domenica 10 luglio 2016

ECOSOFIA. La saggezza della Terra


ECOSOFIA


La saggezza della Terra
 Raimon Panikkar


Parte prima

L'ECOSOFIA,
O IL RAPPORTO COSMOTEANDRICO
CON LA NATURA

Con il termine "ecosofia" non intendo una ecologia rivista e corretta, o più raffinata. La Rivoluzione industriale aveva un'idea (logos) molto chiara del mondo, habitat (hoikos) dell'umanità, e intendeva utilizzare la Terra nel miglio modo possibile, ossia al servizio dell'Uomo, "re del creato e signore della Terra". E, a grandi linee, l'attuale ecologia non ha affatto rinunciato a questa idea. L'ha solo modificata un po', sulla scia dell'amara scoperta che, se vogliamo continuare a beneficiare della Terra, dobbiamo trattarla meglio, con più gentilezza, in modo che possa continuare ancora a lungo a offrirci i suoi frutti.
"Ecosofia", viceversa, è una parola nuova per esprimere una antica saggezza. Esprime la tradizionalissima consapevolezza che la Terra è u che di vivente, tanto nelle sue parti quanto nell'insieme. La questione, qui, non riguarda solo la liceità o meno di uccidere gli animali in quanto "utili" al sostentamento umano. Qui al centro del dibattito è il nostro modo complessivo di rapportarci con la materia e il mondo fisico-sensibile, i cui nomi (physis, natura, bhumi) rivelano già nella loro etimologia che il nostro mondo procrea, è qualcosa di vivo. "Ecosofia" significa saggezza della Terra. La terra non è una mera fornitrice di materie prime per l'umanità; è ben più del palcoscenico o dell'habitat dell'Uomo. E' il corpo esterno dell'Uomo stesso, il suo spazio vitale, la sua casa. Ancor di più: è uno dei tre elementi costitutivi della intera Realtà (cosmoteandrica), insieme all'Uomo e alla Divinità.
"Ecosofia" indica la saggezza di chi sa ascoltare la Terra e agire di conseguenza. L'homo technologicus non ha forse perduto il contatto con i ritmi della Natura? La tecnocrazia non ha forse imposto il proprio ordine al corpo, alla mente, alla società? Un ordine artificiale che, a dir poco, non ha più nulla a che vedere con quello dei ritmi naturali - con il rta, dharma, taxis, ordo delle antiche tradizioni. Dobbiamo riscoprire i ritmi della Vita, che in ultima analisi sono quelli dell'Essere.
Tenterò ora di formulare e sviluppare nove tesi da un punto di vista interculturale. La cultura è il mythos complessivo che fornisce l'orizzonte entro cui, e da cui, noi sperimentiamo la realtà. Ogni cultura tuttavia è particolare; perciò ogni discorso sulla Terra (cioè sulla Natura) deve diventare un discorso interculturale.

1. La crisi attuale riflette il venir meno
dei nostri enunciati culturali di fondo


Non offrono il fondamento alla vita umana, né sanno tenere insieme l'umanità. Non si tratta affatto, semplicemente, di una crisi dei principi filosofici o della ragione. Piuttosto, la crisi dipende dal fatto che il mondo, l'umanità, non ha più come collante tre "enunciati" che erano rimasti in vigore per almeno sei millenni. Di che cosa si tratta? Fino a tempi recenti, tutte le civiltà vivevano in un mondo su tre livelli:

a) il mondo degli Dèi: bisognava sapere come trattarli, e saper distinguere quali fossero pericolosi e quali fossero pericolosi e quali no (sacrificio, obbedienza, adorazione);

b) il mondo dell'Uomo: trattare con i propri simili e in particolare con i potenti, richiedeva una vera e propria arte. Gran parte dell'istruzione consisteva nell'imparare a gestire i rapporti interpersonali (grammatica, retorica, logica, ecc.);

c) il mondo della Natura da vivere, da conoscere, da utilizzare (aritmetica, geometria, astronomia, musica, ecc.).

Tre mondi che oggigiorno quasi sono svaniti. Al massimo, compaiono come elementi di altri sistemi. Ecco perché gli enunciati fondamentali di base sono sprofondati nella crisi attuale. Abbiamo posto le premesse per un quarto mondo, un mondo che non offre basi né fondamenti, un mondo sempre più artificiale. Viviamo in un quarto mondo dominato da mega-macchine costruite da noi... ma stiamo - forse - cominciando ad accorgerci che la nostra creatura si è resa indipendente da noi e adesso ci detta le regole. Una pressione psicologica superiore a quella che veniva esercitata dagli Dèi, dal re e perfino dalla Natura.
Mi preme però sottolineare questo: la crisi ecologica costituisce una rivelazione. Se non la si percepisce come rivelazione, allora non la si percepisce in modo abbastanza serio e profondo. Chiaramente, non si tratta di una teofania: a rivelarsi non è un nuovo Dio. E neppure una antropofania come avvenne durante l'Iluminismo, che ci ha offerto una nuova immagine dell'Uomo. Quindi siamo di fronte a una cosmofania: il cosmo, finora silenzioso, adesso lancia grida di allarme e parla. E' la Rivelazione dei nostri tempi, e dè una rivelazione di precarietà. Non si tratta di far nascere una religione ecologica, ma è la religione che deve diventare ecologica. Una distinzione fondamentale.

2. Solo una trasformazione potrà salvarci



Qualche piccola modifica dei parametri attuali non ci condurrà certo fuori dal vicolo cieco; né una semplice riforma, che non farebbe altro che prolungare l'agonia di un sistema condannato a morte. E neppure una rivoluzione, perché distorsioni e violenze producono solo reazioni uguali e contrarie. Il che implica sperimentare il proprio Sé e la Natura in maniera trasformata, non semplicemente interpretare la Natura in qualche modo nuovo. Il problema non è ecologico, né economico, né politico. Il problema include tutti questi aspetti, ma la nostra crisi è ben più profonda di una crisi risolvibile soltanto con le nuove tecnologie, o adottando nuove misure, per quanto importanti. 
In radice, questa crisi è questione di vita o di morte per l'umanità. Ciò la rende un fenomeno religioso, metafisico. Per riconoscerlo, tuttavia, abbiamo bisogno di tranquillità (cioè serenità), empatia (cioè impegno), distanza (cioè interculturalità), "contempl-azione" (cioè sintesi di pratica e teoria). Solo una metamorfosi potrà salvarci.

