domenica 10 luglio 2016

ECOSOFIA. La saggezza della Terra


ECOSOFIA


La saggezza della Terra
 Raimon Panikkar


Parte prima

L'ECOSOFIA,
O IL RAPPORTO COSMOTEANDRICO
CON LA NATURA

Con il termine "ecosofia" non intendo una ecologia rivista e corretta, o più raffinata. La Rivoluzione industriale aveva un'idea (logos) molto chiara del mondo, habitat (hoikos) dell'umanità, e intendeva utilizzare la Terra nel miglio modo possibile, ossia al servizio dell'Uomo, "re del creato e signore della Terra". E, a grandi linee, l'attuale ecologia non ha affatto rinunciato a questa idea. L'ha solo modificata un po', sulla scia dell'amara scoperta che, se vogliamo continuare a beneficiare della Terra, dobbiamo trattarla meglio, con più gentilezza, in modo che possa continuare ancora a lungo a offrirci i suoi frutti.
"Ecosofia", viceversa, è una parola nuova per esprimere una antica saggezza. Esprime la tradizionalissima consapevolezza che la Terra è u che di vivente, tanto nelle sue parti quanto nell'insieme. La questione, qui, non riguarda solo la liceità o meno di uccidere gli animali in quanto "utili" al sostentamento umano. Qui al centro del dibattito è il nostro modo complessivo di rapportarci con la materia e il mondo fisico-sensibile, i cui nomi (physis, natura, bhumi) rivelano già nella loro etimologia che il nostro mondo procrea, è qualcosa di vivo. "Ecosofia" significa saggezza della Terra. La terra non è una mera fornitrice di materie prime per l'umanità; è ben più del palcoscenico o dell'habitat dell'Uomo. E' il corpo esterno dell'Uomo stesso, il suo spazio vitale, la sua casa. Ancor di più: è uno dei tre elementi costitutivi della intera Realtà (cosmoteandrica), insieme all'Uomo e alla Divinità.
"Ecosofia" indica la saggezza di chi sa ascoltare la Terra e agire di conseguenza. L'homo technologicus non ha forse perduto il contatto con i ritmi della Natura? La tecnocrazia non ha forse imposto il proprio ordine al corpo, alla mente, alla società? Un ordine artificiale che, a dir poco, non ha più nulla a che vedere con quello dei ritmi naturali - con il rta, dharma, taxis, ordo delle antiche tradizioni. Dobbiamo riscoprire i ritmi della Vita, che in ultima analisi sono quelli dell'Essere.
Tenterò ora di formulare e sviluppare nove tesi da un punto di vista interculturale. La cultura è il mythos complessivo che fornisce l'orizzonte entro cui, e da cui, noi sperimentiamo la realtà. Ogni cultura tuttavia è particolare; perciò ogni discorso sulla Terra (cioè sulla Natura) deve diventare un discorso interculturale.

1. La crisi attuale riflette il venir meno
dei nostri enunciati culturali di fondo


Non offrono il fondamento alla vita umana, né sanno tenere insieme l'umanità. Non si tratta affatto, semplicemente, di una crisi dei principi filosofici o della ragione. Piuttosto, la crisi dipende dal fatto che il mondo, l'umanità, non ha più come collante tre "enunciati" che erano rimasti in vigore per almeno sei millenni. Di che cosa si tratta? Fino a tempi recenti, tutte le civiltà vivevano in un mondo su tre livelli:

a) il mondo degli Dèi: bisognava sapere come trattarli, e saper distinguere quali fossero pericolosi e quali fossero pericolosi e quali no (sacrificio, obbedienza, adorazione);

b) il mondo dell'Uomo: trattare con i propri simili e in particolare con i potenti, richiedeva una vera e propria arte. Gran parte dell'istruzione consisteva nell'imparare a gestire i rapporti interpersonali (grammatica, retorica, logica, ecc.);

c) il mondo della Natura da vivere, da conoscere, da utilizzare (aritmetica, geometria, astronomia, musica, ecc.).

