T E M P E S T A
(parte prima)
Era l'alba, una splendente alba di giugno. Per un sentiero che saliva lungo un torrente ingolfandosi tra i monti, un uomo fuggiva: egli fuggiva l'uomo, la città, la civiltà distruttrice. Era carico, fino all'estremo suo sforzo di povero sessantenne, dell'indispensabile, raccolto a furia di lasciare la casa. Lo seguiva la moglie pur carica e la figlia con in collo la sua bambina lattante. Nell'incanto della pura alba estiva, la fuga era triste, piena di terrore. Lo strappo dal nido era stato violento. Sulle case vicine in città aerei avevano lanciato bombe, seminando morte e rovina. Boati terribili e squassamento di terremoto, stritolamento di vetri e pioggia di pietre; poi un fumo scuro e denso, a lungo. La fine per schiacciamento, l'infuocato soffio della morte, vicino; il terrore. Così essi fuggivano, senza sapere, per un istinto di animale inseguito, fuggivano quei colpi tremendi che potevano cadere sul loro capo. Né vi erano rifugi. Fuggivano disperatamente in un parossismo di sforzo nervoso. Tutto intorno, per la campagna, in tutte le creature, per le erbe, per l'acqua, per l'aria, splendeva immutabile l'eterno sorriso di Dio.
Esaurita la reazione alla prima scossa, allontanato un poco il pericolo imminente, l'uomo che fuggiva sentì ridestarsi in sé ancor più potente il suo io interiore e riprese a osservare e pensare. Come era dolce, intatta nelle cose la bellezza dell'ordine divino! Solo l'uomo ribelle tentava imporre distruzione. Perché la guerra? Perché questi tragici momenti? Che voleva la logica del destino così di sorpresa? Era egli stato forse colto di sprovvista, impreparato? Può il cammino della vita offrire delle svolte così improvvise e imprevedibili che la ragione ne resti allibita e ne sia scosso tutto il nostro orientamento? No. Il saggio deve conoscere tutti i possibili colpi, deve aver raggiunta una filosofia completa che contempli tutte le possibilità della vita, deve aver trovata una verità universale ed esauriente, che gli dia la ragione di ogni fatto e lo orienti di fronte ad ogni problema. Egli voleva e doveva capire, aveva delle risposte che ben sapeva di non poter ottenere che da se stesso. Vi sono i responsabili, chi sono e dove trovarli in quell'oceano di forze e di uomini che è la società? Possono i dirigenti imporre dolore a popoli interi, ovvero essi non comandano che in apparenza e, in realtà, ubbidiscono con tutti i loro sudditi a leggi e forze, di cui essi non sono che l'esponente? Le cause sono allora diverse da quelle visibili e un'altra è la gerarchia dei responsabili, ed ognuno è colpito per altre ragioni interne che non sono quelle che appaiono all'esterno e i potenti sono strumento di altra intelligenza ed esecutori di piani diversi dai loro e i veri responsabili (chi sa chi sono) possono essere raggiunti solo dalla giustizia di Dio. Egli solo sa pesare e noi non sappiamo; Egli solo conosce la trama segreta della vita di ognuno, la quale noi non conosciamo. Egli solo ha il potere di raggiungere e colpire che noi non abbiamo. La logica dello spirito ci fa cercare una giustizia perfetta, ma in terra non vi è, e dove trovarla? Fino a qual punto, caso per caso, l'uomo è libero e fino a qual punto giunge la potenza e l'estensione della fatalità nel destino? Quale è il limite tra le due zone e l'equilibrio tra le due forze? Sono le grandi masse responsabili come masse, indipendentemente dai capi, per primo di fronte alla Legge, sono esse inesorabilmente travolte dal determinismo storico?
