venerdì 12 gennaio 2024

NUEVA ESPERANZA un caffè speciale per un mondo nuovo

 

NUEVA ESPERANZA

un caffè solidale per un mondo nuovo



Care amiche lettrici, cari amici lettori,

condivido con voi questa bellissima realtà che ho avuto modo di conoscere aderendo all'Associazione FUNIMA INTERNATIONAL, prima come volontario e poi come Promoter Etico, insieme alla mia compagna che con me condivide ogni passo in direzione del mondo che verrà e che è già qui, senza che la maggioranza di noi se ne accorga.

Ma quanti sono i segnali del nuovo! 

Quante anime in cammino sono già volte alla realizzazione concreta di una realtà che scorre silenziosa e parallela al becero starnazzare del mainstream, con le sue pubblicità asfissianti in favore dell'unica economia piramidale che io conosca, quella delle Multinazionali che affamano il pianeta e lo rendono sempre più sterile, sempre più inquinato, creando sperequazione e sfruttamento dei popoli in nome del mero profitto!

I cafficultori del Guatemala e dell'Uganda hanno voluto dimostrare che fare economia nel rispetto della natura e soprattutto salvaguardando la dignità dei lavoratori è possibile: si sono consorziati in cooperative contadine, liberi dallo sfruttamento dei grossi gruppi occidentali, garantendo un'elevata qualità di produzione, grazie alle maestranze tutte italiane che li hanno istruiti per promuovere un prodotto di elevata qualità, nel rispetto della natura e per la salvaguardia della dignità di ciascuno di loro. 

Il risultato è eccellente: il caffè viene coltivato e prodotto in loco e poi tostato in Italia, come anche il confezionamento, garantendo qualità organolettiche superiori, insieme alla cura nella scelta di ogni chicco, scevro da qualsiasi difetto che comprometterebbe la qualità davvero superiore del prodotto finito.






Ma quale il valore aggiunto, oltre a quello di cui abbiamo detto fin qui?
Quello di sostenere non solo le comunità indigene dei territori che producono quei chicchi di caffè colti con dedizione e amore, ma anche i progetti umanitari di FUNIMA INTERNATIONAL in America Latina, Africa e Italia. 



 
Oltre ad offrire di volta in volta questo splendido caffè (macinato, in grani, in capsule o in cialde compostabili) attraverso i banchetti della solidarietà che FUNIMA INTERNATIONAL con i suoi volontari allestisce in ogni piazza d'Italia in occasione di feste, fiere e mercatini, è anche possibile la stipula di contratti mirati, per chi avesse attività nel campo della ristorazione e del turismo, dai bar agli agriturismi, i b&b, i centri olistici, le palestre, le scuole parentali, le associazioni, come anche per le aziende.

Siamo felici di poter sostenere quest'opera meritoria che ci vede promuovere in prima persona la conoscenza di una realtà in espansione quale quella della Cooperativa Nueva Esperanza, insieme ad  altre realtà 




quale quella dei Microorganismi  Effettivi, di cui  vi abbiamo già parlato in uno dei post più recenti. 
Chi volesse saperne di più, sia come privato che come titolare di attività nel campo del turismo, della ristorazione e del benessere, può contattarci scrivendo una mail (dinaweh@gmail.com) o sulla chat di telegram (@ArchturusRex).





UN CAFFÈ? COME TRASFORMARE LA TUA ABITUDINE IN UNA SCELTA ETICA

Consumo consapevole, sensibilità alle tematiche ambientali e scelta secondo principi di etica e sostenibilità sono i principali valori che porta a tavola un numero sempre crescente di consumatori.

Questo vale anche per il prodotto a più alto consumo nel mondo, ovvero il caffè, fino ad oggi considerato solo come prodotto commodity esotico dalle origini non specificate, utile a saziare l’esigenza di caffeina o a colmare un’abitudine del mattino. È per questo che esistono caffè specialità – speciality – che sono prodotti tracciabili, di origine selezionata ottenuti con perizia e dedizione, fuori dal mercato globale e dentro il mercato equo e solidale. Commercio che promuove giustizia sociale, economica e sviluppo sostenibile.

Il Caffè Nueva Esperanza si propone proprio di trasformare la tua pausa caffè in un momento in cui al primo posto vi è il rispetto per l’ambiente grazie all’agricoltura biologica, ed il rispetto dei diritti dei lavoratori di cui puoi conoscere la storia della cooperativa e le attività di sviluppo che nascono a seguito della tua scelta. Garantisci un salario di vita equo per i lavoratori, sostieni piccoli produttori, sviluppi nuove economie fino a poco tempo fa marginalizzate e sfruttate, offri opportunità di investire in progetti di sviluppo per le comunità locali.

Entrano in gioco storie, vicende umane ed il valore del rispetto di ambiente e persone, lasciando al primo posto etica, qualità ed equità.

Un prodotto diventa buono se lo è davvero per tutti. Dal produttore al consumatore finale, in ogni anello della catena di produzione, dal seme all’albero coltivato senza utilizzo di fertilizzanti chimici nel rispetto del ciclo di vita della pianta e in armonia con l’ecosistema che lo circonda.