Tre mondi che oggigiorno quasi sono svaniti. Al massimo, compaiono come elementi di altri sistemi. Ecco perché gli enunciati fondamentali di base sono sprofondati nella crisi attuale. Abbiamo posto le premesse per un quarto mondo, un mondo che non offre basi né fondamenti, un mondo sempre più artificiale. Viviamo in un quarto mondo dominato da mega-macchine costruite da noi... ma stiamo - forse - cominciando ad accorgerci che la nostra creatura si è resa indipendente da noi e adesso ci detta le regole. Una pressione psicologica superiore a quella che veniva esercitata dagli Dèi, dal re e perfino dalla Natura.
Mi preme però sottolineare questo: la crisi ecologica costituisce una rivelazione. Se non la si percepisce come rivelazione, allora non la si percepisce in modo abbastanza serio e profondo. Chiaramente, non si tratta di una teofania: a rivelarsi non è un nuovo Dio. E neppure una antropofania come avvenne durante l'Iluminismo, che ci ha offerto una nuova immagine dell'Uomo. Quindi siamo di fronte a una cosmofania: il cosmo, finora silenzioso, adesso lancia grida di allarme e parla. E' la Rivelazione dei nostri tempi, e dè una rivelazione di precarietà. Non si tratta di far nascere una religione ecologica, ma è la religione che deve diventare ecologica. Una distinzione fondamentale.

2. Solo una trasformazione potrà salvarci



Qualche piccola modifica dei parametri attuali non ci condurrà certo fuori dal vicolo cieco; né una semplice riforma, che non farebbe altro che prolungare l'agonia di un sistema condannato a morte. E neppure una rivoluzione, perché distorsioni e violenze producono solo reazioni uguali e contrarie. Il che implica sperimentare il proprio Sé e la Natura in maniera trasformata, non semplicemente interpretare la Natura in qualche modo nuovo. Il problema non è ecologico, né economico, né politico. Il problema include tutti questi aspetti, ma la nostra crisi è ben più profonda di una crisi risolvibile soltanto con le nuove tecnologie, o adottando nuove misure, per quanto importanti. 
In radice, questa crisi è questione di vita o di morte per l'umanità. Ciò la rende un fenomeno religioso, metafisico. Per riconoscerlo, tuttavia, abbiamo bisogno di tranquillità (cioè serenità), empatia (cioè impegno), distanza (cioè interculturalità), "contempl-azione" (cioè sintesi di pratica e teoria). Solo una metamorfosi potrà salvarci.

3. Tale trasformazione è l'esperienza cosmoteandrica



Vale a dire che la Realtà è trinitaria. anzitutto è divina; uso l'aggettivo "divina" come sinonimo di "libera, infinita", nel senso del "mistero", ossia qualcosa che non è suscettibile di manipolazione né permeabile all'intelletto. altra dimensione è quella umana: considero come caratteristica specifica dell'Uomo l'intelligenza in senso globale, in tutta la sua ampiezza e saggezza. Infine cosmica, cioè materiale.
La Realtà non è solo divina, né solo umana, né solo materiale. Di conseguenza non è teo-centrica, né antropo-centrica, né cosmo-centrica. ecco perché né il monoteismo, né l'umanesimo, né il materialismo rappresentano la risposta esaustiva alla attuale crisi. Negli ultimi seimila anni abbiamo tesaurizzato sufficiente esperienza in tutte queste possibili dimensioni del reale; ora si esige una nuova prospettiva globale sulla realtà, una prospettiva che non trascuri alcuna di tali dimensioni. C'è necessità di una nuova, diversa unificazione che garantisca sia una unità indivisa, sia la molteplicità differenziata di ciascun essere. Grazia a una intuizione cosmoteandrica, la realtà si lascia leggere come un testo in cui si intreccino le tre dimensioni, cosmica, divina e umana. Questa intuizione unifica tutte le energie dell'universo, da quella elettromagnetica, attraverso quella umana-personale, fino a quella divina. La visione cosmoteandrica richiede la scoperta in profondità di uno stile dii vita non orientato primariamente o esclusivamente al futuro, ma aperto all'esperienza mistica che vive totalmente nel presente.