Quell'uomo pensava. I problemi che per gli altri erano lontani, erano per lui molto vicini. Egli si trovava nel turbine, attorno a lui rotava il maelstrom del mondo e il vortice tentava di afferrare anche lui per trascinarlo nelle sue spire, fino in fondo. Egli doveva difendersi. Ma per difendersi bisognava capire. Il tipo normale non si sarebbe affaticato al di là di una difesa di superficie, contentandosi di un difesa-tentativo. Egli esigeva da se stesso una difesa a fondo, la sicurissima, posta al di là della consueta illusione. Sotto la tensione nervosa e lo sforzo fisico, nel pieno della reazione alla scossa subita, il suo spirito colpito mandava scintille e il suo cervello registrava a lampi. Come la sua vita, così ogni sua reazione era prevalentemente psichica, cioè dal lato del suo maggiore sviluppo. Restringendo il problema ai suoi elementi più personali ed urgenti egli cercava di sapere che cosa sarebbe avvenuto di lui. Per saperlo interrogava la sua coscienza, si domandava se egli era colpevole e se doveva quindi pagare. A lui che conosceva il funzionamento delle forze della vita, sembrava più utile scrutare quella logica interiore dei fatti, che la loro apparenza esteriore. Afferrare gli eventi alla radice, nelle cause, era il suo metodo. Che cosa volevano le forze del destino in questo frangente? Questo era il problema, altro non poteva essere in un universo che non ba a caso, ma è retto da una Legge giusta, logica e intelligente. Lo minacciava forse la reazione di quella Legge, a spinte da lui col suo agire lanciate nel passato? Lì era la vera minaccia, non nella materialità della guerra. Quelle forze, da lui stesso un giorno innestate nel suo destino, lo incolpavano ora, si rizzavano forse, minacciose, nel suo cammino per chiedergli conto del suo operato? Ovvero egli era innocente e quanto gli accadeva attorno non era che un puro incidente di superficie, che non lo riguardava? Se nel suo capo non pendeva nessuna sanzione dalla parte di Dio, che cosa poteva egli temere dall'uomo?
Frugando nella sua coscienza, cercava quale forza dal passato cercasse ora ritornare e di quale natura e potenza essa fosse; cercava quale spinta tentasse ora di realizzarsi nella sua manifestazione esteriore, sfogandovi il suo impulso, completando da causa ad effetto la sua oscillazione. Ma non vi era tempo da indugiarsi in analisi. Nei momenti decisivi e terribili crolla l'edificio degli accorgimenti umani, la ragione si imbroglia e la verità appare in sintesi, nuda alla coscienza e squilla chiara in un attimo la voce del Dio. Ad un tratto egli si arrestò, in un lampo il suo spirito intuì ed egli udì una voce interiore che gli diceva: "Fuggi, ma ovunque tu vada, sarai salvo".
Il triste gruppo, ormai abbastanza lontano dalla città e dal pericolo, rallentò il passo, in silenzio. L'uomo che era avanti, sentiva senza voltarsi il dolore e lo sgomento dei due esseri cari che lo seguivano. Gli parve allora di portar sulle spalle il peso di una croce immensa, il peso del dolore del mondo e di cadervi sotto schiacciato. Un impulso irresistibile lo spingeva a gridare in spirito all'universo: "Sono innocente". Poi si sorprese a pensare: "Strano questo colloquio con Dio, proprio in questo momento e condizioni!". Poi avvertì di essere stanco e sentì che le forze gli mancavano. Allora pensò: "Chi difende la vita? Chi mi difende? Chi è al mio fianco ora, nel momento del pericolo? Forse lo Stato?" Egli ricordò le belle teorie insegnategli a scuola, lette e credute e sorrise amaramente. Dove era lo Stato, l'ente gigantesco dei tempi presenti, onnipossente, che tutto chiede e tutto riceve e tutto dovrebbe dare? Assente. Lo Stato aveva ora da pensare a se stesso e abbandonava il singolo al suo destino. Le costruzioni sociali dell'uomo si erano sgretolate, ma non si sgretolavano le costruzioni divine della vita. Questa, nelle sue riserve inesauribili, nella sua elasticità di adattamento, nelle millenarie esperienze della razza, sa ben essere preparata a tutto, specie nei popoli che hanno molto vissuto e sofferto, poiché non si vive senza imparare e non si soffre mai inutilmente. La vita sa continuare anche senza lo Stato. Allora le acquisizioni recenti vaporizzano e restano solo le secolari acquisizioni profonde. Solo l'uomo può fallire, non la vita. Quando l'uomo sbaglia, la Legge lo riporta con una provvidenziale lezione di dolore sulla retta via dell'ordine e così la vita si riprende e continua. La sorveglia e protegge continuamente la divina Provvidenza che è una reale protezione biologica, una difesa automatica e una potenza risanatrice, è un'intima previdenza data dalla saggezza del sistema. Se ora lo Stato, provvidenza umana crollava, la provvidenza di Dio restava.
