domenica 22 gennaio 2017

Una chiaccherata con Raimon Panikkar: LA NUOVA INNOCENZA


Traggo ancora una volta spunto da un documentario-intervista della televisione svizzera italiana, girato qualche anno fa, a Raimon Panikkar, filosofo, scrittore e soprattutto ricercatore della Verità attraverso un viaggio compiuto nell'arco di tutta una vita, alla comprensione profonda delle tre grandi religioni: induismo, buddhismo e cristianesimo. Godetevi le parole semplici, fiorite dal cuore di un uomo che per tutta la vita ha cercato di unire la Saggezza e la Verità, al di fuori dei dogmi, delle credenze cattedratiche e delle presunzioni teologiche di ciascun credo religioso, riportando l'uomo alla sua propria verità, quella insita in lui ancor prima che Maestri come Cristo, Buddha o Maometto solcassero le vie di questo mondo. Il dialogo è possibile, quando l'incontro è comunicazione del cuore. Ogni uomo ha fede, ogni uomo sulla Terra è religioso, anche quello che si proclama ateo. Avere fede, non significa "credere in" o "credere a" qualcuno o qualcosa. E', piuttosto un atteggiamento di resa, di disposizione alla chiamata che qualsiasi vita ha necessità di realizzare sul pianeta, nell'incontro tra spirito e materia, tra le ombre e la luce, la gioia e il dolore, che sono insite della vita, di ogni vita. E' bello vivere, se solo ci lasciamo trasportare come una foglia sull'acqua del fiume, con leggerezza e resilienza al momento sempre presente, che poi è la stessa eternità in pillole...
"LA NUOVA INNOCENZA" oltre ad essere il capitolo tratto dal dialogo con l'intervistatore è anche il titolo di un libro di Panikkar, in Italia edito da Feltrinelli
Buona lettura.

Dinaweh


Una chiaccherata



Con Raimon Panikkar

LA NUOVA INNOCENZA





Io penso che l'uomo è anche terra e dunque "terracqueo" e che il luogo, la geofisica appartiene anche all'essere umano. Penso esista anche una "geografia delle religioni", non soltanto una "storia delle religioni". L'uomo non è soltanto un essere storico, è anche un essere geografico [viene in mente Fernand Braudel, n.d.r.] e non soltanto da un punto di vista esterno: l'ambiente, ecc., ma anche in senso molto più profondo, radicale, nel senso delle "radici". Io sono nato nel Mediterraneo, di madre spagnola (catalana) e padre indiano e ho cercato sempre posti... anzi, non l'ho cercati: i posti hanno cercato me! Dopo tre quarti della mia vita in giro per il mondo, sentivo la necessità di ritirarmi (che non vuol dire isolarsi) in un posto più nascosto, vicino al mare, perché io sono al 100% occidentale e 100% orientale. Non sono una split-personality: metà e metà e quando parlo a persone che sanno qualcosa del Cristianesimo allora io dico loro: "vuol dire che Cristo è metà uomo e metà Dio?". No. Tutto UOMO, tutto DIO e io mi sento tutto Occidentale, non metà e tutto Orientale, non metà e quindi il Mediterraneo per me vuol dire qualcosa e non soltanto per me! Penso che sia uno dei luoghi più profondi dell'esperienza umana degli ultimi seimila anni, cominciando dall'Egitto. Qui io riesco a rispettare i ritmi di natura, senza farmi prendere dalla frenesia del mondo attuale.

Quando io parlo in inglese faccio un gioco di parole: Alone e All one e distinguo la solitudine, che è questa pienezza personale, dall'isolamento. L'isolamento non va bene. Ho internet, certo; io sto in comunione con tutto il corpo mistico di Buddha, di Cristo o con la terra o con il mare. Siamo 'elementi'. Gli elementi sono parte del nostro Essere e non una cosa esterna. La relazione uomo-Terra non è una relazione estrinseca. E' intrinseca e la Terra non è un luogo omogeneo terracqueo dappertutto; ogni terra ha il suo profumo, le sue radici, le sue onde e per trovare questo occorre stare sulla terra a piedi nudi, per stare in contatto, veramente con la terra!