Un caffè, Nueva Esperanza, che si basa sulla tracciabilità delle materie prime, sulla trasparenza e sulla non negoziabilità dei diritti umani. E dichiara con chiarezza il proprio

 

 

O



NO al caffè considerato semplicemente come una qualsiasi commodity il cui prezzo viene fissato nelle Borse Merci;

NO all'industria del caffè tostato che guarda al proprio profitto a discapito di milioni di famiglie impoverite da un prezzo del caffè verde troppo basso;

NO al caffè tutto a 1 euro, senza che si valorizzi la differenza di prezzo in base alle qualità sensoriali e qualitative.













































venerdì 5 gennaio 2024

TEMPESTA - (parte seconda)

 

T E M P E S T A 


(parte seconda)


Continuiamo a seguire il nostro uomo nelle sue vicende. Eccolo in una catapecchia di campagna, gremita di altri fuggiaschi. La guerra, salendo dal Sud, si avvicinava fumante di colpi, con un rombo sinistro sempre più intenso, mordendo la terra con accanimento feroce. Tutto, come carico di odio, esplodeva a tradimento. Saltavan le case, i ponti, gli acquedotti, le linee elettriche, le officine, le strade, le ferrovie. La terra veramente tremava. Nella notte, sinistri bagliori illuminavano il cielo tetro sopra la città in fiamme. Nell'aria era un continuo rimbombo di esplosioni e crolli paurosi. Per le campagne, ad ogni apparire di apparecchi isolati o a stormi, incominciava un cannoneggiamento antiaereo minuto e vicino sul capo cadeva la sibilante pioggia delle schegge. Qualcuno dei grandi argentei uccelli, meraviglia di tecnica e così belli nel terso azzurro del cielo, come falco scendeva fulmineo, scagliando morte; ovvero giungeva basso di sorpresa, mitragliando. Tutti i flagelli della guerra si succedevano a turno con un crescendo terrificante. Nelle case era scomparsa l'acqua e la luce; mancavano i ponti, i i rifornimenti. In compenso la terra ovunque era minata, pronta ad esplodere sotto il proprio passo. Allora, in questo inferno, gli uomini d'arme incominciarono i saccheggi e le orgie. Ubriachi dell'ultimo vino tolto alle povere mense, rubavano le ultime provviste. La proprietà era praticamente abolita. Bisognava esporsi a nuovi pericoli per proteggere, affrontati con la rivoltella alla mano, i poveri avanzi di tanti anni di privazione. Infine, i cannoneggiamenti. Batterie piazzate vicino, attraevano una pioggia di granate. In ogni momento poteva giungere lo sconquasso improvviso; e giungeva talvolta isolato, talvolta a scariche lunghe, ma sempre ogni colpo distinto in tre tempi, il boato di partenza, il sibilo del tragitto, in attesa dello schianto di arrivo. Si studiava quell'attesa, si meditava, poiché quel sibilo portava con sé la morte. Dove? Essa poteva giungere in ogni momento sul proprio tetto. La morte volteggiava sempre sopra, nell'aria. La si udiva partire, la si attendeva giungere. Talvolta essa solo passava, talvolta colpiva a pochi metri.

Il nostro uomo osservava. Quale forza muoveva questo inferno? Egli sentiva alitarsi in faccia il respiro affaticato e tormentato del male. Quella era certo la voce di Satana. Chi l'ha udita, la conosce. Essa è aspra, traditrice, egoista, omicida, distruttrice. L'esplosivo esprime quella voce, sintetizza quell'anima. E' un'ansia di tutto dilaniare, sfracellare, annientare. Tutto deve esser frantumato, reso sudicio, lacero, distorto, bruciato, tagliente. E' uno stile, lo stile kaput, lo stile odierno, lo stile distruzione, lanciato dalla guerra. E' l'attuale volto dell'Europa. E' lo stile del male. E' una psicologia, una filosofia, un metodo scientifico, una follia aiutata dalla logica, dalla tecnica, dall'intelligenza. E' il distruzionismo, ultima fase del materialismo
E' l'ultimo logico prodotto di quell'ansia affaccendata e affannosa che la civiltà moderna ha scambiato per dinamismo creativo, è il parossismo dell'azione portato al grado di follia, uno squilibrio che la natura non ammette, è il fatale precipitare di un ciclo e il preludio di una fatale inversione di rotta che è in fondo ad ogni discesa. Il male è chiuso nel tempo, quindi ha fretta. Questo è il suo punto debole e lo sa, quindi esso corre. Il colpevole fugge. Egli è esasperato, disordinato, incerto. Il saggio fa le cose con sicurezza e con calma, le fa quindi meglio e con minor fatica. L'errore rappresenta una gran diminuzione di rendimento. Quel correre del mondo non si poteva reggere che per un acceleramento continuo, era una instabilità che doveva e non poteva risolversi che nel distruzionismo. Ciò rivela il male, la cui essenza è negazione. E' una rabbia che vuole che tutto sia rovesciato, spezzato. Tutto deve esplodere, tutto è fatto per ammazzare. E' il regno della bestia. Il suo sistema è la forza. La vittoria è un pretesto, un'illusione; la realtà, la brama vera è il massacro. Ecco dove giunge e come conclude il metodo della forza.

Per questo Cristo insegnò, nel Discorso della montagna: "Udiste che fu detto 'Occhio per occhio e dente per dente'. Ma io vi dico di non contrastare al maligno; bensì chiunque ti schiaffeggia sulla tua guancia destra rivoltagli pure l'altra, e a chi vuole citarti in giudizio per prenderti la tunica, lasciagli pure il mantello...". Il male sa illudere con i suoi miraggi di grandezza per sfogare la sua rabbia e, chi crede nella forza e la usa, diventa un istrumento di lei e si lega alla distruzione fino in fondo, anche alla propria. Egli personifica allora il principio di distruzione. Il bene afferma e crea e, chi ad esso si lega, è trascinato alla costruzione fino in fondo, anche alla propria.
I costruttori oggi non possono che attendere che si sfoghi e si stanchi la tempesta del male. Questo è feroce, egoista, spietato; ma è soprattutto stupido. Si tratta di una forza agitata e frenetica perché squilibrata, di una forza cieca e assurda, il cui sviluppo termina nella follia, nella disperazione, anche propria. Ecco il culmine del metodo della forza. Quanto siamo lontani dalle caratteristiche del bene che è equilibrato, illuminato, calmo, fidente! Nessuno può distruggere queste leggi e impedire che la manifestazione riveli la sostanza.

