lunedì 29 gennaio 2018

TORNARE ALLA MADRE


TORNARE ALLA MADRE 


Dinaweh



"Tornare alla Madre per ritrovare se stessi" può sembrare uno slogan buttato lì, mentre rappresenta per l'uomo d'oggi l'unica strada percorribile ad evitare la catastrofe finale. Nel ritorno alle proprie radici infatti è possibile evitare il collasso totale di una civiltà 'remota', cioè staccata e disconnessa dall'origine biologica che le aveva permesso di crescere e di svilupparsi in modo armonico e funzionale alla propria sopravvivenza. Le popolazioni dei nativi conoscevano molto bene l'importanza e il nesso imprescindibile tra la comunità  degli uomini e la natura che quella comunità conteneva, ospitava e nutriva. L'allontanamento dalla terra, dagli odori, dai sapori e dai colori della natura ha prodotto una civiltà asettica, artificiale e completamente avulsa dal proprio benevolo contenitore, slegata da quel contatto originale, fotocopia di una fotocopia di una realtà senza radici; riproducibile in ogni contesto geografico, sempre uguale a se stessa, modello unico, frutto del calcolo delle convenienze a brevissima scadenza, utile e funzionale alla propria infinita riproducibilità per tutte le latitudini e  in ogni contesto planetario.
Quale nutrimento potrà mai scaturire da una siffatta interpretazione del mondo, se non quello di riprodurre automi che rigurgitano beni di consumo il più possibile scadenti, per meglio controllarli e concedere loro alcun spazio di manovra, almeno a quelli che volessero invertire la rotta?!

Tuttavia, in questi ultimi anni è prepotente il desiderio di cambiare rotta e molti di noi si stanno voltando nella direzione opposta al cammino consueto, quello della schiavitù in nome di uno stipendio, peraltro non sempre garantito, o della disoccupazione ad oltranza, per incamminarsi verso una meta antica, abbandonata tanto tempo fa dai nostri progenitori: la terra! Non più vista o percepita come mezzo di sostentamento individuale o familiare, paragonabile a cento altri "lavori" e sottopagata, la terra la si riscopre come fondamento di una nuova cultura, di un nuovo modo di essere e di stare insieme al mondo; un modo di essere condiviso, ove, proprio come in natura, tutte le forze collaborano in sinergia tra di loro, salvaguardando se stesse dall'alienazione dell'individualismo esasperato delle città e dei telefonini...


La scoperta dell'altro

Orti sinergici e permacultura diventano il modo attraverso il quale ogni individuo sia sempre meno individuo e diventa persona; stare insieme e costruire un nuovo modello di socialità condivisa imparando dai moti e dalle stagioni della terra... 
Perciò sarebbe riduttivo parlare di una nuova forma di agricoltura, se non si concepisse quella come uno degli ingredienti necessari al raggiungimento della felicità condivisa e della salvaguardia della specie! 
Significa piuttosto percepire la terra e l'altro come gli elementi costitutivi e imprescindibili al raggiungimento di quell'equilibrio sociale ed esistenziale smarrito per strada, nel corso dell'evoluzione-involuzione dell'homo technologicus
Scoprire la sinergia e l'unità degli elementi che costituiscono il fondamento della vita: l'uomo abbracciato alla terra, da cui non può prescindere e dalla quale può comprendere se stesso e il mondo. Osservarla laddove essa vive e lascia traccia di sé significa emularla nel suo processo di auto-fertilità permanente, nel suo essere capace di riprodurre se stessa secondo cicli e stagioni che segnano lo sviluppo, la crescita o l'arresto dei suoi cicli riproduttivi. Accorgersi di come le piante da cui traiamo il sostentamento siano tutte in sinergia tra di loro, di come lo siano con i batteri e lo stesso suolo che li ospita.
Significa accorgersi che l'unione delle forze riesce ad ottenere molto di più della somma dello sforzo di ognuno; significa rispettarne la sua costituzione e la sua massa per come si presenta, senza per questo girarla con la vanga o con l'aratro; accorgersi che in natura essa è sempre coperta e che non si presenta mai nuda; nel bosco dalle foglie secche e dai rami, dal residuo degli animali, nel prato dall'erba verde o da quella secca. Significa scoprire che ha un suo tessuto e che se vogliamo ricavarne buoni frutti non ha necessità di essere compressa, poiché come noi respira ed ha bisogno di aria per permetterle di dar vita all'attività batterica che sta alla base della vita. Significa scoprire che non ha bisogno di alcun concime, sia esso chimico che organico, proprio come un piccolo d'uomo al quale non bisogna in-seminare nulla di ciò che già non sia presente in lui, ma semmai trar fuori da lui ogni potenzialità nascosta e disvelarla.
La terra infatti se è ben trattata, se è ricca di specie diverse, non viene calpestata, è lasciata coperta, non viene rivoltata come un calzino, è capace di migliorare di anno in anno ed è quello che fa da miliardi di anni, senza che l'uomo operi alcun intervento che non vada nella stessa direzione della natura. Ci accorgeremmo che in modo analogo tutto questo vale anche per l'uomo, il quale se non è schiacciato, non viene represso, annullato, stravolto nella sua vera essenza, può dare il meglio di sé, soprattutto se, come le piante di un orto sinergico, egli sa stare in compagnia e vive in condivisione con i suoi simili.
Le consociazioni tra le piante sono molto importanti, poiché rappresentano un arricchimento e non un impoverimento del suolo. Allo stesso modo l'uomo scopre che la biodiversità in natura funziona anche con i propri simili e che la diversità rappresenta una ricchezza, un valore aggiunto, soprattutto quando è accettata e condivisa.
Nella terra la biodiversità crea l'armonia; cessano le malattie e si evitano le epidemie, poiché le piante, messe insieme, diventano un organismo molto più forte, utilizzano i diversi batteri a loro vantaggio, sono attaccate da parassiti diversi e tra gli insetti che attirano, molte volte ci sono gli insetti predatori dei parassiti, quindi si crea un'armonia, tutto può armonicamente coesistere; tutto rientra nel gioco della vita e tutto fa parte della creazione. 
Alla fine non possiamo che affermare con Masanobu Fukuoka, l'iniziatore dell'agricoltura naturale, che il vero scopo dell'agricoltura non è quello di produrre dei raccolti, ma di coltivare e migliorare l'uomo.





   

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