venerdì 29 novembre 2013

I passi percorsi in nessun luogo (secondo incontro)



     ...I passi percorsi


                                in nessun luogo...


(secondo incontro)




martedì, 7 novembre 2001



Nel libro dei Proverbi della Bibbia c'è un passo che dice: "Il Signore ha fatto ogni cosa per un fine" e il fine è Lui stesso. Altrove ha detto: "Io sono l'inizio e la fine": ha fatto tutto per Sé. L'uomo che si dibatte nei propri problemi senza trovare una soluzione, deve pensare che tutto quel che accade, il Signore l'ha fatto per sé, perché vuole che tutto torni a Lui. Mette in crisi l'uomo perché deve cercare Dio, solo Lui, gli può dare la completezza che cerca. 
Per chi ha trovato la via o la sta cercando, c'è un passo di un Sufi che dice: "... renditi conto che è la Sua Guida che ti mantiene sulla via, non la tua forza". L'uomo non può stare sulla via solo con la propria volontà, ma con l'aiuto della Guida spirituale che è in lui.

Il Paradiso perduto con la cacciata di Adamo è la nostra condizione attuale, ma noi dobbiamo tornare alla condizione precedente la cacciata. Spesso nei testi sacri si trova la parola "redimere" che vuol dire ricomprare, ricomprare quel che l'uomo ha perso, con fatica, col sudore della fronte, per il pane spirituale. "Ti guadagnerai il pane col sudore della fronte", dice la Bibbia, e si cita la fronte perché, convenzionalmente, la mente è collocata nella fronte e con la mente sii medita. E ci si redime, in altre parole si ricompra, con fatica, il Paradiso perduto.

Un passo di Aristotele dice: "Dio è troppo perfetto per pensare ad altro che a se stesso". Non decade dalla condizione di perfezione per pensare ad altro. L'uomo, che si muove nel relativo, può cambiare con facilità, Dio no, non può. E' troppo perfetto per pensare ad altro che a se stesso. Spesso dal pregare se ne trae una consolazione psicologica, ma Dio è al di fuori di ogni preghiera. D'altra parte le preghiere le hanno fatte i sapienti che sapevano come funzionava la mente umana.

C'è un passo di Rumi che dice: "Dio non è presente né assente, perché è lui il creatore della presenza e dell'assenza. Dio è e basta. Io sono colui che sono ed è lui che crea spazio e tempo. Tornare all'Assoluto vuol dire tornare nel centro di tutta la manifestazione, che non è né presenza, né assenza perché non c'è altro che il centro.
La via della conoscenza è la condizione che porta alla perfezione: la presenza mentale. La presenza è intellettuale, e tenere la presenza vuol dire annullare tutte le conoscenze create dalla mente fino a che non rimanga la pura presenza. A questo punto c'è il distacco da tutte le conoscenze umane, non solo intellettuali, ma anche sensoriali e fisiche.


La presenza nel buddhismo è chiamata consapevolezza pura. Si può ottenere anche quando si lavora, ma, chiaramente, è una presenza relativa. E' quando si medita che la presenza deve avere uno spessore più consistente. La presenza è risolutiva perché obbliga l'attenzione a stare in se stessa. Se l'attenzione si muove verso il pensato, non c'è più presenza. Infatti, la parola "attenzione" vuol dire "tendere a". Tenere la presenza significa tenere a sé l'Attenzione. Questo è un concetto fondamentale. E' la presenza che permette il distacco. Più sono presente a me stesso e meno cose sono presenti nella mente. Anche lo studio di una qualsiasi  disciplina umana presuppone questa qualità, ed è per questo motivo che uno studio ben fatto è faticoso. Non è possibile la presenza senza attenzione.