Così la guerra avanzava come un gigantesco rullo compressore, portando morte e rovina, su donne inoffensive, su malati, su vecchi. E la follia operava la distruzione con esattezza scientifica, con metodo razionale, con fredda e sistematica logica, per ottenere il maggior rendimento in rovina e morte, col minimo lavoro, come nella fabbricazione delle macchine in serie, come nella macellazione industriale del bestiame. Ma tale ridda è un vortice che non si regge che nutrendosi di massa e di velocità, cioè accelerando continuamente la sua macabra furia, allargando sempre più le sue fauci e ingoiando nelle sue spire sempre più vittime. Esso ne è ingordo, le attrae, le afferra e così si ciba e si rafforza. Guai a chi mosse il maelstrom e vi si affidò. Chi ne è preso, non ne esce. In fondo, vi è la disperazione per tutti, vincitori e vinti. Siamo all'ultimo gradino della filosofia nietzschiana. Il suo superuomo ideale getta la maschera e mostra il vero volto di belva. Chi lo concepì morì pazzo. 
Follia, finale naufragio dello spirito, satanico crollo di ribelli alla Legge, fatale conclusione insita nel sistema, la quale attende chiunque lo segua. Ecco i risultati di una scienza utilitaria, amorale, di una sapienza senza saggezza: le invenzioni del genio prostituite all'interesse e avvelenate fino a diventare istrumenti di morte. La prima grande applicazione della conquista dell'aria è stato il massacro dell'Europa. Non sarebbe bene che gli scienziati non comunicassero più i risultati delle loro scoperte ad un simile mondo?

La sera, mentre l'infernale voce di Satana dominava la pianura, nella povera catapecchia di campagna si pregava. E' sublime parlare con Dio, è confortante sentirlo vicino, specie nelle ore terribili. Si pregava con semplicità e fede, nella vecchia cucina del colono, affumicata, bassa, povera. Si pregava affratellati nella stessa miseria, il contadino e l'intellettuale, il povero e il ricco, il rozzo, greve di fatica, e il raffinato, abbattuto e mal vestito. Le grandi idee della vita e della morte, dell'odio e dell'amore, della famiglia e dei figli, del dovere e del sacrificio, erano comprensibili a tutti, formavano quel fondo della vita, istintivo ed essenziale, in cui tutti si ritrovano. La preghiera sapeva parlare al cuore di tutti. Nella sua fede millenaria la razza, già lungamente esperta di sventure, ritrovava la sua forza. La visione delle alte cose del cielo, di un miglior mondo nell'al di là, confortava la miseria presente. Nella preghiera quegli sventurati non si sentivan portati dal dolore verso la brillante e scientifica disperazione del mondo, ma verso la pace del cuore e la fiducia nell'aiuto di Dio. In mezzo a quella fraterna povertà, si sentiva vagare come un dolce splendore, la figura di Cristo che stendeva le mani protettrici su tutti, si chinava su ogni pena per alleviarla e si drizzava potente sulla povera soglia, sfidando la tempesta.
Così passava il tempo tra forzosi ozi meditabondi, pericoli e disagi, terrori e speranze. All'ultimo alle minacce precedenti se ne aggiunse una nuova: la caccia all'uomo. Militari armati penetravano nelle case e con la forza requisivano l'ultima merce rimasta: l'uomo. Una sera essi giunsero di sorpresa nella detta catapecchia di campagna. Molti già all'erta si nascosero o fuggirono, secondo i casi. Alcuni furono presi. Il nostro uomo era a letto, stanco e non fuggì, non si nascose. Non aveva più forza di difendersi. Egli aveva speso tutte le sue energie per fare il suo dovere, cioè proteggere, provvedere, prevedere, incoraggiare. Non gli rimaneva più forza per pensare a se stesso. Quella era dunque l'ora della Provvidenza, ultimo suo aiuto. Poi, egli provava una invincibile ripugnanza a darsi da fare per difendersi sol per sé, una ripugnanza a diffidare di Dio per affidarsi a se stesso e ai metodi di difesa umani. Egli non poteva ora mutare il suo sistema che era quello del dovere per sé, dell'aiuto per gli altri e della fede nella Provvidenza. La sua difesa non era del tipo comune, cioè improvvisata all'ultima ora e limitata alla superficie. Egli rifuggiva dalla forza come dall'astuzia. Preferiva la difesa preparata da lungo tempo nella ricerca di quella invulnerabilità che deriva dallo stato di non colpevolezza morale di fronte a Dio, stato in cui egli aveva cercato di porsi da tempo. Nella stessa comune lotta difensiva, egli adoperava qui le forze di un diverso più alto piano evolutivo, per sottoporle ancora una volta all'esperimento, ma fiducioso in esse per averle viste più volte funzionare. Egli sentiva che spetta a Dio di difendere chi, per aver tutto dato per fare il proprio dovere, non ha più mezzi e forze per provvedere a se stesso. E così, egli volle anche in questo frangente essere coerente con i propri principi che mai lo avevano tradito. Volle così aderire al suo metodo che era di restare prima, con onestà e coscienza, tranquillo al proprio posto di combattimento e di dovere, fino all'ultimo, e poi, nulla più rimanendo per sé, disinteressarsi della propria persona, abbandonandosi nelle mani di Dio con la più completa fiducia. Egli sentiva il profondo funzionamento delle leggi della vita e che queste non potevano mentire e tradirlo, sentiva di essere parte nella immensa organicità del tutto e che la mente direttrice non poteva permettere la dispersione di quella per quanto minima parte come di nessuna altra, sentiva la fondamentale indistruttibilità del proprio essere. Posizione certo strana e e inusitata. Ma è un fatto che le forze della vita la avvertivano perché adeguatamente rispondevano a questa sua particolare posizione. Egli vedeva allora la Provvidenza prender corpo nella realtà e manifestarglisi nel sensibile fino a diventare un aiuto concreto, vedeva che Dio gli si avvicinava e che la giustizia della sua Legge lo salvava. La sua non era una esperimentazione dubbiosa, diffidente, analitica, ma una esperimentazione fidente e inebriante, dalla cui gioia non sapeva ritirarsi. Così, con perfetta calma di animo e completa limpidità di visione, egli attese il pericolo.

