mercoledì 21 agosto 2013

Oneness, il flusso ininterrotto della vita verso l'unificazione


 





ONENESS,

 il flusso ininterrotto della vita 


verso l'unificazione



Spesso cerco un contatto fisico con la natura selvaggia. E' un'esigenza istintiva, che non può trovare soddisfazione altro che immergendomi in lei. Per me è meglio di qualsiasi pratica meditativa o esoterica, persino meglio dello yoga, poiché in lei trovo la manifestazione fisica di Dio; esprimendo se stessa in tutta la sua magnifica bellezza, mi toglie il fiato, mi riempie ogni volta dello stupore del bambino e soprattutto basta a se stessa. La cosa sensazionale che provo quando mi immergo totalmente in lei è l'assoluta mancanza di pensieri. Entro dentro uno spazio vuoto, che mi porta semplicemente a osservare con profonda commozione quello che c'è. Divento un tutt'uno con ciò che osservo senza porre alcuna interpretazione della mente. Tutto diventa gioioso ed espanso. Ad  un certo punto non sento più confini. Il più delle volte se posso cerco il contatto con la terra, togliendomi i sandali. E'molto bello sentire il contatto con la terra. Mi aiuta a sentire il legame con la madre; siamo infatti cellule di una immensità, figli della stessa matrice! In questo momento della mia vita la vicinanza alla natura diventa per me un ingrediente essenziale che mi permette di ri-bilanciare e integrare le disarmonie e i disequilibri energetici, dopo ore passate davanti al computer, nella relazione con gli altri, oppure semplicemente per integrare le potenti ondate di neutrini che investono ora il pianeta.
Ecco cosa scrive J. Krishnamurti quando indaga i processi della mente che si affaccia all'osservazione del mondo e della natura:
Come può il cervello, che chiacchiera sempre con se stesso o con altri, che sempre giudica, valuta, prova simpatia e antipatia, si agita in continuazione, come può il cervello essere assolutamente quieto. [...] Solo un cervello assolutamente fermo può guardare una nuvola, un albero, un fiume che scorre. Può capitarvi di vedere la straordinaria luce sulle montagne mentre il cervello è assolutamente fermo - l'avete osservato, no? Come è avvenuto questo? La mente di fronte ad un spettacolo di straordinaria magnificenza, come un meccanismo complesso, un meraviglioso calcolatore elettronico, uno stupendo tramonto, si fa assolutamente quieta, anche se per la frazione di un secondo. [...] Allo stesso modo con la loro grandezza, le montagne, la bellezza di un albero, le acque fluenti, assorbono la mente e la rendono ferma.
Ecco cosa ci suggerisce un altro maestro del nostro secolo, il già citato Arnaud Desjardins:  
Dovete prendere in mano l'insieme della vostra esistenza e non solo praticare esercizi di concentrazione e di meditazione magari tutti i giorni. Dovete assumervi il compito della vostra riunificazione, del diventare "uno con" il movimento dell'universo, qui e ora, attimo per attimo. Siete divisi, in diversi modi, e lo sapete. E' il punto di partenza. E il lavoro consiste nel ritorno all'unità.
Anche Bhagavan, l'iniziatore del movimento mondiale della Oneness ci ricorda l'importanza di riconoscere dove siamo, quale sia il nostro punto di partenza, per vedere e accettare chi c'è veramente e quindi iniziare il cammino di consapevolezza:
Tutto quel che puoi fare è vedere quello che c'è.
Il Cristo ricordava a chi lo seguiva come fosse importante 'vedere' per essere liberi: "la verità vi renderà liberi" - diceva. Ecco di nuovo Bhagavan in uno dei suoi innumerevoli Darshan:
Innanzitutto non sai quello che c'è perché in tutti questi anni non hai fatto altro che scappare via ogni giorno e ora te ne accorgi....Ora, c'è un modo indiretto di sapere... ma poi in effetti guardare ti fa male, guardare tutti i tuoi pensieri di invidia, di gelosia, di paura e d'ansia non è un'esperienza tanto bella e quindi la rifuggi sempre, in continuazione.Questo è il solo problema che ha l'uomo. Poi, siccome noi ti diciamo fermati, girati,affrontalo,guardalo, allora magari ti dici "va bene, fammi provare". All'inizio potrebbe essere difficile, ma poi ti rendi conto che, anzi, ti attira, ti tenta, è piacevole vederlo e, mano a mano che vedi il tuo lato più oscuro, più