In meditazione ci si accorge di questa dualità tra il soggetto e l'azione compiuta dal soggetto. E' una consapevolezza che raffina la capacità di conoscenza. L'uomo comune non percepisce la differenza, mentre il meditante si rende conto del funzionamento della propria mente e per questo migliora la capacità di essere presente. E' solo facendo la meditazione che si impara, non certo leggendola sui libri. Nel momento in cui uno è consapevole che è presente, che sta meditando, produce il pensiero di essere presente, ma bisogna lasciare anche quel pensiero. E' un continuo lasciare, sino ad ottenere la sola presenza. Rendersi conto che si sta meditando, è già un di più! Torno a me e lascio anche il pensiero che sto meditando. Nel momento in cui torno a me lascio ogni conoscenza che, anche se nella e della mente, è esteriore a me. "A me" inteso come intelletto, che conosce che sto meditando e, tornando all'intelletto, lascio anche il pensiero che sto meditando, raffino sempre più la capacità di distinguere, e giungere, alla fine, ad esser puro intelletto. Questo processo non accade casualmente, ma è un atto di volontà. Quando mi guardo mentre agisco è come guardarsi da fuori. E' la presenza. Se uno guarda da fuori deve essere presente per poterlo fare e si rende conto che non è lui che agisce, ma è come fosse un altro. In meditazione io non sono Marco, Giuseppe, Daniele... il nome viene attribuito quando si nasce, ma io ero già prima di nascere e il meditante deve tornare all'origine, prima di ogni nome. Io c'ero già prima di nascere; il nome viene dopo e, come dice la Bibbia, Adamo impone un uomo a tutte le cose. Filone d'Alessandria, uno scrittore antico che aveva la conoscenza, nel commentare questo passo della Bibbia afferma che l'uomo quando conosce una cosa diventa la cosa; infatti è l'uomo che impone il nome alle cose. Si dice: "io odio, io amo, io soffro, ecc.", perché è l'uomo la cosa vissuta, infatti è l'ego che odia, che ama, che soffre. L'intelletto non è l'ego, ma con l'attenzione coglie l'ego e lo fa suo, coglie tutte le conoscenze e le fa sue. Il compito del meditante è tornare all'origine di tutto, è fare la conoscenza universale. Il termine "universale" vuol dire "verso l'uno", il centro del cerchio, l'Uno, cui tende ogni cosa posta sulla circonferenza della manifestazione. E l'uomo vive sempre fuori dal centro: nei sensi, nei pensieri, nei ricordi, da cui bisogna uscire con  la Presenza. Come dice Eckhart, bisogna uscire da fuori.

Ci sono cose che l'uomo non può cambiare e più l'uomo è coinvolto e meno è libero. Il termine "coinvolgimento" vuol dire legame, provare piacere o dispiacere per le cose che accadono, mentre fondamentalmente, l'uomo vuole la libertà e Dio è la libertà. Per questo l'uomo non la potrà mai trovare nelle cose umane. E' il motivo per cui l'uomo, per ben che gli vadano le cose, porta con sé un continuo senso di insoddisfazione. Tutto quello che fa è per cercar la completezza, ma l'uomo, naturalmente, tende a Dio, perché solo Dio è completo. Questa tendenza è in ogni uomo ed è la ragione del suo continuo fare, spesso con fatica, e del non essere mai sazio delle cose raggiunte. Cerca Dio e non lo sa. Ansia di possesso che in Dio troverebbe la completezza.

L'uomo è come addormentato. C'è un passo del Vangelo che dice:"Lascia che i morti seppelliscano i loro morti", significa che se Dio è la vita, non essere in Lui è come essere morti. E'detto: " Io sono la via, la verità e la vita"; è la via che deve essere percorsa per non essere nella morte. La parola essere, cioè Dio, vuol dire Vita.
[...]

Dal libro dei Proverbi: "Ha fatto ogni cosa per un fine", ma il fine è Lui, l'inizio e la fine del creato. Quando lo spirito rientra nel centro, il creato non esiste più. Dio è l'inizio e la fine. E per raggiungere la meta bisogna lasciare la base di partenza, la circonferenza del cerchio. La consapevolezza di ciò che siamo giunge attraverso l'esperienza di molti errori e Dio non si comporta come un giudice umano che applica il codice della legge. Se Dio parlasse direbbe all'uomo: "Sei o no capace di venire a me?", ed è la ragione per cui perdona tutto. Quando cessa il pensiero, scompare il peccato ed emerge il puro spirito. 