4. La Natura reale non è un oggetto



La Natura non è un oggetto a disposizione dell'Uomo. La Natura come oggetto del pensiero non può essere altro che una astrazione, una costruzione mentale; non coincide con la Natura reale. Il pensiero basato su soggetto/oggetto ha senz'altro la sua necessità e validità, ma non è - di per sé - quello metodologicamente più adatto per la conoscenza della Natura. Se con scienza si intende quella oggettiva, allora a rigore non può esistere una scienza naturale, am solo una scienza che studia il comportamento di processi osservabili.
Il pensiero oggi dominante è comunque condizionato dalla cosiddetta scienza naturale. A determinare il genio e la grandezza della civiltà occidentale fin dall'epoca dei Greci è la capacità classificatoria. Basta prendere un qualunque manuale scientifico o sociologico per trovarvi sfilze di suddivisioni e tabelle; tolta la classificazione, resta solo il caos.

[...] Io, essere umano che opera la classificazione, non posso essere costretto al suo interno. Se poi si vuole classificare l'Uomo a tutti i costi, allora vanno perdute la sua umanità e la sua dignità, ciò che l'Uomo è realmente. Se mi lascio incasellare in una classificazione, che fine fanno la mia dignità, la mia autocoscienza, la mia libertà? Ognuno di noi è inclassificabile! Ogni singolo pezzo di noi può essere classificato: il DNA, il sangue, qualunque cosa, a eccezione del nucleo costituito da ciò che io sono. All'interno di un sistema classificatorio, l'Uomo reale svanisce. Un oggetto del pensiero è soltanto una astrazione; un oggetto del volere è solo una proiezione psicologica. 
Gli ecologisti non vorranno certo addomesticare la Natura con il pensiero, proprio come i tecnocrati che tentano di sfruttarla? Questo è un atteggiamento che, polemicamente, ho definito "epistemologia da caccia": tu devi identificarti con il soggetto e tutto il resto diventa oggetto. Devi condurre un'analisi il più accurata possibile, e poi metterti in caccia di un determinato bersaglio. Una volta trovatolo, puoi premere il grilletto, aprire il fuoco e fare centro. dopodiché potrai trarre le tue conclusioni - e magari lamentarti della violenza diffusa.
In generale, ci viene insegnato a usare la ragione come se fosse un'arma; per dimostrare di essere nel giusto, per convincere gli altri, per dominarli. Forse proprio questa funzione della ragione come arma sta alla base di tutto ciò che ci danneggia e ci affligge. L'autentica natura della razionalità non consiste nel procurare la vittoria. E' importante fare attenzione al potere corrosivo del pensiero astratto. Se pensi a qualche cosa, se la elabori sempre più a fondo con il pensiero, quella cosa scompare. Il modello di pensiero soggetto/oggetto non è affidabile per risolvere il problema del nostro rapporto con la Natura. 

5. Le categorie della scienza naturale
sono inadeguate per rapportarsi alla Natura



Sono categorie utili a molti scopi . io non sono affatto contrario alle scienze naturali: hanno il loro ruolo. Ma non qui, perché le categorie della scienza naturale sono inadeguate per una autentica conoscenza della Natura, dove per "conoscenza" si intende molto più che un sapere relativo ai vari comportamenti di processi osservabili.
La moderna scienza naturale non sa fare che concepire la Natura come un che di oggettivo e misurabile. In definitiva, presuppone un'immagine meccanicistica del mondo. E' un atteggiamento mono-culturale che può universalizzarsi solo sbarazzandosi di tutte le altre culture. Può darsi che sarà questo il destino del nostro pianeta, ma intanto questa scienza naturale non è né universalmente accettata, né universale. Appartiene intrinsecamente a una determinata cultura, che senz'altro contiene la sua parte di verità. Se però tolleriamo le altre culture solo per motivi sentimentali, allora tanto vale chiuderle tutte in un museo e lasciarle estinguere.
La cultura non è il folklore. Ogni cultura possiede la sua unicità specifica, ed è un tutto in cui trovano posto la politica, la religione, l'economia. 
La scienza naturale riesce a predire il comportamento della Natura solo in quanto ha eseguito misurazioni su di essa, derivandone schemi di comportamento.
[...].

