Traggo questo testo da "La passione di Sebastopoli", che ultimamente sta girando in rete, di S.N. Sergeyev-Tsensky. Il brano qui sotto riportato è tratto dalla parte terza del capitolo sette.
Curiose ed appropriate le similitudini con la narrazione odierna degli avvenimenti funesti che permeano ormai la vita di miliardi di persone, loro malgrado.
Fino a quando l'emancipazione dall'autorità non sarà conquistata, l'umanità è destinata a ripetere scene già viste, drammi già consumati, nefandezze fino alla nausea.
Niente di nuovo sotto il sole dunque, recitava un altro libro, ben più illustre di questo!
Nessuno, nulla, niente verrà a salvarci, poiché Legge dell'Evoluzione prevede che ogni passo in avanti sia il frutto di comprensioni suffragate dalla fatica e dal dolore; soltanto allora può esserci evoluzione; questo nostro dire non tragga in inganno il lettore tuttavia; non è detto, né obbligatorio che sempre siano i drammi, le sconfitte, le perdite e i lutti a far progredire l'umanità! Tuttavia, non imparando le lezioni altro che "sbattendoci la faccia" quasi sempre, la storia dell'uomo insegna che il lento progredire della specie è un susseguirsi di lutti, di prevaricazioni del forte sul debole e, certamente, di COMPLOTTI! Sarebbe come negare l'acqua in mare ostinarsi a non riconoscere questa triste verità.
Anche oggi come nel passato l'uomo è disposto a tutto, fuorché ad accettare la Verità, preferendo lasciarsi abbindolare e convincere dai suoi stessi aguzzini, fino a perdere la vita, in nome della paura della morte!
"Nihil Novi sub Soli", dunque.
Ognuno è responsabile della sua parte, nonostante il ritornello sembri ripetersi all'infinito. Soltanto smarcandoci dall'obbedienza supina che diventa complicità genocida e uscendo dalla nostra zona di comfort, riconquisteremo la dignità di figli del Cosmo, garantendoci il salto evolutivo che questa volta farà il pianeta Terra, con o senza di noi.
Buona lettura, dunque.
Dinaweh
"Non c'era peste a Sebastopoli nel 1828, ma c'era una quarantena. Come misura preventiva.
Nel 1829 non c'era ancora la peste, ma la quarantena fu rafforzata. Chiunque volesse lasciare o entrare nella città doveva stare in completo isolamento per 14-19 giorni. La gente smise di viaggiare. C'erano carenze di approvvigionamento.
Il denaro della tesoreria zarista fu stanziato per combattere l'epidemia. Di conseguenza i funzionari compravano cibo a prezzi gonfiati dai loro fornitori in cambio di tangenti e ai cittadini davano il cibo peggiore. Naturalmente tutti coloro che traevano profitto dall'epidemia, specialmente i funzionari e i medici, erano interessati alla continuazione di questa festa. Tutti i casi di qualsiasi malattia furono dichiarati 'peste'. "L'ufficio di quarantena cerca di diagnosticare tutte le malattie ordinarie come peste", scrisse il contrammiraglio Salti, che era in servizio a quel tempo a Sebastopoli.
L'ammiraglio Greig testimoniò: "Durante 5 mesi non si sentì parlare di malattia, né si moriva di morte naturale e chi si ammalava in ospedale o in casa veniva dichiarato morto per peste".
Tutti coloro che si ammalarono furono portati nella caserma di Capo Pavlovsky dove furono tenuti in condizioni tali che morirono rapidamente. La disinfezione al cloro fu usata nelle parti più povere della città..., cioè anche i cittadini furono avvelenati. I "disinfestatori" erano pagati 2,5 rubli al giorno - 75 rubli al mese se lavoravano quotidianamente. I commissari di quarantena ricevevano 5 rubli ciascuno. L'ufficiale medico capo e l'ispettore di quarantena a quel tempo era di 171 rubli all'anno.
Per aumentare il tasso di malattia i medici consigliavano agli abitanti dei bagni di mare in acqua fredda.
Alla fine, nel giugno 1830 gli abitanti dei quartieri più poveri della città non furono più in grado di sopportare la situazione e ci fu la rivolta. La guarnigione si schierò con i ribelli.
Il governatore, i suoi funzionari e i medici furono massacrati dalla folla. La rivolta fu rapidamente soppressa, ma per una sorprendente coincidenza l' "epidemia" a Sebastopoli ebbe una fine immediata".