3. Tale trasformazione è l'esperienza cosmoteandrica



Vale a dire che la Realtà è trinitaria. anzitutto è divina; uso l'aggettivo "divina" come sinonimo di "libera, infinita", nel senso del "mistero", ossia qualcosa che non è suscettibile di manipolazione né permeabile all'intelletto. altra dimensione è quella umana: considero come caratteristica specifica dell'Uomo l'intelligenza in senso globale, in tutta la sua ampiezza e saggezza. Infine cosmica, cioè materiale.
La Realtà non è solo divina, né solo umana, né solo materiale. Di conseguenza non è teo-centrica, né antropo-centrica, né cosmo-centrica. ecco perché né il monoteismo, né l'umanesimo, né il materialismo rappresentano la risposta esaustiva alla attuale crisi. Negli ultimi seimila anni abbiamo tesaurizzato sufficiente esperienza in tutte queste possibili dimensioni del reale; ora si esige una nuova prospettiva globale sulla realtà, una prospettiva che non trascuri alcuna di tali dimensioni. C'è necessità di una nuova, diversa unificazione che garantisca sia una unità indivisa, sia la molteplicità differenziata di ciascun essere. Grazia a una intuizione cosmoteandrica, la realtà si lascia leggere come un testo in cui si intreccino le tre dimensioni, cosmica, divina e umana. Questa intuizione unifica tutte le energie dell'universo, da quella elettromagnetica, attraverso quella umana-personale, fino a quella divina. La visione cosmoteandrica richiede la scoperta in profondità di uno stile dii vita non orientato primariamente o esclusivamente al futuro, ma aperto all'esperienza mistica che vive totalmente nel presente.

4. La Natura reale non è un oggetto



La Natura non è un oggetto a disposizione dell'Uomo. La Natura come oggetto del pensiero non può essere altro che una astrazione, una costruzione mentale; non coincide con la Natura reale. Il pensiero basato su soggetto/oggetto ha senz'altro la sua necessità e validità, ma non è - di per sé - quello metodologicamente più adatto per la conoscenza della Natura. Se con scienza si intende quella oggettiva, allora a rigore non può esistere una scienza naturale, am solo una scienza che studia il comportamento di processi osservabili.
Il pensiero oggi dominante è comunque condizionato dalla cosiddetta scienza naturale. A determinare il genio e la grandezza della civiltà occidentale fin dall'epoca dei Greci è la capacità classificatoria. Basta prendere un qualunque manuale scientifico o sociologico per trovarvi sfilze di suddivisioni e tabelle; tolta la classificazione, resta solo il caos.

[...] Io, essere umano che opera la classificazione, non posso essere costretto al suo interno. Se poi si vuole classificare l'Uomo a tutti i costi, allora vanno perdute la sua umanità e la sua dignità, ciò che l'Uomo è realmente. Se mi lascio incasellare in una classificazione, che fine fanno la mia dignità, la mia autocoscienza, la mia libertà? Ognuno di noi è inclassificabile! Ogni singolo pezzo di noi può essere classificato: il DNA, il sangue, qualunque cosa, a eccezione del nucleo costituito da ciò che io sono. All'interno di un sistema classificatorio, l'Uomo reale svanisce. Un oggetto del pensiero è soltanto una astrazione; un oggetto del volere è solo una proiezione psicologica. 
Gli ecologisti non vorranno certo addomesticare la Natura con il pensiero, proprio come i tecnocrati che tentano di sfruttarla? Questo è un atteggiamento che, polemicamente, ho definito "epistemologia da caccia": tu devi identificarti con il soggetto e tutto il resto diventa oggetto. Devi condurre un'analisi il più accurata possibile, e poi metterti in caccia di un determinato bersaglio. Una volta trovatolo, puoi premere il grilletto, aprire il fuoco e fare centro. dopodiché potrai trarre le tue conclusioni - e magari lamentarti della violenza diffusa.
In generale, ci viene insegnato a usare la ragione come se fosse un'arma; per dimostrare di essere nel giusto, per convincere gli altri, per dominarli. Forse proprio questa funzione della ragione come arma sta alla base di tutto ciò che ci danneggia e ci affligge. L'autentica natura della razionalità non consiste nel procurare la vittoria. E' importante fare attenzione al potere corrosivo del pensiero astratto. Se pensi a qualche cosa, se la elabori sempre più a fondo con il pensiero, quella cosa scompare. Il modello di pensiero soggetto/oggetto non è affidabile per risolvere il problema del nostro rapporto con la Natura. 

5. Le categorie della scienza naturale
sono inadeguate per rapportarsi alla Natura



Sono categorie utili a molti scopi . io non sono affatto contrario alle scienze naturali: hanno il loro ruolo. Ma non qui, perché le categorie della scienza naturale sono inadeguate per una autentica conoscenza della Natura, dove per "conoscenza" si intende molto più che un sapere relativo ai vari comportamenti di processi osservabili.
La moderna scienza naturale non sa fare che concepire la Natura come un che di oggettivo e misurabile. In definitiva, presuppone un'immagine meccanicistica del mondo. E' un atteggiamento mono-culturale che può universalizzarsi solo sbarazzandosi di tutte le altre culture. Può darsi che sarà questo il destino del nostro pianeta, ma intanto questa scienza naturale non è né universalmente accettata, né universale. Appartiene intrinsecamente a una determinata cultura, che senz'altro contiene la sua parte di verità. Se però tolleriamo le altre culture solo per motivi sentimentali, allora tanto vale chiuderle tutte in un museo e lasciarle estinguere.
La cultura non è il folklore. Ogni cultura possiede la sua unicità specifica, ed è un tutto in cui trovano posto la politica, la religione, l'economia. 
La scienza naturale riesce a predire il comportamento della Natura solo in quanto ha eseguito misurazioni su di essa, derivandone schemi di comportamento.
[...].