Osserviamo lo scontro tra le due forze contrarie. Si tratta di due principî diversi, di due metodi di lotta, di due mondi opposti. Spirito e materia, bene e male sono di fronte e si sfidano, ognuno con le proprie armi. Chi vincerà? L'uomo solo, inerme, ma giusto e quindi aiutato da Dio; o il militare armato, sostenuto dal numero, ma assistito solo da un umano organismo difensivo? Abbiamo visto le stesse posizioni e concetti, qui osservati nel loro aspetto individualista, nella "Visione" (aspetto collettivo) riportata in questo volume [...] e nell'incontro tra Cristo e Pilato nel precedente capitolo. Anche nel "Quo vadis" del Sienkievicz, vediamo S. Pietro e Nerone un attimo guardarsi l'uno di fronte all'altro. Nei "Miserabili" di Victor Hugo, mons. Myriel rimane calmo dinnanzi alla minaccia di Jean Valjean, lasciando che solo la sua innocenza lo difenda e, nella notte del furto, lo vediamo restare illeso, invulnerabile, tra le mani dell'assassino che resta impotente a colpirlo. La verità di questa legge del merito e la potenza di questa forza di giustizia e innocenza, è stata dunque sentita, anche se non dimostrata, da altri.

Il nostro uomo che era a letto, si vestì ed attese. Fu avvertito a precipizio: "fuggite o vi prendono". Egli si sedette calmo, ascoltando i passi dei militari che perquisivano la casa. Li udì avvicinarsi. Un ufficiale spalancò l'uscio della sua camera e, puntandogli la rivoltella contro, gli si fece sopra in mezzo alla stanza "Voi venire con noi", gli disse. Egli si alzò e tranquillo rispose: "Non posso, sono stanco, cadrei dopo pochi chilometri, non ho più forza fisica. Da anni si soffre. Non posso affrontare nuove fatiche, nuovi disagi. Vi dico la verità. Se non credete ammazzatemi qui. Sono pronto". Il militare che aveva parlato lo guardò col suo sguardo metallico e soggiunse: "Voi venire con noi, subito, ovvero io sparare". Il nostro uomo ripetette: "Uccidetemi. Sono pronto. Sono stato sempre pronto. Un minuto solo per parlare con Dio. Andate fino in fondo con la vostra distruzione. Siete carico di armi e potete farlo impunemente. Chi può fermarvi? Solo il danno vostro, ma non lo vedete. Le mie armi sono diverse. Voi non lo capite. Chi vi ferma dunque?".
Allora egli andò calmo verso uno spazio di parete libera, vi poggiò le spalle, spalancò le braccia a croce, chiuse gli occhi al mondo esterno, li riaprì dall'altro lato della vita ed attese, così pregando: "Signore, nelle Tue mani affido lo spirito mio. Non permettere che quest'uomo si macchi di un omicidio, perché è legge che poi esso lo debba pagare con la 'sua' morte. Forze cosmiche del bene accorrete contro le forze del male che qui ora avvolgono questo povero cieco per legarlo ad un suo nuovo dolore, per innestare questo nel suo destino, perché egli ne sia poi perseguitato senza pace finché la reazione del delitto non si sarà sfogata su di lui con la sua stessa morte violenta. Signore, ecco la mia vita perché il bene e non il male trionfi". allora egli, come supremo gesto conclusivo si fece il segno della croce, cioè il segno del dolore, il segno dell'amore, le due più grandi forze che sono alle radici della vita; il segno del Signore, simbolo e sintesi della genesi e della creazione soprattutto nello spirito. Poi pensò: "Ora vieni, cara sorella morte, con gioia ti accetto dalle mani di Dio, giacché tu mi liberi da questo inferno".
Non udendo più nulla, egli aprì gli occhi. Il suo sguardo si incontrò con quello dell'ufficiale che lo fissava: lo sguardo metallico e lo sguardo ardente si affrontarono. Il primo cercava di capire, ma non poteva. Vi era un abisso tra i due. Egli sentiva attrazione e repulsione, un fascino e una rabbia, un desiderio assoluto di uccidere il ribelle come aveva minacciato e una impossibilità di farlo perché una invisibile potenza glielo impediva. Ed era rimasto lì perplesso di questa inusitata sosta, per decifrarne il senso, per comprendere che cosa lo paralizzasse, che cosa mai si frapponesse tra lui e quell'uomo, tale da impedirgli il passo. Perché quella sua inerzia? L'uomo di azione e di scienza abituato a rendersi conto dei fatti, voleva sapere il perché e la ragione e scrutava, con l'occhio spiando quell'altro uomo enigmatico che così calmo attendeva la morte. L'uomo di fede guardava l'ufficiale che non capiva e gli leggeva nell'animo.
Erano di fronte gli esemplari di due civiltà diverse. L'ufficiale era il prodotto di una pseudo-civiltà scientifico-meccanica, giunta alle ultime sue conseguenze, una civiltà ricca, armata, astuta e potente, eppure pronta a crollare. Dall'altro lato era il rappresentante di una civiltà nuova, finora appena embrionale, l'unica nuova vera civiltà possibile, un solitario, povero, senza armi, sincero, giusto. L'ufficiale non sapeva con i suoi occhi fisici vedere al di là della materia e penetrare il segreto, che pur lo turbava, di quello strano uomo che egli con le sue armi non sapeva uccidere. Questo rappresentava un principio diverso e più alto e potente: lo spirito. E il militare si domandava il perché di questa invincibile resistenza che gli veniva, senza che egli riuscisse a capire, dall'imponderabile, il meccanismo di questa energia sconcertante che così lo legava. Il nostro uomo richiuse gli occhi, attendendo lo sconquasso del colpo: la morte. Silenzio. Quando li riaprì l'ufficiale era scomparso.
L'uomo attese, ma nessuno si curò di lui. La morte lo aveva sfiorato e non lo aveva voluto. Dio gli era passato vicino. Egli si gettò sul suo giaciglio e si addormentò come ogni sera tranquillo, ringraziando, ubbidiente, il Padre che è nei cieli, che aveva voluto che la fatica della sua vita continuasse.