negativo, stranamente, smetti di giudicare, perché sai che è tutto vero e poi, viene anche la gioia… e con quella gioia ben presto vieni a scoprire che c'è una totale assenza di conflitto, il che non significa che il tuo lato negativo sia sparito, o che smetti di essere geloso o invidioso, ansioso o pauroso, assolutamente no, niente del genere. Ma, per la prima volta nella tua vita, sei in grado di dire, sì io sono così e non me ne vergogno, questa è la sola verità, sono sincero, onesto. E questo è il primo passo che fai verso la spiritualità ed è anche l'ultimo passo. Da ora in poi è tutto automatico. Non c'è bisogno di nessun guru, di nessun insegnamento. E' tutto automatico.
La verità su noi stessi sembra la più difficile da raggiungere, perché ci costringe alla revisione permanente di tutte le abitudini, dei condizionamenti che abbiamo ereditato al momento della nascita dalla famiglia; perché ci costringe a togliere la maschera e spesso ci sembra impossibile persino perdonare: prima di tutto noi stessi per non essere riusciti a raggiungere i nostri obiettivi e, in secondo luogo, i nostri genitori i quali vengono investiti di tutte le colpe per averci impedito di raggiungerli...
Ecco perché siamo divisi! Non accettando noi stessi non potremo riconciliarci nemmeno con gli altri, a partire da quelli che sono a noi più prossimi: i genitori! 
Uno dei processi più importanti se non il fondamentale, mentre ci si avvicina alla Oneness, lo stato di riunificazione interiore, è proprio la guarigione del rapporto con i genitori, archetipo di tutti i rapporti futuri, modello di relazione a prescindere dal quale nulla può essere "giocato"nella vita futura, se non a costo di innumerevoli cadute e difficoltà insormontabili.
Come potremmo mai preferire la scissione da noi stessi -  e lo si può certo affermare in maniera inequivocabile - dal momento che madre e padre SONO il nostro DNA!? Il punto fondamentale dunque è sentirsi parte di un tutto che affonda però le sue radici in un particolare contesto familiare, base di partenza della nostra avventura nel mondo. Che importanza avrebbe - qualcuno di voi potrebbe obiettare - visto che la mia anima è immortale, dare tutta questa importanza alla relazione che più di ogni altra è causa di grandi sofferenze e incomprensioni nella mia vita? Come potrebbe l'atleta scattare al colpo di pistola dello starter se non avesse il terreno sotto ai piedi su cui fare presa per darsi la spinta?  Vi sembra scontata l'immagine? Pensateci bene: come potreste sperimentare il mondo e tutte le molteplici sue forme e dimensioni, se non aveste trovato il punto di partenza, qualsiasi esso sia, per darvi la spinta e iniziare la vostra avventura? Ai fini dunque della nostra corsa verso l'unità e quindi verso il ritorno a casa è assolutamente necessario riconciliarci con ciò che siamo a partire dalla relazione primigenia, quella con i genitori, scelti da noi stessi per innescare il processo di consapevolezza e integrare tutte le successive esperienze, come figlie di quella originaria.
Espansione e contrazione, espirazione ed inspirazione, dispersione e riunificazione come flusso ininterrotto del ciclo vitale dell'Universo! Non posso unificare e integrare tutte le esperienze, se prima non ho accettato di perdermi nei mille rivoli dell'esistenza; non riuscirò a tornare alla riunificazione di tutte le mie parti se prima non ho sperimentato tutta la loro frammentarietà, fino a perdere il senso compiuto, il bandolo della matassa. Non c'è dunque più alcun bisogno di classificare alcuna esperienza come positiva o negativa; tutto assume in sé il valore assoluto della Perfezione, che si compie proprio attraverso le mille imperfezioni e sfaccettature proprie dell'esistenza stessa. E' soltanto questo sguardo privo di giudizio che potrà ricondurmi a casa, che potrà riconciliare tutte le parti, che saprà accettare ogni apparente perdita, ogni presunta sconfitta, guarire ogni colpo, tenendo sempre presente ciò che ci ricorda sri Bhagavan e cioè che la sofferenza non consiste tanto nell'esperienza in sé, quanto nella percezione che abbiamo di quell'esperienza, percepita come tale. 

Dinaweh
         




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