6. Conoscere la Natura significa diventare consapevoli
della nostra co-appartenenza cosmoteandrica 


L'autentica conoscenza esige la trasformazione del conoscente nel conosciuto. L'autentica conoscenza è impossibile senza amore.
La natura umana è culturale; e la conoscenza è il modo tipicamente umano di essere naturali, cioè di realizzarci. Lo scopo è essere Natura; non è dominare la Natura, bensì trasformarci in essa. In francese, connaissance = naitre ensemble (conoscenza come "nascere insieme").
Proprio nella Frankfurter Allegemeine Zeitung c'è un inserto pubblicitario che proclama: "Non siamo costretti ad amare il nucleare". ecco il problema! Ci si prospetta di vivere insieme a qualcosa che non amiamo. Questo è il nostro destino odierno: dover vivere con molte cose che non sentiamo di amare. (Anche il fuoco è pericoloso, ma lo amiamo, è degno di amore).
Non è questione di vagheggiare un'idea romantica della Natura. Proprio no. E neppure dii vedere noi stessi come esseri puramente naturali, indifferenziati, perché la natura umana è appunto cultura, il che implica "coltivazione". Coltivare significa prendersi cura, rendere più bello, portare alla perfezione, non tramite il possesso e il dominio, ma attraverso una amorosa plasmazione dell'Opera dell Creatore e custodendola nell'atto stesso di plasmarla. si tratta di un atteggiamento del tutto diverso.

7. L'arte (techne) di prendersi cura della Natura
si chiama Ecosofia


"Ecosofia"non nel senso del nostro know-how riguardo alla Terra o alla materia, ma nel senso del genitivo soggettivo: la saggezza della Terra stessa, una saggezza che dobbiamo riconoscere e fare nostra. E' questa la simbiosi con la Natura, in cui ognuno ritrova il proprio ruolo.
Ma noi viviamo ormai in uno stato di guerra con la Natura, contro la Natura, e in passato credendoci pure i vincitori:maitres et posseseurs de la nature (maestri e padroni della Natura, secondo Descartes); "disseccare la natura", cioè sezionarla (come diceva Galileo). Nel frattempo stiamo cominciando ad accorgerci di essere gli sconfitti. Qualche anno fa si tenne ad Assisi un simposio sul tema "La Terra non può aspettare"; il mio intervento si intitolava "La Terra può; gli uomini non possono". L'ecologia nel senso usuale del termine è un senplice armistizio: trattare la Natura un pochino meglio, così che continui ancora a lungo a servirci e beneficiarci. Ma questo non basta. 
Riconoscere la saggezza della Natura è opera naturale dell'Uomo. L'Uomo in teoria costituisce precisamente la parte sapiente della Natura. Quindi, niente fantasie romantiche. Se siamo ciò che siamo, siamo i sapienti della Natura; a patto che non tentiamo di violentarla e di ridurla a oggetto. Noi veniamo dalla Natura, viviamo immersi in essa, ci troviamo con essa e anche al di sopra di essa, perché non siamo solo Natura. Siamo i sapienti della Natura, in grado di conoscere tutto ciò che in essa si svolge e di instaurare con essa una simbiosi che rende possibile la vita di noi tutti.

8. La Natura è il nostro terzo corpo



Il mio primo corpo è quello che ho sotto gli occhi. Il secondo è l'umanità (Corpus Christi, dharmakaya, buddhakaya, il corpo del genere umano). E' una intuizione potete di quasi tutti i popoli, quella secondo cui l'umanità è una famiglia, costituisce un solo corpo e quel corpo è vivo. Il nostro terzo corpo è la Terra, la Natura. Noi siamo la Terra, non ci limitiamo a viverci sopra a nostro uso e consumo. dobbiamo quindi trattare la Natura come facciamo con il nostro primo corpo: senza dominarla né farcene dominare. Con amicizia, fiducia reciproca, equilibrio. Per cui un testo delle Upanisad  afferma: "Colui che vive sulla terra ma distinto dalla terra, colui che la terra non conosce, colui il cui corpo è terra e muove la terra dall'interno, quello è il tuo atman, che agisce (guida) internamente, l'immortale". 
Un'intuizione antica 3.500 anni; e potrei citare tante altre tradizioni di questo tipo. Tutte miranti a una trasformazione. Noi siamo terra (prthivi), essa è il nostro corpo (sarira) e noi siamo ancora di più: la sua anima.

9. Per quanto inizialmente dolorosa, l'"emancipazione" 
dalla tecnocrazia è il compito liberante del nostro tempo



Il compito è tanto politico quanto spirituale: una liberazione dal tecnocentrismo, in modo da diventare veramente liberi. La prospettiva cosmoteandrica prospetta questo nuovo atteggiamento di base, in vista di una coesistenza pacifica in e con questo mondo. Allo scopo, ecco alcuni punti di approccio:

1) La liberazione dell'uomo dalla camicia di forza della tecnocrazia può avvenire attraverso l'arte, la itechne, non la macchina. In generale, oggi i nostri mezzi di emancipazione sono rappresentati da strumenti meccanici; ma l'emancipazione dell'umanità avviene tramite l'umanità, non tramite la macchina. desidero sottolinearlo in maniera esplicita: io non sono affatto contrario alle strumentazioni (tecnologia di primo grado) che, per così dire, costituiscono delle appendici dell'Umano. Anzi, dove sono finiti i veri "ingegneri", in grado di inventare tecniche che estendano - non sopprimino - l'Uomo e l'Umano?

2) E' fondamentale la distinzione tra opera (attività) e lavoro, tra labour e  work. Il lavoro implica una prestazione di energie e talenti per un compito che non ci riguarda direttamente e in cambio del quale otteniamo del denaro, ossia una cosa che può essere scambiata con qualsiasi altra cosa. In una società che pensa di sviluppare le potenzialità creative umane in questo modo, non c'è poi da stupirsi se sono necessari 30 milioni di soldati. Un essere umano ha bisogno di "fare", di produrre, di essere attivo, ma tutto ciò deve risultare in un'opera creativa, non in un servizio reso a una mega-macchina.

[...]