Per me è stata una "fortuna", l'avere avuto due genitori completamente differenti e non soltanto perché l'uno indiano e l'altra occidentale, spagnola o catalana; anche perché il temperamento era diverso. C'è di mezzo anche la figura di Gandhi, senza la quale io - dice - non sarei mai nato, perché mio padre, che fuggì dall'Inghilterra quando conobbe Gandhi, approdò in Spagna e lì conobbe mia madre. Fu uno dei primi freedom-fighters; poi, quando si avvide della monumentale figura carismatica e animica di Gandhi, rinunciò definitivamente alla politica, lasciando a lui il passo per cambiare l'India. Riconobbe la Statura animica di quell'uomo e ammise che non avrebbe potuto mai superarlo. Fu per questo motivo che lasciò la politica.
L'India è violenta, l'India è passiva e l'India ha tradito Gandhi al 100%. E l'India che è così fiera di quaranta secoli di civiltà, non è stata capace di presentare all'India indipendente uno stile di vita, uno stile parlamentare, uno stile civile o economico o di civiltà diverso, che non fosse l'imitazione senza creatività del modello anglosassone. In tutto! Quindi il colonialismo britannico è stato un successo totale, totale! Dopo cinquant'anni l'India va per un cammino falso: Computerland, Bangalore...  L'India sta sviluppando adesso una classe media dove più di cento milioni di abitanti vivono meglio di quasi tutto il Centrafrica, a fronte dell'80% della popolazione che vive peggio di prima, a tutti i livelli: economici, sociali e spirituali!...

La mia convinzione è che il tempo delle riforme, politiche, religiose, economiche, è già passato. Siamo andati troppo al di là... Quello che ci vuole non è una riforma; non è nemmeno una riforma violenta, buttando bombe intellettuali o bombe fisiche qui e là: è una trasformazione, una metamorfosi. Qui nel Mediterraneo si può parlare di Metamorfosi! E l'India (forse è un idealismo mio) potrebbe, teoricamente,... - non dò un modello: primo perché penso che sia impossibile, secondo perché credo nella creatività umana, la creatività scaturisce dal nulla e quindi..., ma se uno vede che si trova in un cul de sac, forse potrà uscirne e, se lo vede una civiltà che ancora ha radici - e la civiltà indiana è molto complessa, ma è 'importante' nella storia dell'umanità - potrebbe forse offrire qualsiasi spunto per vedere un cammino seguire in questa umanità che, cadendo nella modernità e stando peggio (e in questo non sono solo a pensare così, è quasi unanime), non ha futuro... Questo è un po' la tesi del libro che si intitola L'astuzia di Indra.

Perché non c'è futuro?

Il futuro, parlando secondo il linguaggio della modernità, è un futuro lineare, quindi si può evincere quello che stiamo vivendo adesso. Se tutto il mondo dovesse utilizzare la stessa quantità di carne che utilizza una sesta parte del mondo (sono gli Stati Uniti), in tre anni non ci sarebbe più un albero sul pianeta. Se tutti i Cinesi avessero le automobili che hanno in Occidente, non si potrebbe respirare sulla Terra... quindi questo non ha futuro! Se un Paese può soltanto prosperare e andare bene se esporta più di quello che importa, una bambina di tre anni sa che questo non può funzionare dappertutto. C'è un momento in cui si arriva alla saturazione, In questo senso penso si possa dire - anche scientificamente parlando - NON HA FUTURO!