Il buon ladrone, sulla croce con il Cristo, è perdonato perché riconosce la via. A Dio non importa cosa fa l'uomo nel mondo, ma se è capace a raggiungere la via e a giungere a Lui. E' chiaro che ogni società ha le sue leggi che devono essere rispettate, ma per Dio è il pensiero il peccato, il velo che impedisce all'uomo di riconoscerlo. E' stato detto: " Lascia tutto quel che hai, poi vieni e seguimi" per avere la perfezione. Tutto ciò che l'uomo possiede, beni, ricordi, sentimenti, ecc. è il suo pensato mentale, lasciando tutto (ovviamente nella mente) diventa puro spirito. 
C'è un passo che dice: "...finché tu mi ricordi i miei peccati, non sarò mai perdonato", che dev'essere letto: "finché tu Dio mi dai i pensieri e non la forza di abbandonarli, non sarò mai perdonato".
Tutti i tormenti gli derivano solo dal pensiero, infatti l'uomo perde il paradiso quando prende il frutto dell'albero della conoscenza relativa del bene e del male. Anche l'albero della conoscenza relativa rientra nel disegno divino, perché Dio ha bisogno di sé, che l'uomo torni a Lui. Riconoscersi Dio in Dio significa passare dalla manifestazione al centro della circonferenza ed è la ragione della creazione. Tutta la manifestazione è stata ed è creata da Dio e per Dio, infatti Dio ha solo bisogno di sé. La parabola del Figlio prodigo esprime molto bene questo senso di gioia con la festa per il figlio che ritorna al Padre, dopo aver errato per il mondo. L'altro figlio, che non ha mai lasciato la casa paterna, non è oggetto di tanta gioia. Platone ha usato il termine "stupore" per esprimere il piacere del ritorno a casa. Ed è la ragione della creazione.
Adamo esce dal paradiso terrestre per un atto della sua volontà, ma avrebbe potuto rientrare, nello stesso modo in cui aveva deciso di uscire. Nello stato di assenza di pensiero sei Dio in Dio, non c'è Dio e un altro. Adamo nel paradiso terrestre è Dio e nessuno avrebbe potuto mandarlo via- Si dice: "Conosci te stesso", non "conosci Dio". L'uomo non deve pensare di essere una cosa e Dio un'altra. Siamo qui per recuperare lo stato di coscienza originario dello spirito immortale.

Sanai, mille anni fa scriveva: "Egli disse: ero un tesoro nascosto, la creazione è stata fatta affinché possiate conoscermi", che è l'equivalente di "ti ho creato perché tu mi conosca". L'uomo tornato nell'unità mette fine ad ogni tormento; l'errore nasce dalla dualità, l'unità non conosce l'errore. Il Vangelo dice: "...siate uno come il Padre vostro che è nei cieli". La parola "errore" deriva dal verbo errare che vuol dire sbagliare, ma anche "movimento, vagare senza una mèta". E nell'Unità non c'è movimento.
Il meditante, ogni volta che torna alla presenza, fa conoscenza di sé e lascia la conoscenza mondana, finché la presenza diventa sempre più pura. Entrare in meditazione è glorificare Dio, perché l'intelletto è Dio. E' l'intelletto che lascia i pensieri, volgendo l'attenzione su di sé. Nella manifestazione, invece, Adamo (l'intelletto) tramite Eva (l'attenzione) continua a cogliere il pensiero, il frutto dell'albero della conoscenza relativa.
Il meditante, ogni volta che abbandona la conoscenza mondana per una sempre miglior conoscenza di sé e più la presenza è totale, più la conoscenza è perfetta. L'intelletto conosce per mezzo dei pensieri, porta quindi con sé la cultura acquisita e i ricordi della vita vissuta, ma ha la possibilità di lasciare tutto il conosciuto mentale, mantenendo la presenza di sé. Mantenendo la presenza di sé, la conoscenza mondana, un po' per volta, scompare. 