Ecosofia, la saggezza della Terra, nonché uno spazio aperto a visioni alternative, sempre provvisorie. Tutto questo richiede fiducia. Non esiste una alternativa, bensì l'opportunità diuno spazio aperto ad alternative provvisorie, differenziate, decentralizzate: le saggezze dei prussiani e dei bavaresi, degli africani e quant'altro...
In una parola, metanoia. Ma metanoia implica tre cose; due delle quali sono fin troppo note. In primo luogo, il pentimento e il senso di colpa. il secondo aspetto è la conversione, vale a dire una trasformazione della mentalità. Quanto al terzo, la metanoia non significa solamente un modo diverso di pensare, ma anche la scoperta, spirituale e intellettuale, che noi non siamo macchine pensanti e neppure solamente creature pensanti, ma più (non meno) di questo! Tale ri-pensamento esige di pensare insieme noi stessi e la Natura, della quale condividiamo i destini.











tratto dal libro di Raimon Panikkar, Ecosofia. La saggezza della Terra, Jaca Book ed. , Milano, 2015, pp.13-26.















La danza della vita. Introduzione al saggio di Raimon Panikkar "Ecosofia. La saggezza della Terra"


LA DANZA DELLA VITA

Introduzione  al saggio di Raimon Panikkar
"Ecosofia. La saggezza della Terra"

Dinaweh



Come preannunciato nel post precedente dedicato alla nobile, nonché amabile figura di Raimon Panikkar, ho pensato di trascrivere parti del testo sopraindicato, che trovo di un'attualità sconvolgente. 

Panikkar infatti ha svolto nella società di fine millennio un ruolo profetico e iniziatico, oserei dire; nel senso che ci ha mostrato la via percorribile, pena l'estinzione dell'Essere umano sul pianeta e forse del pianeta stesso. Egli ci indica con estrema consapevolezza e chiaroveggenza la strada, l'unica strada da perseguire, se non vogliamo essere vittime dello stesso sistema che da millenni ha partorito dolore, sofferenze inaudite e prevaricazioni; non solo dell'uomo sull'uomo, ma nei confronti dello stesso 'abitacolo' che lo ospita  - la Terra - questo Essere vivente e senziente che non può mai essere "oggettivato" secondo i termini della ratio kantiana. Essere invece un tutt'uno con essa e trascendere attraverso di essa ad una comprensione più profonda del significato cosmico, divino e umano (cosmoteandrico), al di là degli spazi angusti della ragione, senza più seguire paradigmi, "senza imitare o seguire modelli". 
Ecosofia suggerisce che la fonte delle sensazioni, dell'agire e della conoscenza non si trova nell'uomo preso a sé, anche se è principalmente in noi e attraverso di noi che la Terra esprime i propri "sentimenti, azioni e pensieri". Voglio anche sottolineare qui che il superamento dell'antropocentrismo autonomo non deve comunque condurci a un cosmocentrismo eteronomo, e nemmeno a un teocentrismo eteronomo, se è per questo. Ecco perché parlo di una intuizione cosmoteandrica ontonoma. Kosmos, theos, anthropos sono le tre dimensioni costitutive della Realtà. dove il centro non sta da nessuna parte e nessuno la fa da padrone. Ripenso alla seconda proposizione nel celebre Libro dei 24 Filosofi: "Deus est sphaera infinita cuius centrum est ubique, circumferentia nusquam" (Dio è una sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo).* 
Panikkar ci richiama costantemente ad una visione trinitaria, ove  Kosmos, theos e  anthropos diventano l'elemento inscindibile, costitutivo e ultimo della Realtà.
In tal senso, secondo l'esperienza di vita hindu e buddhista, 'la vita è la vita' e non ha necessità di essere giustificata da "ciò che facciamo o dove andiamo, dal successo piuttosto che dal fallimento". Ciò significa non dare più importanza alla direzione del movimento, perseguire un fine, prefigurarsi un obiettivo da raggiungere, ma semplicemente essere nel movimento, a prescindere dallo scopo, quale esso sia. 
[...] Ma l'Uomo moderno vive per il futuro; il presente è solo una tappa intermedia, una preparazione al passo successivo, che sia il raggiungimento della maggiore età, o diventare santi (essere salvati), o preparare la strada ai nostri figli o al futuro della nostra famiglia, o di clan, nazione, scienza, umanità, o del cosmo intero. Homo viator, o ancora meglio, homo itinerans. Come dice il vedanta: noi siamo pellegrini, e pellegrini assetati per giunta, solo finché non ci rendiamo conto che non esiste alcun pellegrinaggio perché la "meta" è già qui e ora - un "qui e ora" non scientifico, evidentemente. L'essenza del cammino consiste nell'andare, non nella meta; il telos esiste solo nella nostra mente. In una parola, non esiste alcuna freccia del tempo reale.**
Essere nella danza e nel ritmo della vita; essere nel presente totalmente. 
Nemmeno il Nirvana è la meta, il fine, la destinazione, il telos dell'uomo. Il ritmo non va da nessuna parte, non ha alcun telos.
Solo questo ci metterà nella condizione di uscire dal samsara, il ciclo delle reincarnazioni e ci potrà fare uscire dalla ruota delle rinascite. 
Questo, credo, sia il senso ultimo del testo, ma altrettanto importanti sono tutti i passaggi intermedi, dedicati al rapporto dell'uomo con la natura e con se stesso, per riconoscere in lui l'Invisibile che tutto spira, muove e crea. 
Essere parte viva dell'Invisibile nel visibile, attimo per attimo; godere la vita per quella che è senza altro scopo aggiunto renderebbe l'umanità finalmente innocua, cioè incapace di nuocere, restituendole quella 'innocenza' (non nuocere) perduta dopo la caduta e la cacciata dal Paradiso terrestre. Il che non significa ritornare a quella, ma raggiungere quella che Panikkar chiama "la seconda innocenza", che si può conquistare solo dopo aver conquistato se stessi; una nuova consapevolezza, persino un'accettazione profonda di tutti i disastri e le perdite subite nel corso del pellegrinaggio chiamato VITA.

Dinaweh


* Raimon Panikkar, Ecosofia, La saggezza della Terra, Jaca Book ed., Milano, 2015, p. 35.

** Ibidem, p. 51.


sabato 9 luglio 2016

Benvenuta Estate! Cotti al micro-onde di Liguria.

Benvenuta Estate!


Cotti al micro-onde di Liguria!



Ancora e ancora, Popolo pecora
delle seconde case di Liguria,
Padani in vacanza 
dal Piemunt e dall'emiliana-lombarda pianura 
venite a cuocervi le membra stanche
al bario e all'ossido di zolfo.
Venite, venite!...