Avrebbe forse la ricchezza, potenza del mondo, difeso quell'uomo? Ma egli avrebbe potuto offrire milioni. Nell'ora del pericolo nessuno lo avrebbe aiutato. Proprio nel momento del bisogno il danaro diventava inutile. Se egli fosse stato un potente, circondato di servi e dipendenti, essi sarebbero stati ora i suoi primi nemici, occupati sol di salvare se stessi. Nel momento decisivo la ricchezza e la potenza, se egli ne avesse avuto, lo avrebbero tradito. Ma egli non era caduto nell'ingenuità di credervi. Victor Hugo, nei primi capitoli dei suoi "Miserabili", a proposito di Napoleone decadente, parla di marescialli traditori, di un senato che lo insultava dopo averlo divinizzato e vergognosamente sputava sull'idolo di una volta. ed era Napoleone. Ma la Legge è una, per grandi e piccoli, in ogni tempo.
Chi tendeva dunque la mano a quell'uomo, ora nella sventura, chi lo seguiva nella sua fuga per gravarsi del suo stesso peso? Forse gli amici, gli ammiratori, gli esaltatori dei tempi sicuri? No, nessuno. Le profumate nuvole d'incenso, come fumo inconsistenti, erano svanite nell'aria. Vanità umane. Egli era solo. Ora, nel momento della prova, egli apprezzava l'immenso vantaggio di non aver creduto alla gloria, come non aveva creduto al potere e alla ricchezza, l'immenso vantaggio di essere allenato a soffrire e a rinunciare, di essere moralmente preparato. Nella sua vita non vi era stato che lavoro, dovere, dolore. Questa la sua bandiera, la sua sfida, la sua forza, la sua vittoria. Egli si era attaccato a valori incrollabili, si era reso indipendente dai colpi del mondo. La sua povertà era la sua ricchezza, la sua nullità era la sua grandezza, la sua innocenza era la sua potenza e salvezza. Solo la vita seria e dura e le severe fatiche della via dell'ascesa non avevano mentito e non lo avevan tradito. Come si trovavano invece ora quanti epicurei e materialisti, avevano riso di lui come di un pazzo? Il loro attaccamento alle cose materiali era ora la causa del loro maggiore dolore. Nell'ora della distruzione egli si trovava invece già attaccato all'indistruttibile. La sua filosofia, e non la loro, resisteva ora nel momento della prova. Che triste spettacolo di avidità, di ferocia, di follia, di disperazione, gli presentava quel mondo che aveva creduto solo nei valori terreni! No. Il cataclisma non coglieva lui, come tanti, alla sprovvista. Al di là di tutti i sogni di grandezza e di vittoria, egli, come aveva già visto che la realtà della vita è dolore, ora vedeva che la realtà della guerra è dolore. E vedeva che un mondo il più demoralizzato e moralmente impreparato al dolore, si trovava ora di fronte ad una tale valanga di sofferenze, quale l'umanità, forse non aveva mai conosciuto. Ora finalmente egli poteva toccare con mano, convalidata e non più smentita dai fatti, quanto fosse profonda la sapienza del superamento, nel disprezzo delle cose umane. Ora egli godeva di un grande vantaggio sui suoi simili, quello di aver capita la vita, di non essere caduto nell'inganno dei suoi miraggi ora in disfacimento, di non aver costruito sulla sabbia, di non aver impiegata la sua fatica e investiti i suoi capitali spirituali in cose effimere. A quanti illusi, egli pensava, cadrà ora la benda dagli occhi nell'assistere al crollo di tutte le proprie costruzioni! Egli aveva dovuto compiere un gran lavoro di concentrazione e macerazione per poter raggiungere un mondo superiore, e ciò da solo, abbandonato e deriso. Il duro cammino della sua maturazione evolutiva era cosparso di lacrime e di sangue. Ma ora quell'uomo, giudicato un imbecille, perché non amico del disonesto arriismo che porta al rapido successo, si trovava nella rara posizione di aver raggiunto un mondo superiore e di potervi trovare scampo, quella salvezza ad altri negata, e di potervi mettere in salvo, intangibili lassù ove la guerra non arriva, i suoi tesori.