Perciò le cose che stanno oggigiorno sul tappeto sono molto più profonde di quello che sembra, perciò, ritirarsi un po' anche in una caverna (che è stata anche la mia grande tentazione...). Avevo già un posto io nell'Himalaya, ma allora ho pensato che dovevo rinunciare a me stesso e non sono stato capace di rinunciare al mondo e allora la grande rinuncia è la rinuncia della rinuncia.... E allora uno è libero, non ha un ruolo da giocare o una tesi da difendere... è libero! Il prezzo della libertà..., da una parte la gioia, dall'altra... che non hai il potere e vabbè, tanto meglio!

Se questa civiltà non ha futuro, se una specie di piccole riforme (plus ca chances, plus c'est la meme chose...), non va, allora dobbiamo approfondire molto di più e andare alle radici: chiamale metafisica, chiamale religione, chiamale come vuoi... Questa è la sfida dell'umanità attuale. Questa è la sfida del Terzo Millennio; non trovare un internet più umano, o una televisione più qualificata. Il problema non è morale: uomini buoni e cattivi... dappertutto e sempre...
Il problema è ad un altro livello e per tale livello è necessario...


lasciare cristallizzare le intuizioni che si facciano diamante, se possibile, perché il diamante dev'essere puro e un cuore che non è puro non può pensare. 
PENSARE! ...che vuol dire "soppesare l'amore di ogni cosa per trovare il suo posto!"


Io rifiuto come prete cattolico, apostolico romano di appartenere ad una setta che soltanto da duemila anni sta sulla Terra! Non vuol dire un'apostasia. Nel concreto si trova l'Universale e nell'Universale si trova tutto. Come direbbe san Pietro: "tutta la razza umana è razza sacerdotale". Siamo i mediatori tra Cielo e Terra o come diceva anche Pietro. La Vulgata traduce in una forma ambigua, ma in greco siamo "σϋνεργόϳ" , una sinergiacooperatores tra il divino e tutto il creato.
Sant'Agostino, quando era già vecchio, nel suo libro delle Rectractationes al finale della sua vita ha questa frase geniale, en passant, tra due virgole: "quella religiosità che esisteva fin dall'inizio [virgola], che noi oggigiorno chiamiamo 'Cristianesimo'...[e continua...], quindi: il cristianesimo non è una setta che ha soltanto duemila anni da quando esiste sulla Terra. E' l'espressione concreta ed è anche l'incarnazione di quello che esiste fin dall'inizio e all'inizio, quando c'era la Parola che si fece Carne, non più tardi! La storia del Cristianesimo si potrebbe ridurre in una semplificazione (tutte le semplificazioni sono pericolose) a queste tre autoconsapevolezze. Dopo i primi secoli di persecuzioni e di un minimo di identità differenziata; la Cristianità è questo ideale fantastico, globalizzante (quando dico 'globalizzante' ho tutta l'ironia per vedere che in questa ideologia globalizzante ora ci sono antichi residui di questa cristianità) che prende tutto l'uomo: è la cultura, è l'arte, è la guerra, sono le Cattedrali, è l'Inquisizione, è il Regno di Dio sulla Terra: Bonifacio VIII, Alessandro VI..., tutta la storia fino al Cinque-Seicento praticamente è la Cristianità: Sacrum Romanum Imperium Germanicum...
E quest'idea è straordinaria: un'idea unitaria della vita dell'uomo, del corpo di Dio: la Cristianità. Per tante ragioni è costato in Occidente quasi tre secoli, da Erasmo a Lutero, Pico della Mirandola, ecc., che si rendono conto che per essere "cristiani" non bisogna essere con i Guelfi o con i Ghibellini, non bisogna affermare che gli Stati Pontifici sono di diritto divino e allora? Che rimane? Rimane il Cristianesimo, una dottrina, un credo. 
La Cristianità, eccetto nell'ideale di alcuni, e di alcuni personaggi molto importanti anche del nostro tempo, penso sia finita. 
Il Cristianesimo, come dottrina, come teologia, come sistema, CROLLA. Nelle nuove generazioni si vede. Non dico che rimane, perché sono momenti kairologici, non sono momenti kronologici; una cosa sta implicata nell'altra. 