Mare, mare, amore, 
mare amaro riflettente cieli balordi e biancastri, 
per quanto tempo ancora 
accetterai l'oltraggio?
Vedo già una super-onda di sale bagnato
complice di acque fulminee
avventarsi sulla folla di bagnanti 
accecati e rincretiniti 
dal disco algido e cocente del sole.
Non ora, ma presto... 
tu irromperai come òmero stanco 
del suo carico e del suo peso.
Allora si dirà: là scomparve una civiltà.




Dinaweh


Apri il link qua sotto e leggi l'interessante post "E la chiamano estate", tratto dal sito di tankerenemy.  Troverai tutto quanto c'è ancora da sapere.





venerdì 8 luglio 2016

RAIMON PANIKKAR. Mediatore tra Terra e Cielo


RAIMON PANIKKAR


Mediatore tra Terra e Cielo

Dinaweh



Ho subito amato quest'uomo, sin dal primo momento che ho avuto occasione di ascoltare le sue parole, in una bella serie dedicata ai grandi personaggi del nostro tempo, intitolata "Il filo d'oro", a cura della tv Svizzera italiana. I cronisti di quell'emittente, per ricordare più da vicino gli anni più significativi della sua vita, si erano recati con lui in India e lo avevano poi seguito a Tavertet, in Catalunya, ove egli aveva stabilito la sua dimora, per trascorrere gli ultimi anni della sua esistenza terrena. 
Raimon Panikkar, in una delle tante interviste concesse ai tanti che si sono sentiti attratti dal suo magnetismo, ebbe modo di definire se stesso come "il mediatore tra la Terra e il Cielo" e così in effetti ha vissuto fino all'ultimo giorno, essendo il testimone dell'Amore Sublime, quello che va al di là di ogni etichetta, di ogni dogma religioso, di ogni "credenza superficiale" per incarnarsi nella fede autentica, che lui diceva essere patrimonio di tutti gli uomini, a prescindere dal loro credo e persino dal loro presunto ateismo! 
Difficile per me trovare parole adeguate per descrivere l'impeto e nello stesso tempo la delicatezza che sempre traspaiono dal suo pensiero e dalle numerosissime sue pubblicazioni, oltreché dalle conferenze e dalle interviste che di lui rimangono più immediate e fruibili ad un pubblico più vasto, che non sia quello dei dotti e degli 'addetti ai lavori'.
Disse ancora di sé, al tramonto del suo passaggio terreno: 
"Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddihsta, senza cessare per questo di essere cristiano".
Personaggi come lui si contano sulle dita di una mano; di lui conquista la gioia sempre impressa nel volto, l'entusiasmo nel saper leggere i segni che la vita dona ad ogni uomo, ad ogni donna, ad ogni essere vivente che calpesta il suolo di questo mirabile e al tempo stesso difficile pianeta. Ogni passo diventa la successione di un disegno, di un progetto che nessun'altro può compiere al nostro posto. Se noi non lo compiamo  il nostro progetto - diceva - rimane un buco, un vuoto incolmabile! 
In lui albergava la certezza della necessità del dialogo, che amava definire 'dialogico' per essere vero, in quanto davvero incubatore di nuove intuizioni, di nuove verità, o meglio, di 'porzioni di verità', essendo Una la Verità ultima. 
Di questa, ogni esperienza umana ne porta il sigillo, un tratto almeno, una porzione di peso e di colore e per questo motivo nessuno si può mai porre al di sopra della 'porzione di verità' di cui l'altro è ambasciatore e corifeo. 
La diversità è esperita come valore aggiunto e mai come ostacolo da frapporre all'apertura del cuore! Il messaggio di Panikkar si inscrive non a caso in un periodo della storia umana in cui tutto sembra portare ad escludere le ragioni dell'altro, percepite più come una minaccia, che come una ricchezza da cui attingere nuova linfa. 
Le religioni dogmatiche che nel corso dei millenni hanno separato gli uomini, hanno creato sempre più divaricazione e odio scatenando guerre e massacri, non scorrono mai felici nel pensiero di Panikkar. Esse piuttosto ancora rischiano di precipitare l'umanità nella loro folle corsa verso la catastrofe, così come la prevaricazione culturale dell'Occidente sul resto del mondo, senza che ci si accorga che i tre quarti del mondo sono portatori di valori che con esso (l'Occidente) non hanno nulla a che vedere. Non per questo sono da considerarsi di seconda o terza categoria. 
[...] Non contesto certo i risultati della scienza. Critico l'estrapolazione del metodo scientifico ad altre aree della realtà. Per secoli i tribunali hanno legalmente estorto le confessioni tramite la tortura, e ho il sospetto che molte di quelle confessioni fossero vere... proprio come i fatti scientifici! Tutto, senz'altro, ruota attorno alla questione di che cosa sia la vita, in particolare quella umana. Ecco perché il problema non è tecnico né puramente scientifico. E' un problema religioso, nella misura in cui la religione tocca il nucleo più profondo dell'uomo, dato che essa si occupa delle questioni umane. Non sto dicendo che non dovremmo "modernizzarci" o cambiare. al contrario, affermo che queste domande non troveranno risposta con cambiamenti solo 'estetici': esigono invece una esperienza diretta di che cosa siano la realtà e la vita umana. [...] La scienza moderna presuppone nozioni di matematica, energia, vita, spazio, tempo, che fanno a pugni con le culture africane e asiatiche, e sono estranee agli archetipi più radicati tra i popoli di quei continenti, i quali non riusciranno mai a essere creativi in una cornice così straniera. Dire, ad esempio, che l'India ha buoni scienziati nel moderno senso del termine manca completamente il bersaglio, perché non è una questione di abilità soggettive. E ' una questione di sopravvivenza delle altre culture e religioni mondiali. Una "sopravvivenza" che ha senso solo se la vita di queste culture o religioni non andrà assimilata nelle cosiddette "civiltà superiori" e "grandi religioni" - come vorrebbe una certa mentalità colonialista.*
Di fronte all'ingordigia e al consumo esasperato delle risorse Panikkar offre una cornice interculturale-ermeneutica globale, al fine di instaurare un rapporto equilibrato tra il Sé e la Natura. Per questo conia un termine nuovo a lui caro: "ecosofia". Il testo citato qui sopra, è estrapolato dal volume per ora tradotto e pubblicato in italiano da Jaca Book, dal titolo: "Ecosofia. La saggezza della Terra" che raccoglie prologhi, scambi epistolari, interviste o semplici conversazioni con alcuni personaggi del suo tempo.
Oggi il pericolo non viene dagli Dèi, né dalla Natura, bensì da un mondo "arte-fatto" e fuori controllo che ha squilibrato l'intera Natura. In misura maggiore che in qualsiasi epoca del passato, le diverse culture hanno assoluto bisogno l'una dell'altra. Nessuna cultura, da sola - e le religioni, filosofie, scienze naturali sono fenomeni culturali - può pretendere di fornire la risposta ai problemi dell'esistenza. Non che vi siano universali culturali, tuttavia si trovano costanti antropologiche di base e visioni omeomorfiche della realtà. Nella sua globalità, la Realtà si presenta in tre dimensioni reciprocamente irriducibili, ma ognuna delle quali presuppone l'altra: sono indicate dai termini Cosmo (materia/energia, Mitwelt cioè co-mondo), Uomo (consapevolezza, io/sé), Dio (abisso insondabile, energia, mistero inaccessibile). Qual è quindi il valore di questa intuizione cosmoteandrica del nostro rapporto con la Natura, basato sulla percezione della Realtà nel suo complesso e nelle sue parti, che fa tesoro della sapienza di tutte le epoche e le culture? **
Mi piace infine pubblicare su questa pagina la "Laudatio" in onore di Panikkar in occasione della sua Laurea Honoris causa all'università di Girona, presentata dal prof. Joseph Maria Terricabra, padrino del nuovo dottore. Questo spunto offrirà a molti di voi l'occasione di conoscere meglio la vita e le opere di questo grande uomo del nostro tempo. Infine un video tra i più significativi del suo pensiero. Prossimamente pubblicherò qualche estratto dal testo citato. 
È per me un onore poter esporre, oggi, in questa solenne sessione accademica, i meriti di Raimon Panikkar Alemany in occasione della sua nomina a doctor honoris causa della nostra Università. Raimon Panikkar è, senza dubbio, il pensatore catalano vivo più noto a livello internazionale. La sua vita e la sua opera provano, infatti, l’enorme portata tematica, geografica e linguistica del suo pensiero che presenterò ora in sintesi.
Raimon Panikkar è nato il 3 novembre 1918 a Barcellona da padre indiano e hindù e da madre catalana e cattolica. Fin da bambino, dunque, poté adottare, coltivare e parlare di tradizioni diverse nelle quali non si è mai sentito estraneo e forestiero. Fu ordinato sacerdote nel 1946 anno in cui conseguì il dottorato in filosofia; nel 1958 ottenne la laurea in scienze, sempre all’Università di Madrid, e nel 1961 la laurea in teologia all’Università Laterana di Roma. È vissuto in India, a Roma (dove è stato libero docente dell’Università), e negli Stati Uniti. Nel 1966 fu chiamato ad Harvard in qualità di Visiting Professor e per tutto il periodo dal 1966 al 1987 alternò la sua docenza negli USA per un semestre con la sua ricerca in India. Dal 1971 al 1987 ha coperto la cattedra di Filosofia comparata delle Religioni all’Università di California, a Santa Barbara, di cui è ancora professore emerito. Nel 1987 è tornato in Catalogna e ha stabilito la sua residenza a Tavertet (Osona) dove ha continuato a tenere corsi, seminari e incontri su temi filosofici, religiosi, culturali e di approfondimento delle diverse tradizioni dell’umanità. Ha pubblicato una cinquantina di libri, per la maggior parte in catalano, castigliano italiano e inglese, tradotti in francese, tedesco, cinese, portoghese, cecoslovacco, olandese e tamil. A sua volta, nel corso di circa dieci anni, ha tradotto una antologia di mille pagine dei testi dei Veda.