Per conoscere se stessi non è sufficiente nemmeno fare esperienza di pre-morte, poiché nemmeno lì si è in Dio. Anche se forte si tratta di un'esperienza che non è ancora la realizzazione; cambia il resto della vita, nel senso che nasce il bisogno di una più approfondita ricerca spirituale, ma non si fa ancora la conoscenza di sé. La via obbligata rimane abbandonare ogni pensiero, essere nella presenza. Nella letteratura buddhista sta scritto. " Se incontri il Buddha uccidilo!", perché tu devi essere il Buddha; finché vedi qualcosa fuori di te non sei il Buddha. La via è raggiungere  quello che tu sei realmente, la divinità che è in te.
Anche le persone che vivono stati d'estasi, come i bambini di Fatima o di Medjugorie vedono Dio! Nessuno di loro raggiunge la conoscenza di sé: Vedono altro. Il Realizzato è in in intimità con Dio. Tutto quello che l'uomo vede o  conosce è una sua creazione mentale, mentre Dio è l'increato. La mente è una stupenda creatrice di immagini che osserviamo non certo con gli occhi fisici. E' la visione spirituale del Terzo occhio. L'immagine dell'occhio che troviamo nei testi dell'antico Egitto e nell'iconografia cristiana simboleggia Dio che vede ogni cosa. Nella mente, noi vediamo ogni immagine creata dal Creatore, senza bisogno degli occhi fisici. Nessuno potrà arrivare alla conoscenza della mente col pensiero.
Inoltre, quando uno si realizza non c'è più Karma. Nell'Assoluto non c'è karma, c'è solo Dio. Il realizzato, quando esce dall'Assoluto, rientra nel proprio corpo, riprende il proprio bagaglio culturale, i propri ricordi, insomma il proprio vissuto, ma in più porta con sé la conoscenza. E questa esperienza gli cambia la vita perché conosce l'Eterno. Rispetto a prima che conosceva solo il relativo, ora sa di essere l'Eterno, sa che lo Spirito non è mai nato e non potrà mai morire. E' indubbio che a monte di questa ricerca c'è sempre una insoddisfazione esistenziale di fondo, una ricerca spirituale che lo porta alla maturazione prima di conoscere la via, prima di realizzarsi. Spesso un karma pesante fa maturare più velocemente di altre condizioni più favorevoli.
La domanda più ricorrente nelle disgrazie è : "Perché a me",ma è una domanda senza risposta. E' un fatto però che la vita non è più come prima, sei obbligato ad una maggiore presenza, ti poni domande che ti portano ad una maggiore comprensione delle cose. E il meglio dell'uomo è il suo livello di comprensione, la sua apertura mentale. D'altra parte dalla nascita ognuno ha avuto i talenti che si è meritato. Una persona che abbia imparato a meditare possiede un distinguo mentale che l'uomo comune non ha, è in grado di essere meno coinvolto nelle emozioni. Distinguere è una dote per tornare alla presenza. Se ci immedesimiamo nel pensiero non ne usciamo più. Nella simbologia cristiana, la capacità di distinguere è chiamata la prudenza. L'umiltà, un'altra dote non sempre intesa nella giusta maniera, vuol dire più conoscenza di sé. Sono virtù per riuscire a percorrere la via, non doti morali. Anche la temperanza significa insistere, non darsi mai per perso, continuare a meditare nonostante le difficoltà che si possono incontrare.
Il Realizzato non ha karma negativo. Raggiunto il silenzio della mente, non hai più le difficoltà esistenziali che avevi prima. Il Realizzato è un altro, ha trovato la via, l'ha fatta e può ripeterla in ogni momento. E' ovvio che se aveva difficoltà fisiche queste non scompaiono con la realizzazione. Lui è Cristo e lo sa per esperienza, non è più come prima. 
[...]

La meditazione è la presenza, la consapevolezza, ed è la condizione fondamentale perché se non c'è la presenza come fai a realizzarti? E' solo nella presenza che ritrovi la tua vera identità. Se non sei presente sei i mille personaggi pirandelliani in cerca d'autore.
E'detto: " Siate Uno" vuole dire che ci ritroviamo solo nella presenza. Meno sei altro, più sei te stesso e più sei Uno. Devi diventare presenza perfetta. sei presente perché l'attenzione è vicina a te; è l'attenzione che ti permette di ritrovare la presenza, invece di disperderti in mille pensieri, rientra in te, nell'intelletto. E' l'attenzione che ti dà la conoscenza di tutto il creato mentale, ha il compito di prendere il pensiero e di fartelo conoscere, è Eva che va a prendere la mela e la porta ad Adamo, l'intelletto.  Più sei presente e meno l'attenzione va a prendere il pensiero, riacquisti la presenza di te nella misura in cui l'attenzione ti è vicina, quando poi è in te, la presenza è perfetta.Nel momento in cui sei presente vuol dire che hai ritirato, in maniera naturale, l'attenzione dal pensiero, tornii a te, lasci quello che avevi preso, compreso il coinvolgimento relativo, ritiri l'attenzione che ti legava al coinvolgimento. L'attenzione fa parte dell'intelletto, non del pensiero. Il pensiero ci immerge nella dualità e l'errore nasce dalla dualità. L'unità non conosce l'errore e senza errore c'è la perfezione. 