Dobbiamo servirci delle parole: io la definirei Cristianìa. Se la prima (Cristianità) è totalizzante, è politica, è culturale, è piena..., se la seconda (Cristianesimo) è più dottrinale, credale, la terza (Cristianìa) è più ESPERIENZIALE. Tu parli alle nuove generazioni e anche ai non giovani, di tutta questa dottrina cristiana... o non la conoscono, o la disprezzano o gli risulta un po'..., non dice loro niente. Ma parlagli del Sermone della Montagna, di un signore che venti secoli fa dice quelle cose delle Beatitudini! Si entusiasmano, dicono: "ah qui c'è qualcosa!"



Questa Cristianìa funziona un po' come seme, come punto di fermentazione, lievito. Vuol dare più sapore alle diverse cose: il compito dei missionari è di essere sale, quindi che l'induismo e l'islam siano più saporiti, più belli e più buoni, che si ppossano godere mangiando questo cibo anche spirituale. 

E quest'esperienza è la Cristianìa e per considerarla 'Cristianìa' noi dobbiamo superare le categorie per giudicare se sei dentro, se sei fuori. E' di un altro ordine di cose. E' dell'ordine della saggezza, del saporire, dell'Amore.


Professor Panikkar, uno dei problemi tanto discussi nella chiesa cristiana degli ultimi secoli è il problema del celibato dei sacerdoti. E' fondamentale il celibato per il sacerdozio?

Posso dare una duplice risposta. Dal punto di vista mio personale o dal punto di vista più tradizionale. Nei due casi è direi NO. Il celibato non è fondamentale per niente e la prova è che san Pietro non era celibe, che la maggioranza degli apostoli erano sposati e che nella tradizione ebraica dove è nato il Cristianesimo storicamente uno non è pienamente Ebreo, nella vera comunità come adulto, se non è sposato. Nella chiesa cattolica apostolica romana di rito orientale i preti si possono sposare. Nella chiesa del Kerala, unita anche a Roma, i preti si possono sposare, quindi non è assolutamente fondamentale. Il celibato è due cose: una viene da quest'idea d'un monachesimo tipo Sannyasin che rinuncia al mondo e soprattutto alla continuazione del karma, che vuol dire i figli e allora, se rinunci a questo, non hai bisogno di avere una successione. La linea karmatica in me che sono arrivato già alla realizzazione per essere un uomo realizzato, non occorre avere successione; perché il celibato, fondamentalmente è questo; non è il problema della cosiddetta "castità". E'  il problema di formare una famiglia, avere figli e continuare una linea karmatica.
L'altro è un'ordine meno ideale, idealista di visione e più pratico. Dal momento che la Chiesa da organismo vivo diventa Organizzazione efficiente, è molto più efficiente, semplice e meno caro, avere questi preti che non abbiano una famiglia con tutta una serie di cose, poi Militia Christi, metà guerriero, metà monaco, per difendere.... beh, tutta la mentalità delle Crociate! Ancora in tante congregazioni e famiglie religiose i Superiori si chiamano Generali! la Militia Christi. Questa visione che ormai è quasi decaduta ma che comunque per secoli dentro questo era più pratico, più efficiente, più semplice avere questo gruppo di sacerdoti o di preti non sposati.
Gesù non era sacerdote; non apparteneva alla tribù di Levi, la tribù sacerdotale  e se il sacerdote cristiano segue un po' l'impronta di Gesù, non è il sacerdozio tradizionale né nell'ebraismo né in tante altre religioni.
E' anche per ciò che nel rito latino dell'ordinazione sacerdotale il sacerdote è ordinato "secondo l'Ordine di Melchisedek"; questa figura così straordinariamente bella, misteriosa che unisce la tradizione ebraica con Abramo, prima di Abramo, superiore ad Abramo, non appartiene al popolo eletto e nemmeno ad Abramo; non era circonciso, non credeva in Dio, a Jahvè sicuramente no; a lui Abramo paga tributo, con un simbolismo estremamente forte e perciò il sacerdozio cristiano non è soltanto il sacerdozio istituzionalizzato secondo le tradizioni del tempo, ma qualcosa di molto più Universale. Tu entri da una porta: c'è bisogno di un'iniziazione, ci credo. Ma non rimani là seduto sulla porta. Vai dappertutto. Poi nel sacerdozio, per ragioni storiche, si è fatto del sacerdote un monaco, un amministratore, un mistico, un predicatore, un uomo dei sacramenti..., tante cose che, povero, sta un po' troppo lavoro sulle spalle di una sola persona. E adesso, dovuto a tutta questa crisi (crisi vuol dire discernimento), si sta discernendo tutte queste funzioni karismatiche, come le chiama san Paolo.