Panikkar ha seguito una ventina di tesi di laurea di studenti di tutto il mondo, specialmente nel corso del suo soggiorno negli Stati Uniti. Sono state scritte sul suo pensiero una trentina di tesi di laurea alcune delle quali sono state pubblicate. Panikkar ha tenuto corsi nelle università di tutto il mondo e conferenze prestigiose come quelle della “Warner Lectures Series” e le “Gifford Lectures”. Ha collaborato al progetto dell’opera Classics of Western Spirituality(New York) che ha pubblicato sino ad oggi 76 volumi e all’opera Western Spirituality, che consta di 25 volumi, i cui tre ultimi sono sotto la sua direzione. Proprio in questi giorni è comparso il primo volume, in italiano, della sua Opera Omnia che si comporrà di venti volumi. É previsto che queste opere complete vengano pubblicate anche in altre lingue e, in primis, in catalano.

Oltre a questa vasta attività accademica, Panikkar è stato presidente del “Pipal Tree” (Bangalore). E’ fondatore e direttore del “Center for Cross-Cultural Religious Studies” (Santa Barbara, California) e di “Vivarium, Centre d’Estudis Intercultural” (Tavertet, Catalogna). Dal 1993 è anche presidente dellaSociedad Española de Ciencias de las Religiones (Madrid). Nel 1960 è stato uno dei fondatori dell’ONG Pax Romana – con statuto consultivo alle Nazioni Unite- che difende i diritti e la dignità dell’uomo in tutto il mondo. Ha preso parte a numerosi colloqui internazionali dell’UNESCO e di molte altre società accademiche. In due occasioni è stato inviato speciale del governo indiano in missione culturale nell’America latina.

Nel corso della sua vita Panikkar ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra cui vanno citati sia i riconoscimenti internazionali (“Premio spagnolo di letteratura”, 1961), Creu de Sant Jordi de la Generalitat de Catalunya (1999), nomina a “Chevalier des Art set des Lettres” del governo francese (2000), Medaglia della Presidenza della Repubblica Italiana ( 2001) e Premio Nonino 2001 ‘A un maestro del nostro tempo’, oltre a quelli strettamente accademici (Dottore honoris causa dell’Università delle Isole Baleari (1997), della Facoltà di Teologia dell’Università di Tübingen e della Facoltà di sociologia dell’università di Urbino (2005). L’Università di California concede ogni anni un premio –“The Raimundo Panikkar Award in Comparatives Religiones”, allo studente laureatosi in filosofia delle religioni con le migliori valutazioni accademiche. Nella stessa università è attualmente allo studio la creazione di una cattedra a suo nome. Prestigiose riviste gli hanno dedicato numeri monografici e sono stati organizzati simposi e giornate per studiare la sua opera. Il prossim convegno internazionale si terrà dal 5 al 7 maggio 2008 a Venezia con il titolo “ Misticismo, Pienezza di Vita” in occasione dell’uscita del I° Volume dell’Opera Omnia (dallo stesso titolo).