Pietro Ubaldi, op. cit., 
pp. 202-207.

giovedì 4 gennaio 2024

TEMPESTA - (parte prima)


    T E M P E S T A


(parte prima)

Era l'alba, una splendente alba di giugno. Per un sentiero che saliva lungo un torrente ingolfandosi tra i monti, un uomo fuggiva: egli fuggiva l'uomo, la città, la civiltà distruttrice. Era carico, fino all'estremo suo sforzo di povero sessantenne, dell'indispensabile, raccolto a furia di lasciare la casa. Lo seguiva la moglie pur carica e la figlia con in collo la sua bambina lattante. Nell'incanto della pura alba estiva, la fuga era triste, piena di terrore. Lo strappo dal nido era stato violento. Sulle case vicine in città aerei avevano lanciato bombe, seminando morte e rovina. Boati terribili e squassamento di terremoto, stritolamento di vetri e pioggia di pietre; poi un fumo scuro e denso, a lungo. La fine per schiacciamento, l'infuocato soffio della morte, vicino; il terrore. Così essi fuggivano, senza sapere, per un istinto di animale inseguito, fuggivano quei colpi tremendi che potevano cadere sul loro capo. Né vi erano rifugi. Fuggivano disperatamente in un parossismo di sforzo nervoso. Tutto intorno, per la campagna, in tutte le creature, per le erbe, per l'acqua, per l'aria, splendeva immutabile l'eterno sorriso di Dio.
Esaurita la reazione alla prima scossa, allontanato un poco il pericolo imminente, l'uomo che fuggiva sentì ridestarsi in sé ancor più potente il suo io interiore e riprese a osservare e pensare. Come era dolce, intatta nelle cose la bellezza dell'ordine divino! Solo l'uomo ribelle tentava imporre distruzione. Perché la guerra? Perché questi tragici momenti? Che voleva la logica del destino così di sorpresa? Era egli stato forse colto di sprovvista, impreparato? Può il cammino della vita offrire delle svolte così improvvise e imprevedibili che la ragione ne resti allibita e ne sia scosso tutto il nostro orientamento? No. Il saggio deve conoscere tutti i possibili colpi, deve aver raggiunta una filosofia completa che contempli tutte le possibilità della vita, deve aver trovata una verità universale ed esauriente, che gli dia la ragione di ogni fatto e lo orienti di fronte ad ogni problema. Egli voleva e doveva capire, aveva delle risposte che ben sapeva di non poter ottenere che da se stesso. Vi sono i responsabili, chi sono e dove trovarli in quell'oceano di forze e di uomini che è la società? Possono i dirigenti imporre dolore a popoli interi, ovvero essi non comandano che in apparenza e, in realtà, ubbidiscono con tutti i loro sudditi a leggi e forze, di cui essi non sono che l'esponente? Le cause sono allora diverse da quelle visibili e un'altra è la gerarchia dei responsabili, ed ognuno è colpito per altre ragioni interne che non sono quelle che appaiono all'esterno e i potenti sono strumento di altra intelligenza ed esecutori di piani diversi dai loro e i veri responsabili (chi sa chi sono) possono essere raggiunti solo dalla giustizia di Dio. Egli solo sa pesare e noi non sappiamo; Egli solo conosce la trama segreta della vita di ognuno, la quale noi non conosciamo. Egli solo ha il potere di raggiungere e colpire che noi non abbiamo. La logica dello spirito ci fa cercare una giustizia perfetta, ma in terra non vi è, e dove trovarla?  Fino a qual punto, caso per caso, l'uomo è libero e fino a qual punto giunge la potenza e l'estensione della fatalità nel destino? Quale è il limite tra le due zone e l'equilibrio tra le due forze? Sono le grandi masse responsabili come masse, indipendentemente dai capi, per primo di fronte alla Legge, sono esse inesorabilmente travolte dal determinismo storico?