C'era una dimensione molto patriarcale. Lei ha detto che il sacerdote era monaco, guerriero, ecc., quindi non crede che il matrimonio dei sacerdoti aggiunga ai sacerdoti una dimensione di tenerezza, che è così necessaria?

Un grande sociologo gesuita che è stato professore ad Harvard di studi religiosi, compagno mio in quel tempo, diceva: 

"il celibato per i sacerdoti dev'essere libero, con una sola eccezione: 
il VESCOVO DEV'ESSERE SPOSATO!", 
perché se non è sposato, come può rappresentare l'altra metà del genere umano?!

Quindi, i preti possono fare quello che vogliono, ma il vescovo, no. Dev'essere sposato! [ride]. Evidentemente! Poi qui non vorrei fare una critica troppo negativa, troppo psicoanalitica, troppo manicheistica che da Agostino in poi vede nel sesso un peccato, nella femmina un'occasione di peccato. Per i monaci primitivi i due grandi nemici del monaco del deserto sono il Vescovo e la donna! [ride...]. Siamo un po' più maturi e penso che oggi questa discriminazione tra i sessi è come una discriminazione etnica. All'inizio, quando i cattolici sono andati nelle Filippine, i Filipinos non potevano essere ordinati sacerdoti, perché non erano capaci di capire le sottigliezze della Scolastica latina e  un po' per il colore della loro pelle, considerato repellente alla razza bianca... E' costato secoli per ammettere "i non bianchi" come sacerdoti e costa secoli per ammettere "i non-maschi... "

...facciamo ancora una distinzione che dimostra forse la nostra mancanza di innocenza. Se io, quando parlo con te e quando vedo in te "il maschio" o "la femmina"...
ti prego....!!! [allarga le braccia]...
Trai che sei una persona umana, tanto meglio se sei femmina e io se sono maschio...
Ci manca innocenza per superare questa discriminazione.


Nel concreto, occorre trovare l'Universale e stabilire una comunione in profondità attraverso la Terra, che rappresenta le radici, con gli Indù o con i Tibetani o con gli Argentini. Quella critica così profonda di Simone Weil del razzismo: "essere senza radici" che è la grande tentazione dell'uomo moderno che, con la scusa di poter volare, di andare dappertutto, pensa di essere già Universale. Questa è la forma più povera di essere "non- Universale".




Bellissima la descrizione di Panikkar della statua bronzea dell'Arcangelo Gabriele che si trova a Montserrat (Catalunia) mentre annuncia a Maria la nascita di Gesù. Riporto qui la sua fantastica e commovente descrizione. Non ho trovato l'immagine reale, ma potete seguire le sue parole.  E' una poesia e una preghiera di ringraziamento insieme! Ascoltate!