Egli da tempo aveva imparato a non credere più nel mondo e a saper essere solo. Ma se tale sembrava, solo non era ed egli lo sapeva. Non si può esser soli nel nostro universo. Mai. L'ignoranza dell'ateo, la potenza negatrice del male, la ribellione di Satana all'ordine che tutto regge, non possono distruggere Dio che continua ad esistere ed operare al di là delle loro negazioni e al di sopra dei loro assalti. Accanto a quell'uomo era Dio. Certo si tratta di un imponderabile che sfugge ai sensi grossolani dell'involuto, ma che non è meno reale per questo. Accanto, attorno a quell'uomo turbinava solenne e immenso il ritmo delle leggi della vita, intelligenti, potenti, attive. Quell'uomo solitario era immerso in questa divina atmosfera, quell'uomo apparentemente abbandonato, era vicino a Dio, meno solitario e meno abbandonato di tanti grandi, acclamati idoli delle folle. L'imponderabile non gli volgeva le spalle come fa a questi talvolta, ma gli apriva le braccia. Accanto a quell'uomo era il suo passato, erano le sue opere, poiché le nostre opere ci seguono. Poiché la sostanza della Legge di Dio è la prima giustizia che forza, e non prima forza che giustizia, come avviene nell'inferiore mondo umano. Nell'ora del destino in cui crollava l'impalcatura sociale e i suoi valori si rovesciavano, la sua nullità umana che egli aveva tanto amato, era ora la sua difesa. In primo luogo perché una nullità sfugge meglio alle tempeste, non offrendo superficie di resistenza, poi perché essa è, come ogni povertà, un principio di innocenza, un credito di fronte alla legge di equilibrio, un diritto di fronte alla divina giustizia. Egli, prima che l'astuzia o i mezzi materiali o l'aiuto umano, aveva cercato in sé, a sua difesa, la propria innocenza. A preferenza di tutti gli accorgimenti umani, questo gli era sembrato il più potente. Egli aveva cercato la forza in Dio e la risposta nella coscienza. E la propria innocenza, in silenzio, egli aveva gridata all'universo. Grido di anima, tragico e profondo, che non può mentire. E l'universo, retto da Dio, cioè da giustizia, non aveva potuto non rispondere, perché non rispondere sarebbe stato negare se stesso. Egli aveva invocato l'aiuto delle forze attive nel suo piano spirituale, generalmente, nel piano materiale terreno, paralizzate e rese assenti dalla male usata libertà umana. Allora egli si sentì fortificato, alzò lo sguardo e con occhio tranquillo affrontò l'avvenire. Egli era al posto del suo dovere. Ciò bastava. Questa constatazione infuse un senso di pace alla sua coscienza e lo colmò interiormente di nuova energia. L'orizzonte tetro tornò limpido ed egli vide chiaramente. La guerra, bufera umana, non lo riguardava. Quel dolore faceva parte del destino di tanti altri, non del suo. Quelle armi non lo potevano uccidere. Egli comprese allora il senso delle parole della voce: "Fuggi, ma ovunque tu vada, sarai salvo". La Legge di Dio vuole che le nostre pene non possano essere figlie che delle nostre colpe e non del malvolere o prepotenza altrui, e che il nostro destino non possa essere fatto che da noi e solo da noi. La grandezza e giustizia di questa legge colpì quell'uomo in quel tragico momento con una evidenza così viva, che il suo terrore si mutò in fiducia e in preghiera e in mezzo alla dura prova egli cadde in ginocchio per ringraziare il Padre che è nei cieli, che tanto è pronto ad amarci e provvederci, appena la nostra libera volontà glielo permetta.
Abbiamo osservato in un momento critico, ponendoci di fronte la più realistica realtà della vita, il rovesciamento evangelico dei valori della terra nei valori del cielo e siamo giunti al risultato pratico, addirittura utilitario, i una invulnerabilità e salvezza nel superamento del dolore. Tale modo di procedere può apparire incomprensibile al normale tipo umano di oggi che, essendo spesso spiritualmente involuto, mette in moto altre leggi ed altre forze, non sapendo raggiungere quello che qui vediamo in azione. E' necessaria poi una condizione: l'innocenza, perché solo questa permette la limpida visione perché solo chi la possiede può invocarla dinanzi a Dio. Non si tratta di una innocenza universale e assoluta, che nessun uomo può, in quanto è in terra, possedere. Se l'avesse raggiunta, sarebbe ben lontano da tale luogo di pena. Ma si tratta di una innocenza particolare, relativa a date colpe e rispettive prove. Più che tali, le innocenze umane non possono essere, per quanto siamo più o meno estese. Chi è innocente di fronte ad un fatto, chi di fronte ad un altro e similmente per la colpa. Per questo i destini sono così differenti e ognuno di essi batte inesorabilmente il suo chiodo. Il destino di quell'uomo non conteneva reazioni di violenza e di sangue, egli era quindi immune da quel lato in cui altri erano invece vulnerabili; era quindi esente da prove che gli altri dovevano subire. Egli era invece esposto a prove spirituali di lenta macerazione e smaterializzazione, che gli altri non potevano nemmeno immaginare, a lunghissime agonie, alla violenza delle tempeste psichiche, all'urto con le forze dell'imponderabile che i più non conoscono affatto. Egli, conscio del suo destino, del suo passato e futuro, comprese che la guerra non lo riguardava e che nessun uomo o proiettile poteva colpirlo, se non là dove le leggi della vita, applicate al suo caso particolare, potevano permettere.
