domenica 4 ottobre 2020

TESTAMENTO SPIRITUALE DI FRANCESCO di ASSISI


TESTAMENTO SPIRITUALE 
DI FRANCESCO di ASSISI
  



Nonostante i dotti della Chiesa, i bigotti clericali, il CICAP, i teologi impudenti e chissà quanti blogger saccenti già si sperticheranno in astrusi commenti e tesi per ribadirne e denunciarne la falsità, io preferisco gioire per questo messaggio che ci viene alle mani proprio in questi ultimi tempi (in rete già dal 2009), lasciato, a quanto pare, da Francesco (quello vero!) all'amatissima sorella Chiara, tramite la consegna a mano di Rufino, uno dei suoi primi compagni.

Per questo motivo mi piace pensare a questa lettera come al vero testamento spirituale di Francesco; l'ultimo scritto di un uomo tormentato, mai compreso, a partire dai suoi stessi frati, che la Chiesa ha voluto sin da subito addomesticare, facendosi complice di quella corrente assai più moderata tra i suoi seguaci che ancor oggi è quella che detiene il governo e la custodia della Basilica di Assisi e di Santa Maria degli Angeli, il mastodontico e monumentale tempio che nasconde, offende e occulta la semplice manifattura della Porziuncola, come a voler eclissare per sempre lo stretto rigore dell'autentico spirito del fondatore.
...Non che gli altri, i cosiddetti "frati Minori", investiti da scandali e da ammanchi milionari dalle casse dell'Ordine, custodi in Terra Santa, dell'Eremo delle Carceri ad Assisi e dell'eremo-santuario della Verna in Casentino, possano considerarsi i più puri seguaci del loro Padre Santo; per non parlare dei "Cappuccini", nati nel XVI secolo proprio per riportare la famiglia francescana all'antico rigore delle origini che, trascinati anch'essi dal secolare richiamo del consumismo da ventesimo secolo, hanno usato il loro santo padre Pio per fare business e marchette.

Forse che Francesco avesse visto tutto, poco prima di lasciare le spoglie mortali e avesse finalmente compreso e dato pace a se stesso e così posto fine a tutti i suoi dubbi, ai suoi scrupoli nei confronti degli stessi a cui aveva chiesto tanto sprezzo del corpo e dei beni materiali, nei confronti di sé medesimo, per aver così tanto oltraggiato "messer frate corpo", in anni di rinuncia e di sacrifici...?!   

Mi piace quindi pensare ad un Francesco più vicino alla Deità dopo quella lettera, di quanto lui stesso avesse già pensato di essere, nonostante le privazioni e le tribolazioni così a lungo sopportate, nel nome di quel Dio che in realtà non gli aveva chiesto di immolarsi per Lui, poiché già lo amava, come ama tutti i suoi figli, a prescindere... 

Mi piace pensare ad un Francesco più vicino all'umanità, non più così tremendamente separato dalla gioia di poter godere di un corpo, di poter esperire la presenza di Dio senza più necessità di Pastori che chiedono lacrime e sangue al loro gregge, nel nome di un Dio che vorrebbero cinico, prepotente e permaloso come loro. 

Mi piace pensare ad un Francesco - quello vero - che riconosce e comprende che nessun riscatto o sacrificio ha rappresentato la vita di Cristo per noi, che il Regno è dentro di noi e che soltanto noi possiamo salvarci, se solo seguiamo le regole auree che Lui semplicemente è venuto a ricordarci; che è sufficiente uscire dall'oblio e dall'ignoranza e occuparsi semplicemente di amare: amare la vita, in tutte le sue forme, senza più percepire separazione e riconoscendo alla fine l'Unità tra tutte le cose, tra tutti gli esseri viventi e Dio!
Vi lascio dunque alle sue parole, a quelle che vogliamo credere abbiano rappresentato davvero i suoi ultimi minuti di Gloria su questa Terra, che lui così tanto amava.

Dinaweh




"Quando Francesco morì, frate Rufino consegnò a Chiara, che restò con il santo fino all'ultimo, la sua bisaccia. Quando Chiara l'aprì, all'interno c'era la sua ciotola di legno, il suo cucchiaio, alcuni semi, una penna, un piccolo vaso d'inchiostro e poi una pergamena più volte ripiegata, tutta accartocciata. Con le mani che le tremavano Chiara dispiegò la pergamena e decifrò le goffe lettere che Francesco aveva faticosamente vergato negli ultimi istanti della sua vita... e non poté mai più dimenticarne il contenuto!"

All'anima che sa leggere nella mia,
e che ne comprende le gioie e i dolori,
voglio confidare queste parole:
all'alba della mia dipartita,
al crepuscolo del sentiero che ho scelto,
posso finalmente affermare,
completamente in pace,
che la nostra ferita, in questo mondo,
non sta né nella ricchezza, né nella povertà,
ma nella nostra dipendenza
da uno di questi due strati,
nel fatto di immaginare che l'uno o l'altro
possano offrirci gioia e libertà.
Sta anche nel fatto di essere convinti 
che l'Altissimo Signore
abbia bisogno delle sofferenze di noi creature,
per aprirci la porta della sua luce.
La nostra ferita, infine, è il convincimento
che Egli abbia bisogno di sacrificarSi
sotto forma di Suo Figlio,
o sotto forma umana
al fine di salvarci.

Chi mai, tranne noi stessi,
per mezzo della purezza del cuore,
potrà salvarci?
In verità il Buon Signore mi ha mostrato
che non vi era alcun riscatto,
alcun sacrificio da perpetuare.
Mi ha insegnato, in silenzio, 
che sarebbe bastato uscire dall'ignoranza,
dall'oblio e amare.
Amare la vita in ogni forma
e con tutti i mezzi che la rendono bella,
amare la sua Unità in ogni cosa e in ogni essere.

Possa tutto questo venir detto, un giorno,
tanto alle donne come agli uomini;
possa venir detto e insegnato 
meglio di quanto io abbia saputo fare,
senza nulla respingere
dell'Acqua né del Fuoco.

Il mio augurio è che non ci siano più 
né Chiese, né preti, né monaci,
niente di tutto questo:
che vi sia soltanto l'Altissimo e noi,
perché sta ad ognuno incontrarlo in se stesso...
Ora che il velo si squarcia,
 voglio andarmene nudo
come sono venuto al mondo.
E non parlo della nascita del mio corpo,
ma della vera nascita della mia anima,
del giorno in cui ha trovato il coraggio
di scendere più a fondo nella carne
per offrirsi all'Eterno,
così in Alto, così in Basso.




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