L’enorme attività di Raimon Panikkar - qui appena accennata – deriva il suo significato profondo dalle idee e dalle vivenze che la ispirano. Nel corso di 30 anni ha mantenuto un intenso contatto con l’India dove si recò per la prima volta nel 1954. “Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddhista, senza aver smesso di essere cristiano”, ha detto di sé. Raimon Panikkar non è un pensatore convenzionale: egli, al contrario, infrange molti schemi, convenzioni e pregiudizi. La sua formazione intellettuale – fra Occidente e Oriente – gli consente di riflettere nella sua opera un dialogo filosofico costante tra tradizioni, ideologie e credenze diverse. La sua solida conoscenza della tradizione filosofica occidentale e le sue eccezionali conoscenze delle tradizioni filosofiche e spirituali dell’Oriente gli conferiscono le condizioni e una capacità per il dialogo interfilosofico e interreligioso assolutamente inusitate non solo fra di noi ma anche in ambito internazionale. In tempi in cui il pensiero orientale sta guadagnando fra noi terreno e adepti, la figura di Raimon Panikkar si distingue con la grandissima autorità di un referente esperto, rigoroso, profondo. La filosofia, sapere aperto costantemente alla riflessione dell’umano, trova in Panikkar un pensatore originale e senza complessi perché egli conosce ciò di cui parla e perché propone relazioni e accetta differenze che possono essere esposte e dibattute solo da chi le abbia vissute e comprese dall’interno di ogni tradizione. Panikkar, che ha peregrinato tanto, propone il pellegrinaggio come simbolo della vita ma non come la vita stessa, perché il pellegrinaggio deve essere non solo esteriore, ma anche interiore. 

Proprio per questo egli accetta la supremazia della prassi, della vita, di una vita che si dispiega al momento, in ogni momento, e che è in grado di trovare l’universale nel concreto, nel particolare. “La mia aspirazione – ha confessato – non consiste tanto nel difendere la mia verità, quanto nel viverla”. Il suo pensiero, ispirato dal principio advaita (né monista, né panteista, né dualista), propone una visione dell’armonia, della concordia, che vuole scoprire “l’invariante umano” senza distruggere le diversità culturali che mirano tutte alla realizzazione della persona in continuo processo di creazione, di ricreazione. “Quanto più osiamo camminare per nuovi sentieri – ha detto – tanto più dobbiamo restare radicati nella nostra tradizione e aperti agli altri, i quali ci fanno sapere che non siamo soli e ci consentono di acquistare una visione più ampia della realtà.” Per Panikkar il dialogo è importante, ma non il dialogo puramente meccanico o informativo, bensì quello che lui chiama “dialogo dialogico” che porta a riconoscere le differenze ma anche quanto si ha in comune, che spinge alla fine ad una mutua fecondazione. Il dialogo non è per gli uomini un lusso, ma qualcosa di strettamente necessario. E il dialogo interreligioso ha un suo ruolo importante. Panikkar non intende questo dialogo come un dialogo astratto, teorico, un dialogo sulle credenze, ma come un dialogo umano in profondità nel quale si cerca la collaborazione dell’altro per la mutua realizzazione, dal momento che la saggezza consiste nel sapere ascoltare. La religione non è, per Panikkar, un esperimento ma un’esperienza, non una teoria ma un’esperienza di vita per mezzo della quale l’uomo - senza preoccupazione né ansia – partecipa all’avventura cosmica. Questo lo porta, per esempio, ad avanzare, la nozione di “identità”. In un’intervista gli fu chiesto: “Dove trova lei la sua identità?” La sua risposta è stata: “Perdendola, non cercandola: non volendo tenermi stretto ad una identità che non è stata ancora realizzata e che non è possibile trovare quindi nel passato perché sarebbe solo copia di qualcosa di vecchio. La vita è rischio; l’avventura è novità radicale; la creazione si produce ogni giorno, é qualcosa di assolutamente nuovo e imprevedibile.”

Con una visione concreta e anche globale dell’esistenza, Panikkar difende l’armonia tra gli uni e gli altri, la nostra con la natura, e, chiaramente, con noi stessi. Difende la sacralità della vita come secolarità sacra. Perché tutto è sacro, tutto è inviolabile, e denuncia come si sia perduta la sensibilità per la sacralità della materia. L’ecosofia è la nuova saggezza della terra. Ciò che è umano, ciò che è infinito o divino e ciò che è materiale, non sono tre realtà separate ma i tre aspetti di un’unica e stessa realtà. E’ questa la sua intuizione cosmoteandrica o teandropocosmica che rivela l’ambiguità e i limiti di ogni discorso strettamente scientifico o culturale.

Infine, ciò che ci ha portato alla patologia della sicurezza, che è l’ossessione odierna, è l’ossessione per la certezza. Ecco quindi che Panikkar raccomanda che la filosofia sia viva, vale a dire che ponga attenzione alla polisemia, all’ambiguità, all’apertura: perché potrà favorire la coscienza di libertà, solo se essa stessa si pone al di sopra di qualunque servitù, sia pure servitù razionale, razionalizzatrice. Panikkar non è certo un pensatore comodo perché non è sempre prevedibile, non è mai convenzionale, apre sempre nuove prospettive, nuovi dubbi, speranze e attese nuove. Questo ne fa un pensatore di verità, un maestro di pensiero e una persona saggia. E, come dice Cicerone, “sapiens beatus est”.

Non posso concludere questa presentazione senza rendere pubblico un gesto privato di grande generosità di Raimon Panikkar che ha voluto lasciare all’Università di Girona la sua impressionante biblioteca privata. In cambio della sua amicizia e generosità, posso fin d’ora garantire, solennemente, l’impegno di questa Università, che da oggi è la sua, di dare continuità a questo lascito per potenziarne e diffonderne il contenuto.