Quell'uomo pensava. I problemi che per gli altri erano lontani, erano per lui molto vicini. Egli si trovava nel turbine, attorno a lui rotava il maelstrom del mondo e il vortice tentava di afferrare anche lui per trascinarlo nelle sue spire, fino in fondo. Egli doveva difendersi. Ma per difendersi bisognava capire. Il tipo normale non si sarebbe affaticato al di là di una difesa di superficie, contentandosi di un difesa-tentativo. Egli esigeva da se stesso una difesa a fondo, la sicurissima, posta al di là della consueta illusione. Sotto la tensione nervosa e lo sforzo fisico, nel pieno della reazione alla scossa subita, il suo spirito colpito mandava scintille e il suo cervello registrava a lampi. Come la sua vita, così ogni sua reazione era prevalentemente psichica, cioè dal lato del suo maggiore sviluppo. Restringendo il problema ai suoi elementi più personali ed urgenti egli cercava di sapere che cosa sarebbe avvenuto di lui. Per saperlo interrogava la sua coscienza, si domandava se egli era colpevole e se doveva quindi pagare. A lui che conosceva il funzionamento delle forze della vita, sembrava più utile scrutare quella logica interiore dei fatti, che la loro apparenza esteriore. Afferrare gli eventi alla radice, nelle cause, era il suo metodo. Che cosa volevano le forze del destino in questo frangente? Questo era il problema, altro non poteva essere in un universo che non ba a caso, ma è retto da una Legge giusta, logica e intelligente. Lo minacciava forse la reazione di quella Legge, a spinte da lui col suo agire lanciate nel passato? Lì era la vera minaccia, non nella materialità della guerra. Quelle forze, da lui stesso un giorno innestate nel suo destino, lo incolpavano ora, si rizzavano forse, minacciose, nel suo cammino per chiedergli conto del suo operato? Ovvero egli era innocente e quanto gli accadeva attorno non era che un puro incidente di superficie, che non lo riguardava? Se nel suo capo non pendeva nessuna sanzione dalla parte di Dio, che cosa poteva egli temere dall'uomo?
Frugando nella sua coscienza, cercava quale forza dal passato cercasse ora ritornare e di quale natura e potenza essa fosse; cercava quale spinta tentasse ora di realizzarsi nella sua manifestazione esteriore, sfogandovi il suo impulso, completando da causa ad effetto la sua oscillazione. Ma non vi era tempo da indugiarsi in analisi. Nei momenti decisivi e terribili crolla l'edificio degli accorgimenti umani, la ragione si imbroglia e la verità appare in sintesi, nuda alla coscienza e squilla chiara in un attimo la voce del Dio. Ad un tratto egli si arrestò, in un lampo il suo spirito intuì ed egli udì una voce interiore che gli diceva: "Fuggi, ma ovunque tu vada, sarai salvo". 

Il triste gruppo, ormai abbastanza lontano dalla città e dal pericolo, rallentò il passo, in silenzio. L'uomo che era avanti, sentiva senza voltarsi il dolore e lo sgomento dei due esseri cari che lo seguivano. Gli parve allora di portar sulle spalle il peso di una croce immensa, il peso del dolore del mondo e di cadervi sotto schiacciato. Un impulso irresistibile lo spingeva a gridare in spirito all'universo: "Sono innocente". Poi si sorprese a pensare: "Strano questo colloquio con Dio, proprio in questo momento e condizioni!". Poi avvertì di essere stanco e sentì che le forze gli mancavano. Allora pensò: "Chi difende la vita? Chi mi difende? Chi è al mio fianco ora, nel momento del pericolo? Forse lo Stato?" Egli ricordò le belle teorie insegnategli a scuola, lette e credute e sorrise amaramente. Dove era lo Stato, l'ente gigantesco dei tempi presenti, onnipossente, che tutto chiede e tutto riceve e tutto dovrebbe dare? Assente. Lo Stato aveva ora da pensare a se stesso e abbandonava il singolo al suo destino. Le costruzioni sociali dell'uomo si erano sgretolate, ma non si sgretolavano le costruzioni divine della vita. Questa, nelle sue riserve inesauribili, nella sua elasticità di adattamento, nelle millenarie esperienze della razza, sa ben essere preparata a tutto, specie nei popoli che hanno molto vissuto e sofferto, poiché non si vive senza imparare e non si soffre mai inutilmente. La vita sa continuare anche senza lo Stato. Allora le acquisizioni recenti vaporizzano e restano solo le secolari acquisizioni profonde. Solo l'uomo può fallire, non la vita. Quando l'uomo sbaglia, la Legge lo riporta con una provvidenziale lezione di dolore sulla retta via dell'ordine e così la vita si riprende e continua. La sorveglia e protegge continuamente la divina Provvidenza che è una reale protezione biologica, una difesa automatica e una potenza risanatrice, è un'intima previdenza data dalla saggezza del sistema. Se ora lo Stato, provvidenza umana crollava, la provvidenza di Dio restava.
Avrebbe forse la ricchezza, potenza del mondo, difeso quell'uomo? Ma egli avrebbe potuto offrire milioni. Nell'ora del pericolo nessuno lo avrebbe aiutato. Proprio nel momento del bisogno il danaro diventava inutile. Se egli fosse stato un potente, circondato di servi e dipendenti, essi sarebbero stati ora i suoi primi nemici, occupati sol di salvare se stessi. Nel momento decisivo la ricchezza e la potenza, se egli ne avesse avuto, lo avrebbero tradito. Ma egli non era caduto nell'ingenuità di credervi. Victor Hugo, nei primi capitoli dei suoi "Miserabili", a proposito di Napoleone decadente, parla di marescialli traditori, di un senato che lo insultava dopo averlo divinizzato e vergognosamente sputava sull'idolo di una volta. ed era Napoleone. Ma la Legge è una, per grandi e piccoli, in ogni tempo.
Chi tendeva dunque la mano a quell'uomo, ora nella sventura, chi lo seguiva nella sua fuga per gravarsi del suo stesso peso? Forse gli amici, gli ammiratori, gli esaltatori dei tempi sicuri? No, nessuno. Le profumate nuvole d'incenso, come fumo inconsistenti, erano svanite nell'aria. Vanità umane. Egli era solo. Ora, nel momento della prova, egli apprezzava l'immenso vantaggio di non aver creduto alla gloria, come non aveva creduto al potere e alla ricchezza, l'immenso vantaggio di essere allenato a soffrire e a rinunciare, di essere moralmente preparato. Nella sua vita non vi era stato che lavoro, dovere, dolore. Questa la sua bandiera, la sua sfida, la sua forza, la sua vittoria. Egli si era attaccato a valori incrollabili, si era reso indipendente dai colpi del mondo. La sua povertà era la sua ricchezza, la sua nullità era la sua grandezza, la sua innocenza era la sua potenza e salvezza. Solo la vita seria e dura e le severe fatiche della via dell'ascesa non avevano mentito e non lo avevan tradito. Come si trovavano invece ora quanti epicurei e materialisti, avevano riso di lui come di un pazzo? Il loro attaccamento alle cose materiali era ora la causa del loro maggiore dolore. Nell'ora della distruzione egli si trovava invece già attaccato all'indistruttibile. La sua filosofia, e non la loro, resisteva ora nel momento della prova. Che triste spettacolo di avidità, di ferocia, di follia, di disperazione, gli presentava quel mondo che aveva creduto solo nei valori terreni! No. Il cataclisma non coglieva lui, come tanti, alla sprovvista. Al di là di tutti i sogni di grandezza e di vittoria, egli, come aveva già visto che la realtà della vita è dolore, ora vedeva che la realtà della guerra è dolore. E vedeva che un mondo il più demoralizzato e moralmente impreparato al dolore, si trovava ora di fronte ad una tale valanga di sofferenze, quale l'umanità, forse non aveva mai conosciuto. Ora finalmente egli poteva toccare con mano, convalidata e non più smentita dai fatti, quanto fosse profonda la sapienza del superamento, nel disprezzo delle cose umane. Ora egli godeva di un grande vantaggio sui suoi simili, quello di aver capita la vita, di non essere caduto nell'inganno dei suoi miraggi ora in disfacimento, di non aver costruito sulla sabbia, di non aver impiegata la sua fatica e investiti i suoi capitali spirituali in cose effimere. A quanti illusi, egli pensava, cadrà ora la benda dagli occhi nell'assistere al crollo di tutte le proprie costruzioni! Egli aveva dovuto compiere un gran lavoro di concentrazione e macerazione per poter raggiungere un mondo superiore, e ciò da solo, abbandonato e deriso. Il duro cammino della sua maturazione evolutiva era cosparso di lacrime e di sangue. Ma ora quell'uomo, giudicato un imbecille, perché non amico del disonesto arriismo che porta al rapido successo, si trovava nella rara posizione di aver raggiunto un mondo superiore e di potervi trovare scampo, quella salvezza ad altri negata, e di potervi mettere in salvo, intangibili lassù ove la guerra non arriva, i suoi tesori.