E' un Angelo che non è disumanizzato e che non è né maschio, né femmina. Ha tutta la bellezza femminile, ma allo stesso tempo ha tutta la bellezza maschile! Una bellezza perfetta! Non è metà e metà. E poi mi piace perché ha corpo e non ha corpo; ha pace e nello stesso tempo non sa nemmeno lei/lui cosa deve annunciare. E' un segreto che annuncia. Il segreto è un segreto per tutti; il miracolo è un miracolo per tutti. Quando Maria chiede: "Come?", l'Angelo risponde "non lo so", non c'è un "come". Si fa e basta"! E' il primato della prassi, della vita e poi lei/lui stessa/o non sa cosa annunzia quasi. Pensa: che cos'è che io ti sto dicendo? E l'Annunciazione non è soltanto a Maria, è a tutti quanti noi. Ci annuncia che avremo un Figlio, che noi siamo anche Theotokos, "Madre di Dio" e in questo senso, il senso della maternità significa avere un figlio. 

Gli Angeli non sono al di fuori degli Esseri umani. 
Il segreto del cuore che è vuoto! E un cuore vuoto è un cuore puro.


LA NUOVA INNOCENZA

Lei ha spesso parlato di una "nuova innocenza", che non è più la prima. Qual è la prima innocenza e qual è la seconda innocenza che si deve recuperare?

La prima innocenza è la visione globale olistica, dove Bene e Male non sono separati, né distinti. E' l'innocenza di Adamo ed Eva, se lei vuole, o del bambino, quando ancora non ragiona. Questa innocenza si perde con la conoscenza. La conoscenza è conoscenza perché c'è la discriminazione: e se  c'è discriminazione allora c'è bene e male, vero e falso, ecc.; 

Il peccato è rimanere qui, rimanere nella pura conoscenza e che i Buoni sceglieranno questa parte, i Cattivi quest'altra e poi vedremo cosa accade...

Quindi la condizione umana è quella della perdita dell'innocenza e sarebbe cattivo pensare che questa non c'è [la conoscenza] e voler ritornare alla prima [l'innocenza]. Secondo, tutto l'esempio biblico del Paradiso penso che Jahvè è stato molto più misericordioso mettendo due Angeli con le spade di fuoco che potessero impedire la tentazione più grande dell'uomo di poter tornare in Paradiso. Il Paradiso è sempre perduto. 

Quindi la Nuova Innocenza è questo atteggiamento: dopo aver perso la prima, perché la prima dovevamo perderla, grazie a Dio! Che non vuole ritornare in Paradiso per riguadagnare la prima innocenza, ma che accetta la condizione umana come è e si stupisce e guarda il sole come la prima volta, l'amico come la prima volta, tutte le cose in un'altra forma che spontaneamente conosce, ma non giudica. Una parola, eh! Non è facile. Non è facile!

Perché se io giudico, giudico. Eh va bene, giudica! Cerca di esser giusto nel tuo giudizio, ma la nuova innocenza NON GIUDICA.

Vede, gode, soffre; non aspetta un'altra cosa e quindi non è una filosofia, non è una parola del pensiero, è un atteggiamento che si esaurisce in ogni momento. Per me è questo: che non vuole ritornare, che non vuole niente, ma che gode il momento...
...E come si fa? Ah!" Come? 
Non c'è come! 
Ecco perché io amo Maria,
 perché tra le altre cose, attraverso al risposta di Gabriele, ha capito che non c'è come, ma che tutto è possibile.  

Se noi non viviamo la vita come un miracolo costante, allora capisco perché tutto sia noioso e che per divertirsi dobbiamo fare ogni volta cose un po' più strane! E Allora? E' questo. E' una parola, evidentemente e poi è curioso che questa innocenza sia stata così dimenticata da tutta una tradizione, quando d'un'altra tradizione ci viene detto che una delle "politiche", nel senso più profondo della parola è la non-violenza A-himsa, abbiamo dimenticato che la parola "innocenza", "in-nocere" "non nuocere" "A-himsa"...

Non violenza quindi vuol dire innocenza. 
La non violenza è la innocenza.




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