In genere nella difesa della vita e nella lotta per vincere, l'intelligenza umana non va oltre le cause ed eventi prossimi. In genere le verità umane sono relative al tempo e al luogo, sono verità di interesse e di parte. Si tratta di verità particolari al singolo o al gruppo e che quindi mutano e passano. Noi qui cerchiamo la verità vera, che non può essere relativa e partigiana, ma che è universale, comprende tutti, è al di sopra del caso individuale e dell'interesse di parte. Oltre la verità di superficie, noi cerchiamo la verità profonda che non è una opinione, che è oltre il tempo e il luogo, e resta, che comprende tutti e vale per tutti, forti e deboli, grandi ed umili, vincitori e vinti, poiché nei meravigliosi equilibri della Legge di Dio e nel funzionamento organico dell'universo, ogni essere ha il suo posto e ragione di esistere. Per chi ha compresa questa verità, cambia completamente la concezione delle cose. Chi ha compreso che la forza umana non può fermare l'azione delle forze cosmiche se non momentaneamente e a proprio rischio e danno, non dice più: "Guai ai deboli e ai vinti", ma dice: "Guai ai colpevoli, anche se vincitori". Quel che conta a lungo andare, è la posizione morale più della materiale. Per non dover pagare, conta l'innocenza e non la forza, che potrà al massimo dilazionare, ma mai sopprimere la reazione punitiva della legge di giustizia. L'avvenire, per legge di evoluzione, va verso il regno di Dio ed esso appartiene ai giusti. La potenza militare, la superiorità tecnica, l'oro e l'astuzia, non possono distruggere la Legge di Dio che è dentro le cose. Chi crede che con un grande esercito, grandi mezzi e organizzazione, e con una ferrea tenacia, la forza basti per vincere, non ha capito che, nel funzionamento delle leggi della vita, appunto tale base di forza, di sopraffazione violenta come nella guerra, forma il punto debole del sistema che, appunto in tale sua natura, contiene il germe dell'autodistruzione. Allora il colosso dai piedi di creta crolla, chiunque esso sia; il fatto si verifica per chiunque si trovi ad applicare queste leggi, per chiunque si ponga in tali condizioni. Con ciò non si espone una opinione, ma semplicemente si constatano alcune leggi della vita. L'enunciato evangelico: "Chi usa la spada, perirà di spada", esprime una razionale ed inviolabile legge biologica. Qui non si è fatto altro che estendere a più vasto campo, sempre di fronte alla guerra, il suesposto principio dell'innocenza. Di fronte allo scompigliato agitarsi dell'attività umana, è la saggezza di queste intime leggi, poste alle radici degli eventi, che regge le cose, per cui a lungo andare la più grande forza, quella che all'ultimo vince, è la giustizia. Le eccezioni sono deviazioni momentanee, minori concessioni alla libertà umana che, per imparare, pur deve esperimentare nell'errore ma che vengono presto o tardi rettificate e riconquistate per le dure vie del dolore. Perché l'uomo impari, la Legge si lascia per un momento frodare, ma poi tutto si riprende dagli illusi debitori, essendo essa la sola padrona della vita. Si spiegano così le oscillazioni della storia. Abbiamo con ciò nel presente capitolo portato i concetti, in principio svolti nello studio della legge del merito, a nuovi ampliamenti ed applicazioni.
Pietro Ubaldi, La nuova civiltà del terzo millennio. Verso la Nuova era dello Spirito, ed. Mediterranee, Roma, 1988, pp. 196 - 202.