Egli da tempo aveva imparato a non credere più nel mondo e a saper essere solo. Ma se tale sembrava, solo non era ed egli lo sapeva. Non si può esser soli nel nostro universo. Mai. L'ignoranza dell'ateo, la potenza negatrice del male, la ribellione di Satana all'ordine che tutto regge, non possono distruggere Dio che continua ad esistere ed operare al di là delle loro negazioni e al di sopra dei loro assalti. Accanto a quell'uomo era Dio. Certo si tratta di un imponderabile che sfugge ai sensi grossolani dell'involuto, ma che non è meno reale per questo. Accanto, attorno a quell'uomo turbinava solenne e immenso il ritmo delle leggi della vita, intelligenti, potenti, attive. Quell'uomo solitario era immerso in questa divina atmosfera, quell'uomo apparentemente abbandonato, era vicino a Dio, meno solitario e meno abbandonato di tanti grandi, acclamati idoli delle folle. L'imponderabile non gli volgeva le spalle come fa a questi talvolta, ma gli apriva le braccia. Accanto a quell'uomo era il suo passato, erano le sue opere, poiché le nostre opere ci seguono. Poiché la sostanza della Legge di Dio è la prima giustizia che forza, e non prima forza che giustizia, come avviene nell'inferiore mondo umano. Nell'ora del destino in cui crollava l'impalcatura sociale e i suoi valori si rovesciavano, la sua nullità umana che egli aveva tanto amato, era ora la sua difesa. In primo luogo perché una nullità sfugge meglio alle tempeste, non offrendo superficie di resistenza, poi perché essa è, come ogni povertà, un principio di innocenza, un credito di fronte alla legge di equilibrio, un diritto di fronte alla divina giustizia. Egli, prima che l'astuzia o i mezzi materiali o l'aiuto umano, aveva cercato in sé, a sua difesa, la propria innocenza. A preferenza di tutti gli accorgimenti umani, questo gli era sembrato il più potente. Egli aveva cercato la forza in Dio e la risposta nella coscienza. E la propria innocenza, in silenzio, egli aveva gridata all'universo. Grido di anima, tragico e profondo, che non può mentire. E l'universo, retto da Dio, cioè da giustizia, non aveva potuto non rispondere, perché non rispondere sarebbe stato negare se stesso. Egli aveva invocato l'aiuto delle forze attive nel suo piano spirituale, generalmente, nel piano materiale terreno, paralizzate e rese assenti dalla male usata libertà umana. Allora egli si sentì fortificato, alzò lo sguardo e con occhio tranquillo affrontò l'avvenire. Egli era al posto del suo dovere. Ciò bastava. Questa constatazione infuse un senso di pace alla sua coscienza e lo colmò  interiormente di nuova energia. L'orizzonte tetro tornò limpido ed egli vide chiaramente. La guerra, bufera umana, non lo riguardava. Quel dolore faceva parte del destino di tanti altri, non del suo. Quelle armi non lo potevano uccidere. Egli comprese allora il senso delle parole della voce: "Fuggi, ma ovunque tu vada, sarai salvo". La Legge di Dio vuole che le nostre pene non possano essere figlie che delle nostre colpe e non del malvolere o prepotenza altrui, e che il nostro destino non possa essere fatto che da noi e solo da noi. La grandezza e giustizia di questa legge colpì quell'uomo in quel tragico momento con una evidenza così viva, che il suo terrore si mutò in fiducia e in preghiera e in mezzo alla dura prova egli cadde in ginocchio per ringraziare il Padre che è nei cieli, che tanto è pronto ad amarci e provvederci, appena la nostra libera volontà glielo permetta.