L'attaccamento
Se si smette di meditare si viene facilmente riassorbiti dalla vita ordinaria, si perde la capacità di ripercorrere la strada del ritorno a casa e ci si riattacca al mondo. E' lo stesso motivo per cui si fa tanta difficoltà ad abbandonare il mondo. L'attaccamento è il pericolo maggiore per tutti. In ogni caso il problema è realizzarsi: lo scopo per cui siamo nati, ognuno secondo i propri talenti. Ogni realizzazione umana è in più, rispetto allo scopo primario: il senso della vita. tutto il resto, prima o poi, sarà lasciato e solo questo rimane. Anche se non si raggiunge subito l'illuminazione, si sviluppa la mente che tende a possedere un distinguo superiore per le cose del mondo e dello spirito, che altrimenti non avrebbe, e si prepara a possedere maggiori talenti da spendere nella vita successiva. Quel che facciamo oggi, è il karma di domani.

Il Buddha, dopo essersi realizzato, dice: "...non accatasto legna a sacrificio, è nel mio interno che accendo la fiamma. Il mio cuore è l'ardente focolare, l'io che ho domato è la bruciante fiamma", per cui il Nirvana è l'estinzione della fiamma del continuo desiderio. I tre stati di coscienza che ci sono abituali sono quelli di sonno, sogno e veglia, ma non conosciamo il quarto, quello di turya, che è la conoscenza di sé, a cui deve giungere il meditante con la presenza.

E' scritto: "Beato l'uomo che sa da quale parte entreranno i ladri, perché concentrerà le sue forze e cingerà i fianchi prima che essi arrivino", dove i ladri sono, ovviamente, i pensieri. Dal Vangelo apocrifo di Tommaso c'è un passo che dice: "guai alla carne che dipende dall'anima" perché l'anima ha vinto. Il contrario suonerebbe: guai all'anima che dipende dalla carne, perché in questo caso sarebbe la carne a vincere.
"Se non digiunate verso il mondo, non troverete il premio", è inteso il digiunare per le cose del mondo mentale. Il premio si riferisce al raggiungimento dell'unità festeggiata nella domenica delle palme. Nella simbologia ebraica la palma, monocotiledone, rappresenta l'attenzione che si riunisce all'intelletto del meditante, Eva che rientra in Adamo. Il periodo pasquale rappresenta la morte dell'uomo e la sua resurrezione a livello divino.

Tutti cerchiamo la completezza che  i manca, ma bisogna scavare là dove sentiamo essere il diamante. Eraclito a proposito ha scritto: "chi cerca oro trova molta terra", però se possediamo un minimo di sensibilità, sentiamo dove inizia il filone, e sarà l'intuito a guidarci. Il limite dell'uomo è il pensiero che, annullato, fa diventare infinito l'uomo, perché il limite non c'è più. Togliere il pensiero è il distacco da tutto. Dio non pensa, è! Il pensiero umano è una verità relativa; la verità assoluta è il non-pensiero. Non dobbiamo inventarci la presenza, perché è già in noi e il meditante la ritrova. 
Quando uno cerca c'è qualcosa in lui o in  che gli dice, quando finalmente ha trovato, se la cosa è giusta, se la scelta è corretta. E' la donna del Vangelo che cerca la dracma perduta e sa riconoscerla fra le altre dracme non sue, come dice Agostino. Come faccia a riconoscerla non è dato sapere, ma lo sa! La presenza di sé si ottiene quando siamo puro intelletto.

"Colui che ha trovato il mondo ed è diventato ricco, deve rinunciare al mondo", cioè il mondo mentale, la ricchezza dell'uomo è nei suoi molti pensieri, più sa e più è ricco, ma deve rinunciare al mondo, se vuole salvarsi. Si spiega così il significato della parola "mondarsi".


Dal Vangelo di Tommaso: "...io comunico i miei misteri a coloro che sono degni dei miei misteri. Ciò che fa la tua destra, la sinistra lo ignori". La sinistra è il pensare e la destra è il non pensare; non devo pensare a ciò che faccio quando non penso, devo solo non pensare e la sinistra, il pensiero, non lo sa. Per essere presenti bisogna lasciare il pensiero, più sei presente e meno il pensiero produci. Il pensiero è la base del vivere civile, necessario per lo svolgimento di qualsiasi attività, ma è l'ostacolo per realizzarsi.









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