6. Conoscere la Natura significa diventare consapevoli
della nostra co-appartenenza cosmoteandrica 


L'autentica conoscenza esige la trasformazione del conoscente nel conosciuto. L'autentica conoscenza è impossibile senza amore.
La natura umana è culturale; e la conoscenza è il modo tipicamente umano di essere naturali, cioè di realizzarci. Lo scopo è essere Natura; non è dominare la Natura, bensì trasformarci in essa. In francese, connaissance = naitre ensemble (conoscenza come "nascere insieme").
Proprio nella Frankfurter Allegemeine Zeitung c'è un inserto pubblicitario che proclama: "Non siamo costretti ad amare il nucleare". ecco il problema! Ci si prospetta di vivere insieme a qualcosa che non amiamo. Questo è il nostro destino odierno: dover vivere con molte cose che non sentiamo di amare. (Anche il fuoco è pericoloso, ma lo amiamo, è degno di amore).
Non è questione di vagheggiare un'idea romantica della Natura. Proprio no. E neppure dii vedere noi stessi come esseri puramente naturali, indifferenziati, perché la natura umana è appunto cultura, il che implica "coltivazione". Coltivare significa prendersi cura, rendere più bello, portare alla perfezione, non tramite il possesso e il dominio, ma attraverso una amorosa plasmazione dell'Opera dell Creatore e custodendola nell'atto stesso di plasmarla. si tratta di un atteggiamento del tutto diverso.

7. L'arte (techne) di prendersi cura della Natura
si chiama Ecosofia


"Ecosofia"non nel senso del nostro know-how riguardo alla Terra o alla materia, ma nel senso del genitivo soggettivo: la saggezza della Terra stessa, una saggezza che dobbiamo riconoscere e fare nostra. E' questa la simbiosi con la Natura, in cui ognuno ritrova il proprio ruolo.
Ma noi viviamo ormai in uno stato di guerra con la Natura, contro la Natura, e in passato credendoci pure i vincitori:maitres et posseseurs de la nature (maestri e padroni della Natura, secondo Descartes); "disseccare la natura", cioè sezionarla (come diceva Galileo). Nel frattempo stiamo cominciando ad accorgerci di essere gli sconfitti. Qualche anno fa si tenne ad Assisi un simposio sul tema "La Terra non può aspettare"; il mio intervento si intitolava "La Terra può; gli uomini non possono". L'ecologia nel senso usuale del termine è un senplice armistizio: trattare la Natura un pochino meglio, così che continui ancora a lungo a servirci e beneficiarci. Ma questo non basta. 
Riconoscere la saggezza della Natura è opera naturale dell'Uomo. L'Uomo in teoria costituisce precisamente la parte sapiente della Natura. Quindi, niente fantasie romantiche. Se siamo ciò che siamo, siamo i sapienti della Natura; a patto che non tentiamo di violentarla e di ridurla a oggetto. Noi veniamo dalla Natura, viviamo immersi in essa, ci troviamo con essa e anche al di sopra di essa, perché non siamo solo Natura. Siamo i sapienti della Natura, in grado di conoscere tutto ciò che in essa si svolge e di instaurare con essa una simbiosi che rende possibile la vita di noi tutti.