Per molti motivi e per tutto questo propongo che si conceda e conferisca il titolo di doctor honoris causa a Raimon Panikkar.***

La metafora della finestra







L'arte di vivere 1/11



* Raimon Panikkar, Ecosofia. La saggezza della Terra, Jaca Book, Milano, 2015, pp. 45-46.

** Milena Carrara Pavan (a cura di), Prefazione a Ecosofia. La saggezza della Terra, ibidem.

*** www.raimon-panikkar.org sito ufficiale/biografia/Laudatio.
Per l'intera  bibliografia delle opere di Raimon Panikkar vedi la pagina Le Opere, del sito. 


Pour les amis de langue Francaise. Une femme exceptionnelle: Claire Severac



Una voce fuori dal "coro"



Une Femme exceptionnelle:
Claire Severac


Claire Severac est née en France, d’une mère basque et d’un père occitan. Elle a passé son enfance dans le sud entre l’Ocean Atlantique et les montagnes des Pyrénees, et a commence à écrire des poèms très jeune. 
A 16 ans, elle étudie les “Sciences Politiques”, puis rencontre des musiciens et commence à écrire des chansons avec Charles Dumont. Elle est déchirée entre son amour pour la musique, l’écriture et l’actualité mondiale. Le destin choisira pour elle.  Elle est engage pour une tournée en Russie et en Pologne puis, lorsq’elle rentre a Paris, elle est engage pour chanter sur le paquebot “France”… c’est son premier voyage en Amerique. 
Là bas, elle rencontre Paul Leka (Love is blue, Nana kissing goodbye…) et travaillera 4 ans avec lui dans son studio d’enregistrement dans le Connecticut avec des artistes tells que Gloria Gaynor, Harry Chapin, Billy Swan, Stevie Wonder. Elle apprend avec les meilleurs et commence à écrire ses premières paroles de chanson en anglias. Elle revient à Paris et écrit des chansons avec Alain Barrière (une des plus grandes stars à cette pèriode). Elle joue dans une comèdie musicale “Let my people come” et enregistre son premier single: “I will never forget you”. Le single conquit les radios et chaines de television, et on lui réclame un album. Son experience en Amérique fait d’elle une artiste à part, différente de ce qui se fait en France dans le domain musical.

Son second 33 tours: “Cette fille de passage” aussi enregistré à Londres avec musiciens d’Elton John, est un gros succès à travers le monde et Claire se retrouve en tournée pendant des mois.
Un jour, elle chante en Tunisie et rencontre David Soul. Ils amient la meme musique et passent des heures à chanter ensemble et à jouer de la guitar, puis ils dècident d’enregistrer ensemble un single pour célébrer leur amitié. Claire part donc à Los Angeles, “Amoureux sans bagages”, enregistré à Hollywood, est un gros hit. Elle decide donc de rester en Californie: elle adore cet endroit, où elle ècrit avec les plus grands compositeurs (Barry Mann, Albert Hammond), travaille avec des musiciens légendaires (Jim Keltner, Chet Mc Donald, James Ingram, Albert Hammond, Andy Kim, Billy Swam, Peter Beckett, Joseph Williams de Toto…).
De 1985 à 1997, elle travaille à Los Angeles comme auteur/compositeur. Ses chansons sont enregistrées par Crystal Gayle, Corey Hart, Pat Benatar, Donna Summer, Emmylou Harris, Juice Newton, Willy Deville, Jason Scheff of Chicago, Ivan Lins, Martika Slaughter, Misty Oldland, Young MC, Asleep and the wheel, Jefferson Staship, Black Uhuru… et bien d’autres. 

Elle écrit la reprise anglaise des chanson les plus connues de deux icons Francais de la musique: Edith Piaf et Georges Brassens, et produit un album homage pour chacun avec les artistes amèricains avec qui elle travaille. Ces deux albums sortent dans le monde entire et remportent un grand succès.

De retour à Paris, elle écrit pour des artistes majeurs comme Laam (avec Rod Temperton), Julie Zenatti, Mimmie Mathy… 

Lasse de constater à quell point les choses se dégradent et deviennent difficiles dans l’industrie de la musique, elle decide de s’essayer à quelque choise de nouveau… et écrit des livres sur des sujets éclectiques pour “Les éditions du Rocher”.

Depuis longtemps, Claire est sensible aux scandales liés à la santé (vaccination, pesticides, affaire du sang contaminé…), et à la complicité entre les industries, les banques et les leaders politiques, mais comme la plupart d’entre nous, elle s’en préoccupe un instant puis retourne, impuissante, a ses occupations.
Mais au cours du printemps 2009, avec le début de la communication autour du virus H1N1, elle se dit que les incohérences sont trop nombreuses, que les mensonges et le motivations des autorités à vaccine tout le monde sont très suspect, et que la facon don’t nous sommes traités est juste insupportable.

Elle decide donc d’enqueter et, d’une homble decouverte à une autre, elle refuse de croire à un coup du sort, mais plutot à un plan organisé, par une poignée de “banksters” si gourmands qu’il souhaitaient controller le monde et faire du profit sur notre dos à chacun, prets pour cela à blesser chaque etre humain de la planète.
Pendant des mois, elle recherché les preuves officielles des tous les dommages, qu’ils son ten train de causer à notre santé avec la nourriture, les medicaments, les pesticides… le noms des coupables, leurs methods et comment ils sont pu mettre leurs plans à execution en financant des écoles scientifiques, en achetant les medias pour les controller, en falsifiant les études et les statistiques, en persécutant les honnetes experts, en infiltrant le monde des institutions et en baillonnant les politiciens… qui dirigent réellement le monde! “Complot Mondial contre la santé” aux éditions Alphée. Finalement, un moyen pour Claire de boucler la boucle en écrivant sur un sujet qui devrait etre la priorité pour les gens que nous éòisons pour nous protéger!!!

Dans les deux films suivants documents Claire Severac présente son dernier ouvrage paru chez Kontre Kulture "La guerre secrète contre les peuples"

Profitez-en et bonne écoute à tous les amis de langue française!

[Prises à partir du site: "Claire Severac, REBELLION. Information et prise de conscience].


Dinaweh



Première partie





Deuxième partie