Abbiamo osservato in un momento critico, ponendoci di fronte la più realistica realtà della vita, il rovesciamento evangelico dei valori della terra nei valori del cielo e siamo giunti al risultato pratico, addirittura utilitario, i una invulnerabilità e salvezza nel superamento del dolore. Tale modo di procedere può apparire incomprensibile al normale tipo umano di oggi che, essendo spesso spiritualmente involuto, mette in moto altre leggi ed altre forze, non sapendo raggiungere quello che qui vediamo in azione. E' necessaria poi una condizione: l'innocenza, perché solo questa permette la limpida visione perché solo chi la possiede può invocarla dinanzi a Dio. Non si tratta di una innocenza universale e assoluta, che nessun uomo può, in quanto è in terra, possedere. Se l'avesse raggiunta, sarebbe ben lontano da tale luogo di pena. Ma si tratta di una innocenza particolare, relativa a date colpe e rispettive prove. Più che tali, le innocenze umane non possono essere, per quanto siamo più o meno estese. Chi è innocente di fronte ad un fatto, chi di fronte ad un altro e similmente per la colpa. Per questo i destini sono così differenti e ognuno di essi batte inesorabilmente il suo chiodo. Il destino di quell'uomo non conteneva reazioni di violenza e di sangue, egli era quindi immune da quel lato in cui altri erano invece vulnerabili; era quindi esente da prove che gli altri dovevano subire. Egli era invece esposto a prove spirituali di lenta macerazione e smaterializzazione, che gli altri non potevano nemmeno immaginare, a lunghissime agonie, alla violenza delle tempeste psichiche, all'urto con le forze dell'imponderabile che i più non conoscono affatto. Egli, conscio del suo destino, del suo passato e futuro, comprese che la guerra non lo riguardava e che nessun uomo o proiettile poteva colpirlo, se non là dove le leggi della vita, applicate al suo caso particolare, potevano permettere.
In genere nella difesa della vita e nella lotta per vincere, l'intelligenza umana non va oltre le cause ed eventi prossimi. In genere le verità umane sono relative al tempo e al luogo, sono verità di interesse e di parte. Si tratta di verità particolari al singolo o al gruppo e che quindi mutano e passano. Noi qui cerchiamo la verità vera, che non può essere relativa e partigiana, ma che è universale, comprende tutti, è al di sopra del caso individuale e dell'interesse di parte. Oltre la verità di superficie, noi cerchiamo la verità profonda che non è una opinione, che è oltre il tempo e il luogo, e resta, che comprende tutti e vale per tutti, forti e deboli, grandi ed umili, vincitori e vinti, poiché nei meravigliosi equilibri della Legge di Dio e nel funzionamento organico dell'universo, ogni essere ha il suo posto e ragione di esistere. Per chi ha compresa questa verità, cambia completamente la concezione delle cose. Chi ha compreso che la forza umana non può fermare l'azione delle forze cosmiche se non momentaneamente e a proprio rischio e danno, non dice più: "Guai ai deboli e ai vinti", ma dice: "Guai ai colpevoli, anche se vincitori". Quel che conta a lungo andare, è la posizione morale più della materiale. Per non dover pagare, conta l'innocenza e non la forza, che potrà al massimo dilazionare, ma mai sopprimere la reazione punitiva della legge di giustizia. L'avvenire, per legge di evoluzione, va verso il regno di Dio ed esso appartiene ai giusti. La potenza militare, la superiorità tecnica, l'oro e l'astuzia, non possono distruggere la Legge di Dio che è dentro le cose. Chi crede che con un grande esercito, grandi mezzi e organizzazione, e con una ferrea tenacia, la forza basti per vincere, non ha capito che, nel funzionamento delle leggi della vita, appunto tale base di forza, di sopraffazione violenta come nella guerra, forma il punto debole del sistema che, appunto in tale sua natura, contiene il germe dell'autodistruzione. Allora il colosso dai piedi di creta crolla, chiunque esso sia; il fatto si verifica per chiunque si trovi ad applicare queste leggi, per chiunque si ponga in tali condizioni. Con ciò non si espone una opinione, ma semplicemente si constatano alcune leggi della vita. L'enunciato evangelico: "Chi usa la spada, perirà di spada", esprime una razionale ed inviolabile legge biologica. Qui non si è fatto altro che estendere a più vasto campo, sempre di fronte alla guerra, il suesposto principio dell'innocenza. Di fronte allo scompigliato agitarsi dell'attività umana, è la saggezza di queste intime leggi, poste alle radici degli eventi, che regge le cose, per cui a lungo andare la più grande forza, quella che all'ultimo vince, è la giustizia. Le eccezioni sono deviazioni momentanee, minori concessioni alla libertà umana che, per imparare, pur deve esperimentare nell'errore ma che vengono presto o tardi rettificate e riconquistate per le dure vie del dolore. Perché l'uomo impari, la Legge si lascia per un momento frodare, ma poi tutto si riprende dagli illusi debitori, essendo essa la sola padrona della vita. Si spiegano così le oscillazioni della storia. Abbiamo con ciò nel presente capitolo portato i concetti, in principio svolti nello studio della legge del merito, a nuovi ampliamenti ed applicazioni. 



Pietro Ubaldi, La nuova civiltà del terzo millennio. Verso la Nuova era dello Spirito, ed. Mediterranee, Roma, 1988, pp. 196 - 202.