8. La Natura è il nostro terzo corpo



Il mio primo corpo è quello che ho sotto gli occhi. Il secondo è l'umanità (Corpus Christi, dharmakaya, buddhakaya, il corpo del genere umano). E' una intuizione potete di quasi tutti i popoli, quella secondo cui l'umanità è una famiglia, costituisce un solo corpo e quel corpo è vivo. Il nostro terzo corpo è la Terra, la Natura. Noi siamo la Terra, non ci limitiamo a viverci sopra a nostro uso e consumo. dobbiamo quindi trattare la Natura come facciamo con il nostro primo corpo: senza dominarla né farcene dominare. Con amicizia, fiducia reciproca, equilibrio. Per cui un testo delle Upanisad  afferma: "Colui che vive sulla terra ma distinto dalla terra, colui che la terra non conosce, colui il cui corpo è terra e muove la terra dall'interno, quello è il tuo atman, che agisce (guida) internamente, l'immortale". 
Un'intuizione antica 3.500 anni; e potrei citare tante altre tradizioni di questo tipo. Tutte miranti a una trasformazione. Noi siamo terra (prthivi), essa è il nostro corpo (sarira) e noi siamo ancora di più: la sua anima.

9. Per quanto inizialmente dolorosa, l'"emancipazione" 
dalla tecnocrazia è il compito liberante del nostro tempo



Il compito è tanto politico quanto spirituale: una liberazione dal tecnocentrismo, in modo da diventare veramente liberi. La prospettiva cosmoteandrica prospetta questo nuovo atteggiamento di base, in vista di una coesistenza pacifica in e con questo mondo. Allo scopo, ecco alcuni punti di approccio:

1) La liberazione dell'uomo dalla camicia di forza della tecnocrazia può avvenire attraverso l'arte, la itechne, non la macchina. In generale, oggi i nostri mezzi di emancipazione sono rappresentati da strumenti meccanici; ma l'emancipazione dell'umanità avviene tramite l'umanità, non tramite la macchina. desidero sottolinearlo in maniera esplicita: io non sono affatto contrario alle strumentazioni (tecnologia di primo grado) che, per così dire, costituiscono delle appendici dell'Umano. Anzi, dove sono finiti i veri "ingegneri", in grado di inventare tecniche che estendano - non sopprimino - l'Uomo e l'Umano?

2) E' fondamentale la distinzione tra opera (attività) e lavoro, tra labour e  work. Il lavoro implica una prestazione di energie e talenti per un compito che non ci riguarda direttamente e in cambio del quale otteniamo del denaro, ossia una cosa che può essere scambiata con qualsiasi altra cosa. In una società che pensa di sviluppare le potenzialità creative umane in questo modo, non c'è poi da stupirsi se sono necessari 30 milioni di soldati. Un essere umano ha bisogno di "fare", di produrre, di essere attivo, ma tutto ciò deve risultare in un'opera creativa, non in un servizio reso a una mega-macchina.

[...]

Ecosofia, la saggezza della Terra, nonché uno spazio aperto a visioni alternative, sempre provvisorie. Tutto questo richiede fiducia. Non esiste una alternativa, bensì l'opportunità diuno spazio aperto ad alternative provvisorie, differenziate, decentralizzate: le saggezze dei prussiani e dei bavaresi, degli africani e quant'altro...
In una parola, metanoia. Ma metanoia implica tre cose; due delle quali sono fin troppo note. In primo luogo, il pentimento e il senso di colpa. il secondo aspetto è la conversione, vale a dire una trasformazione della mentalità. Quanto al terzo, la metanoia non significa solamente un modo diverso di pensare, ma anche la scoperta, spirituale e intellettuale, che noi non siamo macchine pensanti e neppure solamente creature pensanti, ma più (non meno) di questo! Tale ri-pensamento esige di pensare insieme noi stessi e la Natura, della quale condividiamo i destini.











tratto dal libro di Raimon Panikkar, Ecosofia. La saggezza della Terra, Jaca Book ed. , Milano, 2015, pp.13-26.















Nessun commento: