie energie. Anche l'uso di droghe che può, in certi casi, sembrare una scorciatoia per abbattere le barriere della mente, è in realtà solo un'illusione. Il discorso della conoscenza di sé è solo spirituale. Sarebbe troppo facile risolvere così il problema, purtroppo, bisogna guadagnarsi il pane col sudore della fronte. La mente concepisce la via realizzativa attraverso la sofferenza, via che va cercata fra mille difficoltà, è quanto viene detto nelle Scritture: "tu (mente) partorirai nel dolore e guadagnerai il pane col sudore della fronte".
L'uomo per quanto abbia in cose e potere non è mai appagato. Solo la conoscenza del Sé può dargli la completezza che cerca. E il senso della mancanza è voluto nella natura umana perché si sia stimolati a cercare la pienezza vera. E' quindi causa di sofferenza l'attaccamento a cose e persone. Ricordo a questo proposito, un dibattito televisivo di alcuni anni fa tra psicoanalisti e sociologi sul male di vivere, cui partecipava anche un noto personaggio. A parte la tristezza e l'iracondia che esprimeva il suo viso, mi ha colpito sentirgli dire che gli era più volte capitato di perdere ogni interesse per le attività della vita e che, in quelle circostanze, sentiva il bisogno di ritirarsi in un eremo appartato per recuperarsi. Evidentemente, sono crisi spirituali di fronte alle quali tutto anche se sul piano fisiologico tutto è nella norma. E' meglio avere dolori fisici, visto che la disperazione può portare a gesti inconsulti. Chi vive esperienze simili è la pecorella smarrita che non può più rientrare nel gregge, deve solo avere la fortuna di trovare chi gli possa parlare in maniera per lui accettabile, visto che la via della conoscenza è stata tracciata da Dio e non dalla cultura dell'uomo.
Il primo scopo per cui siamo nati è fare la conoscenza di sé, identificarci nel divino che è in noi. Purtroppo, affrontare questo problema spaventa, infatti, la maggior parte delle persone pensa che non abbia una soluzione e allora lo rimuove. Per affrontarlo deve essere vissuto in maniera sentita a prescindere dai risultati che si possono ottenere. Si tratta di trovare il modo di fare e di metterlo in pratica, e quel fare, anche se non raggiunge la méta, diventa un migliore punto di partenza nella prossima rinascita. Praticamente, hai sviluppato i tuoi talenti che li ritrovi come migliore capacità mentale di autoanalisi e di discriminazione tra il Sé e le cose del mondo. Ogni uomo nasce con i talenti che gli sono propri: musicali, matematici, artistici, spirituali, ecc., un'infinita varietà di qualità e sfumature. Ma la condizione di fondo è che per avere i talenti bisogna essere nel mondo. I talenti, poi , sono una variabile che può essere migliorata o peggiorata a seconda di come vengono usati, per questo ognuno è responsabile del proprio sviluppo spirituale.
Dio è la sola realtà, ha fatto il mondo per la Sua autoconoscenza e il mondo continuerà finché vorrà mantenerla. Il mondo inizia col primo pensiero e sparisce con l'ultimo, come accade nella meditazione, quando Eva torna in Adamo. Il mondo finisce dove è iniziato, se con un compasso si inizia a fare un cerchio, la circonferenza che si disegna si completa esattamente dove è iniziata. E' un concetto che non si può capire pensando; il pensiero è il velo della sapienza, raffigurata dalla donna. Non a caso c'era il costume che entrando in chiesa la donna si velava a testimoniare che non conosce la sapienza, velo che poi cade nell'intimità e l'uomo, invece, scopriva il capo in quanto l'intelletto deve essere nudo, calvo, è la salita del calvario.
Sono molte le metafore che simboleggiano l'uscita dal mondo.
Pensiamo a Penelope che tesse la tela di giorno per sfarla di notte, i pensieri che la mente intreccia di giorno. Anche i Proci simboleggiano i pensieri, infatti, vengono tutti uccisi da Ulisse, il vero marito di Penelope, con la quale si apparta nel talamo segreto ricavato sul tronco di un albero. Ulisse il predestinato, che solo lui riesce a tendere l'arco e a far passare la freccia nell'asola delle asce poste in fila. La tela di Penelope è paragonabile alle mura di Troia, l'ostacolo alla conquista della città. Sono i pensieri che devono essere abbattuti come quelle mura. Per i grandi poeti, cantori di queste gesta, il fare per eccellenza non è tanto la ricerca della rima baciata, ma la conoscenza di sé, ed è la ragione per cui Dante dice che non può capire chi non ha fatto l'esperienza di sé.
Buona meditazione!
L'uomo per quanto abbia in cose e potere non è mai appagato. Solo la conoscenza del Sé può dargli la completezza che cerca. E il senso della mancanza è voluto nella natura umana perché si sia stimolati a cercare la pienezza vera. E' quindi causa di sofferenza l'attaccamento a cose e persone. Ricordo a questo proposito, un dibattito televisivo di alcuni anni fa tra psicoanalisti e sociologi sul male di vivere, cui partecipava anche un noto personaggio. A parte la tristezza e l'iracondia che esprimeva il suo viso, mi ha colpito sentirgli dire che gli era più volte capitato di perdere ogni interesse per le attività della vita e che, in quelle circostanze, sentiva il bisogno di ritirarsi in un eremo appartato per recuperarsi. Evidentemente, sono crisi spirituali di fronte alle quali tutto anche se sul piano fisiologico tutto è nella norma. E' meglio avere dolori fisici, visto che la disperazione può portare a gesti inconsulti. Chi vive esperienze simili è la pecorella smarrita che non può più rientrare nel gregge, deve solo avere la fortuna di trovare chi gli possa parlare in maniera per lui accettabile, visto che la via della conoscenza è stata tracciata da Dio e non dalla cultura dell'uomo.
Il primo scopo per cui siamo nati è fare la conoscenza di sé, identificarci nel divino che è in noi. Purtroppo, affrontare questo problema spaventa, infatti, la maggior parte delle persone pensa che non abbia una soluzione e allora lo rimuove. Per affrontarlo deve essere vissuto in maniera sentita a prescindere dai risultati che si possono ottenere. Si tratta di trovare il modo di fare e di metterlo in pratica, e quel fare, anche se non raggiunge la méta, diventa un migliore punto di partenza nella prossima rinascita. Praticamente, hai sviluppato i tuoi talenti che li ritrovi come migliore capacità mentale di autoanalisi e di discriminazione tra il Sé e le cose del mondo. Ogni uomo nasce con i talenti che gli sono propri: musicali, matematici, artistici, spirituali, ecc., un'infinita varietà di qualità e sfumature. Ma la condizione di fondo è che per avere i talenti bisogna essere nel mondo. I talenti, poi , sono una variabile che può essere migliorata o peggiorata a seconda di come vengono usati, per questo ognuno è responsabile del proprio sviluppo spirituale.
Dio è la sola realtà, ha fatto il mondo per la Sua autoconoscenza e il mondo continuerà finché vorrà mantenerla. Il mondo inizia col primo pensiero e sparisce con l'ultimo, come accade nella meditazione, quando Eva torna in Adamo. Il mondo finisce dove è iniziato, se con un compasso si inizia a fare un cerchio, la circonferenza che si disegna si completa esattamente dove è iniziata. E' un concetto che non si può capire pensando; il pensiero è il velo della sapienza, raffigurata dalla donna. Non a caso c'era il costume che entrando in chiesa la donna si velava a testimoniare che non conosce la sapienza, velo che poi cade nell'intimità e l'uomo, invece, scopriva il capo in quanto l'intelletto deve essere nudo, calvo, è la salita del calvario.
Sono molte le metafore che simboleggiano l'uscita dal mondo.
Pensiamo a Penelope che tesse la tela di giorno per sfarla di notte, i pensieri che la mente intreccia di giorno. Anche i Proci simboleggiano i pensieri, infatti, vengono tutti uccisi da Ulisse, il vero marito di Penelope, con la quale si apparta nel talamo segreto ricavato sul tronco di un albero. Ulisse il predestinato, che solo lui riesce a tendere l'arco e a far passare la freccia nell'asola delle asce poste in fila. La tela di Penelope è paragonabile alle mura di Troia, l'ostacolo alla conquista della città. Sono i pensieri che devono essere abbattuti come quelle mura. Per i grandi poeti, cantori di queste gesta, il fare per eccellenza non è tanto la ricerca della rima baciata, ma la conoscenza di sé, ed è la ragione per cui Dante dice che non può capire chi non ha fatto l'esperienza di sé.
Buona meditazione!
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